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PDL 4851

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4851




 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GRANDI, ANGIONI, BELLILLO, BELLINI, BOATO, BONITO, BORRELLI, BULGARELLI, CAMO, CARBONI, CEREMIGNA, CIALENTE, CIMA, CRISCI, DAMERI, GIULIETTI, LUMIA, MARIOTTI, RIZZO, ROSSIELLO, ROTUNDO, SASSO, SINISCALCHI, TIDEI

Modifiche all'articolo 2077 del codice civile, in materia di rappresentanza e democrazia sindacale nella stipula dei contratti collettivi di lavoro

Presentata il 25 marzo 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è ispirata al raggiungimento del massimo risultato con il minimo sforzo, ovvero - detto fuori di metafora - mira a dare soluzione alle molte questioni che compongono il problema della rappresentanza e della democrazia sindacale, innovando il meno possibile la normativa di diritto comune esistente e non toccando affatto quella costituzionale (articolo 39).
      L'idea è quella di individuare il crocevia di tutte le questioni e di presidiarlo con un apporto normativo, che non pretende affatto di regolamentare tutto, ma di innescare meccanismi virtuosi che portino spontaneamente a situazioni di equilibrio democratico nei rapporti sindacali.
      Per entrare nel merito, bisogna, anzitutto, prendere atto della sofferenza profonda del sistema di relazioni industriali seguita alla fine dell'unità sindacale e all'instaurarsi di una concorrenza, spesso conflittuale, tra organizzazioni. Il fatto è, detto in sintesi, che si avverte un grave e doppio deficit democratico: deficit di democrazia «rappresentativa» perché possono essere stipulati validi contratti collettivi di lavoro (con efficacia «di fatto» universale, o erga omnes) da organizzazioni minoritarie, nonostante l'aperto dissenso di quelle maggioritarie, e deficit di democrazia «diretta», perché non esiste alcun meccanismo od istituto (referendum od altro) di verifica, preventiva o successiva, del gradimento o del consenso dei
 

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lavoratori direttamente interessati ai contenuti della soluzione negoziale.
      La giustificazione formalistica, e sicuramente ipocrita, di questa sorprendente situazione di non-democraticità in un ambito così vitale dei rapporti socio-economici è costituita, come si sa, dalla nozione giuridica per la quale - non essendo stato attuato l'articolo 39 della Costituzione - i contratti collettivi di lavoro di diritto comune hanno efficacia soggettiva limitata agli iscritti ai sindacati stipulanti: dunque, il sindacato minoritario che, per primo, stipula il contratto collettivo, in teoria non compie alcuna «usurpazione» rappresentativa, perché impegna solo i propri iscritti, e non tocca gli interessi dei lavoratori iscritti ad altri sindacati, o non iscritti ad alcun sindacato e, dunque, non deve rispondere o confrontarsi né con gli uni, né con gli altri.
      Argomentazione, si diceva, formalistica e ipocrita, perché un'esperienza ormai addirittura secolare insegna che, in concreto, in ogni settore, azienda o diverso ambito negoziale, i datori di lavoro accettano di sottoscrivere un solo contratto collettivo, non potendo, evidentemente, consentire che ad una parte dei lavoratori di una stessa impresa si applichi un contratto e ad un'altra parte uno diverso. Dunque, il primo sindacato che firma, anche se minoritario e poco apprezzato dai lavoratori, in concreto, «detta-legge» per tutti, perché a tutti i lavoratori quel contratto sarà, poi, applicato in via di fatto.
      Nei tempi più recenti, poi, questa giustificazione non regge più nemmeno formalisticamente, perché sempre più spesso la normazione in tema di lavoro è costituita da un'integrazione tra fonte collettiva e fonte legale, nel senso che la legge per la disciplina di molti istituti rinvia ai contratti collettivi di lavoro, così da trasmettere loro la sua efficacia generale. E non si tratta, certo, di regole di dettaglio, bensì centrali e decisive: la legge, ad esempio, demanda ai contratti collettivi di lavoro di stabilire in quale caso un lavoratore possa essere assunto a termine, o «affittato» (ovvero «somministrato») stabilmente ad un'impresa utilizzatrice. Il recentissimo decreto legislativo n. 276 del 2003 contiene moltissimi rinvii di questo genere, e il problema è divenuto, quindi, acutissimo, perché, in concreto, sono ormai delle associazioni private autoreferenti (organizzazioni sindacali datoriali e di lavoratori) che, al di fuori di ogni controllo attendibile di rappresentatività e di ogni possibilità di smentita da parte degli interessati «fanno» le leggi del lavoro, e cioè fissano discipline generali ed astratte, universalmente valide.
      Vero è che, per solito, quando una legge rinvia ad un contratto collettivo di lavoro, al fine di integrare la fattispecie normativa, non rinvia ad un contratto collettivo qualsiasi, bensì a contratti collettivi sottoscritti da «sindacati comparativamente più rappresentativi», ma una simile clausola non garantisce affatto che il contratto collettivo rispecchi la volontà maggioritaria dei sindacati e/o dei lavoratori interessati. E ciò per due motivi almeno: perché la rappresentatività non è misurata secondo criteri obiettivi ed attendibili (ma valutata, per così dire, secondo il comune sentire, su base «storica») e, soprattutto, perché quella clausola non significa che il contratto debba essere sottoscritto da «tutti» i sindacati comparativamente più rappresentativi.
      Non sono mancate, per il vero, opinioni, nel senso che l'unanimità tra i sindacati comparativamente più rappresentativi sia necessaria perché un contratto collettivo di lavoro possa validamente adempiere alla funzione integratrice della legge, ma la questione è, e resta, quantomeno altamente controversa.
      Alla situazione descritta, che è insieme di non-democraticità, inefficienza ed opacità nei rapporti intersindacali, si può reagire, in teoria, con l'emanazione di una legge sindacale organica, la quale comprenda anche disposizioni attuative dell'articolo 39 della Costituzione. Un simile intervento normativo dovrebbe prevedere, in primo luogo, la rilevazione e l'attribuzione di un quantum di rappresentatività ad ogni organizzazione sindacale, misurata sulla consistenza associativa e sui risultati
 

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elettorali conseguiti (tipicamente nell'elezione della rappresentanza sindacale unitaria, o in competizioni elettorali diverse), in secondo luogo, la costituzione, al fine di stipulare dei contratti di vario livello, di commissioni negoziali, nelle quali ogni organizzazione farebbe valere il suo quantum di rappresentatività e che adotterebbe le decisioni secondo maggioranze interne semplici o qualificate, poi, ancora, la stipula di contratti collettivi di lavoro con efficacia soggettiva erga omnes e, infine, meccanismi, in lato senso referendari, di verifica del consenso e della soddisfazione dei lavoratori interessati.
      Sarebbe, come si comprende, un apparato normativo molto complesso, il quale, nel migliore dei casi, lascerebbe aperto un problema politico di grande e, forse, decisivo rilievo, lo stesso, a giudizio dei proponenti, che ha impedito, appunto, l'attuazione, lungo 50 anni, dell'articolo 39 della Costituzione.
      Il fatto è, detto in breve, che, in clima di concorrenzialità tra sindacati, l'idea di una commissione negoziale unitaria - quale deve essere quella abilitata a stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia legale (e non solo di fatto) universale o erga omnes - implica che i sindacati in minoranza in quella commissione negoziale debbano, comunque, rassegnarsi alla volontà della maggioranza. Il che è certamente una regola democratica, ma, quando si tratta di rappresentanza di interessi, l'esistenza di dissensi apre il rischio, inevitabile, di fortissime tensioni e contestazioni, specie nell'ipotesi di maggioranze assai ridotte.
      Se, poi, per evitare questo rischio, si prevedessero maggioranze qualificate, si incorrerebbe nel rischio opposto di introdurre un potere di veto delle minoranze. Insomma, se il movimento sindacale è diviso a metà o pressappoco - come nella recente esperienza italiana - il risultato pratico di un meccanismo come quello descritto risulta, comunque, poco soddisfacente.
      Non sembra, però, che ad esso occorra necessariamente fare ricorso per perseguire gli obiettivi di effettività e di democraticità della rappresentanza sindacale, ponendo rimedio alla deteriore situazione attuale, e, invero, la presente proposta di legge costituisce, a nostro avviso, una valida alternativa.
      Non è indispensabile, infatti, pervenire alla stipula di contratti collettivi di lavoro con giuridica efficacia soggettiva erga omnes (che postulano, a loro volta, le commissioni negoziai unitarie, con connessi inconvenienti): sono sufficienti anche contratti di diritto comune, con efficacia generale solo di fatto - come quelli attuali - purché sicuramente rappresentativi degli interessi e della volontà della maggioranza dei lavoratori interessati, o perché da loro stessi approvati, o perché stipulati da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi.
      La ratio della presente proposta di legge è, dunque, proprio quella di creare una forte incentivazione a questi sindacati, perché spontaneamente giungano ad una stipulazione unitaria, mediante la previsione che, in mancanza, la parola «passi», per così dire, ai lavoratori diretti interessati. In tal modo, la democrazia diretta è salvaguardata in sé e insieme funge da stimolo al migliore funzionamento della democrazia rappresentativa.
      La proposta di legge, peraltro, si fa anche carico di un più generale problema di democrazia sindacale, prevedendo la possibilità di un referendum (abrogativo), se richiesto da un'alta percentuale di lavoratori interessati (20 per cento), anche qualora il contratto collettivo di lavoro sia sottoscritto da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi.
      La soluzione tecnico-giuridica adottata è quella di agire, con modifica legislativa, non sull'efficacia soggettiva dei contratti collettivi di lavoro, sul modello arduo dell'articolo 39 della Costituzione, ma sull'efficacia oggettiva dei contratti collettivi di lavoro di diritto comune, ossia sul loro effetto tipico sancito dall'articolo 2077 del codice civile, costituito dalla loro inderogabilità da parte di accordi o di contratti individuali.
      Proprio perché è un contratto tipico, di cui la legge ordinaria disciplina specificamente
 

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gli effetti, nulla si oppone, dal punto di vista teorico, a che una modifica legislativa regoli ulteriormente e condizioni l'efficacia del contratto collettivo di diritto comune, aggiungendo all'articolo 2077 del codice civile alcuni commi (e cioè aggiungendo ai due commi, di cui oggi la norma si compone, altri quattro).
      La nuova regolamentazione che si propone di introdurre riguarda proprio la produzione degli effetti tipici: essa è immediata se il contratto è stipulato da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi, mentre è differita se la sottoscrizione non è stata unitaria.
      Ciò non toglie che anche un contratto collettivo di lavoro sottoscritto unitariamente da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi debba, eventualmente, «fare i conti» con un ampio dissenso dei lavoratori interessati: entra subito in vigore, ma una percentuale, pari al 20 per cento dei lavoratori interessati, può, nei sessanta giorni successivi, chiedere che sia sottoposto ad un referendum abrogativo, il quale, in caso di successo, ne determina la cessazione degli effetti.
      Quando, invece, la sottoscrizione non è stata unitaria, il contratto non entra immediatamente in vigore, ma si apre un periodo di vacatio di sessanta giorni, durante i quali può essere chiesto un referendum (questa volta sostanzialmente confermativo) dal 10 per cento dei lavoratori, o da uno o più sindacati comparativamente più rappresentativi e dissenzienti rispetto all'accordo. Se il referendum non è richiesto, scaduti i sessanta giorni il contratto collettivo di lavoro acquista efficacia, mentre se è richiesto, tutto dipende dall'esito della prova referendaria: se il contratto è approvato, produrrà effetti da quel momento, altrimenti diverrà definitivamente inefficace come contratto collettivo di lavoro (eventuali aumenti già corrisposti saranno considerati erogati a titolo di superminimo riassorbibile).
      Si vede bene, allora, che tutti i sindacati avranno interesse a cercare soluzioni negoziali unitarie, visto che contratti separati da loro sottoscritti correrebbero un forte rischio di «bocciatura referendaria».
      Ciò, peraltro, non significa che dei sindacati minoritari non possano, se credono di interpretare la volontà e gli interessi dei lavoratori meglio di quello maggioritario, sottoscrivere ugualmente da soli, e affrontare il rischio del referendum. E la stessa valutazione di rischi potrà fare il sindacato maggioritario che voglia firmare da solo il contratto collettivo di lavoro, sapendo che, comunque, l'insieme dei lavoratori interessati potrebbe smentirlo.
      Non vi è, come si vede, né dittatura della maggioranza, né potere di veto della minoranza, ma solo una benefica responsabilizzazione di tutti, perché firmare «da soli» è possibile, ma sapendo di poter essere smentiti dagli interessati, e si determina, pertanto, un potente incentivo a cercare soluzioni condivise. Autonomia di organizzazione, democrazia rappresentativa e diretta nonché ricerca di posizioni unitarie si coniugano e si bilanciano perfettamente.
      Per altro verso, comunque, un potere di ultima istanza di verifica della volontà dei lavoratori interessati non viene mai meno, anche nell'ipotesi di sottoscrizione unitaria, seppur esercitabile, in tale caso, in presenza di un dissenso notevolmente diffuso (20 per cento degli interessati).
      I contratti collettivi di lavoro che verranno alla luce con il meccanismo proposto saranno o contratti sottoscritti da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi, o contratti approvati dalla maggioranza dei lavoratori interessati (o esplicitamente con il referendum, o implicitamente con la mancata richiesta di referendum) e, dunque, sicuramente affidabili dal punto di vista della rappresentatività: nell'un caso e nell'altro, sarà, dunque, razionale e giustificato che vengano di fatto applicati erga omnes e che possano svolgere una funzione integratrice delle leggi in materia di lavoro.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 2077 del codice civile sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

      «I contratti e gli accordi collettivi nazionali, territoriali e aziendali producono gli effetti inderogabili, di cui ai commi primo e secondo, a decorrere dalla data della loro stipula, se sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, o dalle loro rappresentanze aziendali. I medesimi contratti ed accordi possono, tuttavia, cessare di produrre effetti a seguito dell'esito di un eventuale referendum abrogativo, richiesto, nei sessanta giorni successivi alla data della loro stipula, da almeno il 20 per cento dei lavoratori interessati alla loro applicazione.
      Nei casi non previsti dal terzo comma, i contratti e gli accordi collettivi producono gli effetti citati al medesimo comma trascorsi sessanta giorni dalla data della stipula, salvo che, entro tale termine, non venga richiesto un referendum confermativo da almeno il 10 per cento dei lavoratori potenzialmente interessati alla loro applicazione, ovvero da un sindacato comparativamente più rappresentativo, che abbia esplicitato il suo dissenso con comunicazione diretta alle parti contraenti. In tale caso, la produzione degli effetti è subordinata all'approvazione da parte della maggioranza assoluta dei votanti, e decorre dal giorno successivo alla medesima approvazione.
      In caso di esito della votazione, contrario alla vigenza del contratto o dell'accordo, gli aumenti retributivi, eventualmente già erogati, sono considerati aumenti individuali riassorbibili.
      Le firme autenticate di richiesta di referendum abrogativo o confermativo di cui, rispettivamente, ai commi terzo e

 

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quarto, devono essere depositate, entro il termine di cui al citato quarto comma, presso le direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti, le quali, in caso di contratti o di accordi di ambito nazionale, ne curano l'immediata trasmissione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le votazioni hanno luogo nei trenta giorni successivi, con applicazione, per quanto compatibili, delle procedure previste per le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie».



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