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PDL 5022

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5022



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DE GHISLANZONI CARDOLI, AMATO, BAIAMONTE, CANELLI, COLLAVINI, FALLICA, JACINI, LA GRUA, LOSURDO, MASINI, PATARINO, RICCIUTI, SANTORI, SCALTRITTI, ZAMA

Disposizioni in materia di allevamento di cavalli
per la competizione sportiva

Presentata il 21 maggio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - La necessità di una definizione dell'impresa agricola di allevamento che corrisponda alla evoluzione tecnologica e produttiva è particolarmente evidente nel settore zootecnico, ove la stessa struttura aziendale ha subìto trasformazioni profonde per l'impatto delle nuove tecnologie, anche su sollecitazione di una domanda qualitativamente e quantitativamente più consistente dei prodotti degli allevamenti.
      La fondamentale esigenza di comprimere al massimo i costi di produzione mediante la rigorosa applicazione di calibrati metodi di alimentazione ha indotto gli allevatori ad avanzare su strade totalmente nuove, oggi praticate su larga scala, soprattutto in alcuni Paesi dell'area comunitaria.
      In termini strettamente economici questa evoluzione ha comportato, quale suo aspetto più rilevante, la sostituzione di terra e lavoro con beni capitali che incorporassero le nuove tecnologie. La prima conseguenza è stata la rottura, sul piano organizzativo, della stretta connessione tradizionale dell'economia della produzione vegetale con quella della produzione animale che caratterizzava l'ordinamento colturale delle aziende zootecniche, dove il
 

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fabbisogno alimentare era assicurato in gran parte dalla produzione foraggera aziendale.
      L'allevamento tradizionale tende dunque oggi ad essere sostituito da nuove forme di allevamento intensive, nelle quali la produzione zootecnica è svincolata dal nesso fisico con le risorse del fondo.
      Dal raffronto con la legislazione straniera emerge peraltro come, in Paesi dove l'agricoltura ha da tempo raggiunto posizioni di avanguardia, il legislatore abbia preso atto di una nozione comune di agricoltura nella quale rientrano allevamenti assai moderni nei metodi ma di antica tradizione. Anche il Trattato di Roma, che certamente ha ricavato la nozione di agricoltura, valida per la Comunità europea, da quelle adottate dai Paesi membri più avanzati nel settore agricolo, considera agricoli i prodotti di tutti gli allevamenti.
      Peraltro, nonostante tutti gli elementi di evoluzione emersi sia nell'ambito della dottrina giuridica, sia della legislazione speciale, sia della normativa comunitaria in merito alla nozione di allevamento, per lungo tempo non si è potuta individuare un'univoca qualificazione delle attività zootecniche. Ciò si è risolto in una difficoltà interpretativa e applicativa di non poco conto poiché qualsiasi attività che si qualifichi come imprenditoriale, creatrice cioè di risorse e di occupazione in una logica di accrescimento della ricchezza nazionale, necessita, pena la svalutazione del proprio ruolo, di un preciso quadro normativo di riferimento, che consenta al soggetto imprenditore di orientare le proprie scelte in base ai criteri della massima economicità.
      Nel nostro ordinamento è il processo di modernizzazione dell'agricoltura che ha svincolato la nozione di attività agricola dai retaggi del passato, adeguandola alle novità della tecnica e della scienza nonché delle nuove esigenze e frontiere offerte dal mercato.
      Al riguardo, il decreto legislativo n. 228 del 2001 ha riformulato l'articolo 2135 del codice civile consentendo il superamento della nozione di attività agricola dallo stretto collegamento funzionale, sotto il profilo economico, con il fondo, per identificarla nello svolgimento del ciclo biologico. L'allevamento invece ha visto sostituire il termine «bestiame» con quello più generale di «animali», indipendentemente da un rapporto di necessaria inerenza funzionale alla coltivazione del fondo.
      Importanti sono state poi le novità apportate alle cosiddette «attività connesse», svincolando queste dal parametro dell'«esercizio normale dell'agricoltura», che aveva determinato copiosa giurisprudenza restrittiva nell'individuazione delle nuove forme di attività agricole.
      Nel processo evolutivo, novità rilevanti, sul piano oggettivo, sono state apportate recentemente dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) e dal decreto legislativo n. 99 del 2004. La prima, all'articolo 2, ha continuato l'opera di raccordo fra l'ordinamento civilistico e quello fiscale, prima esistente solo ai fini dell'imposta sul valore aggiunto e ha ampliato ancora la sfera delle attività connesse, individuandole anche nella valorizzazione e nella commercializzazione del prodotto ottenuto dall'attività di coltivazione o di allevamento.
      Infine, con il decreto legislativo n. 99 del 2004 il legislatore è intervenuto sul piano soggettivo, introducendo la qualifica di imprenditore agricolo professionale, caratterizzata, sul piano individuale e societario, da requisiti meno rigorosi rispetto alla precedente qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.
      Tale evoluzione legislativa è stata sommariamente ricordata per sostenere quanto meno un atteggiamento critico verso la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione che, fino a pochi anni fa, limitava l'accesso nel mondo agricolo a quelle nuove forme di agricoltura che man mano si affacciavano sul mercato.
      Si pensi, a tale riguardo, alle interpretazioni sostanzialmente restrittive fino agli anni sessanta del citato articolo 2135 del codice civile, in cui la Suprema Corte affermava che l'allevatore fosse da considerare imprenditore agricolo, ove l'attività di allevamento si trovasse in intima connessione
 

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con la coltivazione del fondo: il bestiame veniva così considerato, alla stregua della normativa antecedente al 1942, nulla di più che una scorta viva in dotazione del fondo rustico.
      Peraltro già dal 1966 vi sono stati interventi innovativi della giurisprudenza di legittimità, nel senso che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha fatto registrare una nuova evoluzione considerando l'allevamento come attività essenzialmente agricola, indipendentemente dalla connessione con la coltivazione del fondo.
      Siffatta evoluzione giurisprudenziale non è stata, peraltro, del tutto lineare; non sono mancati, infatti, indugi e ripensamenti da parte dello stesso Supremo Collegio: in principio la Cassazione ha escluso che l'allevamento dei cavalli da corsa potesse considerarsi attività agricola (così Cassazione 10 ottobre 1955, n. 2951; Cassazione 27 settembre 1967, n. 2211). Si sosteneva che l'attività di allevamento dei cavalli da corsa avesse uno «scopo industriale» (Cassazione n. 2951 del 1955) e che essa non potesse «inquadrarsi nel sistema della impresa agraria, non avendo carattere complementare rispetto a questa, nemmeno quando all'affittuario fosse consentito di servirsi del terreno per il pascolo degli animali in allevamento» (Cassazione n. 2211 del 1967).
      La Corte di cassazione, con sentenza 12 febbraio 1981, n. 857, ha poi escluso che l'allevamento dei cavalli da corsa possa considerarsi attività agricola, non rientrando nel normale esercizio dell'agricoltura secondo la «tecnica che lo governa», essendo tale attività il risultato dell'impiego di tecniche e di procedimenti del tutto estranei all'agricoltura, perseguito per finalità ad essa estranee (Cassazione 3 luglio 1981, n. 4346).
      Tuttavia, con sentenza 24 settembre 1990, n. 9687, la Corte di cassazione si è pronunciata in modo sensibilmente più aperto verso tale forma di allevamento.
      Nella sentenza si legge che: «premesso che ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile il concetto di allevamento deve ravvisarsi nel complesso delle attività dirette all'alimentazione, alla cura, alla riproduzione e allo sviluppo del bestiame (...), ricorre impresa agricola di allevamento del bestiame quando questa ha base su di un appezzamento di terreno e quindi se il bene terra rientri in combinazione con la forza lavoro quale fattore per lo svolgimento dell'attività zootecnica, anche con riferimento all'allevamento e all'addestramento dei cavalli da corsa».
      Sono stati tratti elementi di conforto in tale senso anche dall'articolo 10 della legge n. 11 del 1971, che, tra le iniziative di organizzazione e di gestione dell'affittuario, prevede la «razionale coltivazione del fondo» ovvero gli «allevamenti di animali» e non più solo l'allevamento del «bestiame» che figurava nell'articolo 2135 del codice civile, e dall'articolo 7 della legge n. 203 del 1982, che equipara ai coltivatori diretti, tra gli altri, i laureati in veterinaria per le aziende a prevalente indirizzo zootecnico.
      La citata sentenza della Corte di cassazione ha determinato un contrasto giurisprudenziale circa la qualificabilità o meno dell'attività di allevamento di cavalli da corsa come attività agricola.
      Sono, pertanto, intervenute le Sezioni unite civili della Cassazione che, con sentenza n. 11648 del 16 luglio 1993 si sono pronunciate nel senso che l'allevamento dei cavalli da corsa non può essere qualificato attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, in quanto richiede «un complesso di conoscenze tecniche in un settore particolare, che esula del tutto da quello propriamente agricolo e non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura» anche a prescindere dalla mancanza di un qualsiasi collegamento con il fondo.
      Pertanto, a seguito delle innovazioni normative intervenute in questi anni, si rende necessario dettare una norma precisa che non lasci dubbi sulla qualificazione dell'attività di allevamento e addestramento di cavalli destinati alle competizioni, facendo riferimento anche a quanto stabilito dal legislatore comunitario: in proposito si ricorda che nell'emanare la direttiva 90/428/CE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa agli scambi di equini destinati a concorsi e alla fissazione
 

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delle condizioni di partecipazione a tali concorsi, il Consiglio ha considerato che «l'allevamento dei cavalli, e in particolare dei cavalli da corsa, rientra generalmente nell'ambito delle attività agricole» e che «esso costituisce una fonte di reddito per una parte della popolazione agricola».
      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si definisce agricola l'attività diretta all'allevamento di cavalli e al loro addestramento per la competizione sportiva.
      Con l'articolo 2 si dettano le conseguenti disposizioni fiscali.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'attività diretta all'allevamento di cavalli e al loro addestramento per la competizione sportiva è considerata, a tutti gli effetti di legge, attività imprenditoriale agricola.
      2. Sono imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, i soggetti, persone fisiche o giuridiche, singole o associate, che esercitano l'attività di cui al comma 1.

Art. 2.

      1. Il reddito prodotto dall'attività di cui all'articolo 1 è determinato ai sensi degli articoli 32, comma 2, lettera b), 55, comma 2, lettera c), e 56, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.    
    


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