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PDL 4959

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4959



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato CARLUCCI

Disposizioni per la valorizzazione e il recupero delle cinte murarie medievali e postmedievali del nord barese

Presentata il 4 maggio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - Abbiamo visto come numerose città dell'Italia centrale e del Lazio siano meritevoli di valorizzazione, specialmente per quanto riguarda le imponenti cinte murarie ivi presenti.
      Mi preme segnalare, tuttavia, che un'altra regione, la Puglia, possiede numerose cinte murarie ricche di storia e che coinvolgono la valorizzazione turistica e lo sviluppo sostenibile del territorio. Tale sviluppo rientra nel concetto della riqualificazione dei centri storici, della realizzazione di percorsi turistici «alternativi» che coinvolgono tutta la popolazione, in quanto elementi essenziali sia del paesaggio cittadino, sia della stessa identità urbana.
      Tuttavia, allo stato attuale, se si osservano i ruderi delle cinte urbane si può subito ravvisare la trascuratezza nella quale esse versano, a causa dell'assoluta mancanza di destinazione d'uso.
      Ma il problema essenziale non è solo il loro stato di conservazione, ma anche l'affidabilità storica che vi si può ricavare: tale passaggio è fondamentale per pensare ad uno sviluppo sincronico e, quindi, ad un ruolo primario di natura sia scientifica che turistica.
      Nella presente relazione terrò conto di tre cittadine principali, Trani, Corato e Ruvo di Puglia: si tratta di città dalla storia plurimillenaria che stanno affrontando una valorizzazione del paesaggio urbano, concordemente con una più marcata tutela dei beni culturali e ampliando il concetto dei beni con le relative aree di rispetto. La prima città sembra possedere mura altissime già nel 1042, anno in cui il bizantino Argiro, al comando di longobardi e normanni, per espugnare la città costruisce (cito la fonte contemporanea) «una torre di legno che nessuno aveva mai visto prima»; sono le stesse mura ravvisabili nel circuito dell'area della Sinagoga, utilizzate anche come abitazioni.
 

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      La seconda città, Corato, presenta ampi tratti di una cinta muraria risalente alla fine del XIII secolo con numerosi rifacimenti di epoca rinascimentale e barocca, mentre la terza città, Ruvo di Puglia, rappresenta l'emblema vero e proprio della «storia plurimillenaria».
      Dalla disamina degli insediamenti citati non possiamo concludere che le emergenze monumentali di una città sono datate solo dai documenti scritti. Da essi, a mio parere, possiamo invece dedurre una serie di trasformazioni connesse alla natura del potere, alle preesistenze e alle conformazioni geomorfologiche di un territorio tutto da valorizzare.

1. Dalla nascita della città alle mura: un lungo percorso costruttivo.

      Lo studio delle fortificazioni medievali, intese sia come castelli che cinte murarie, non può inserirsi nella dinamica della tutela se non si comprende l'alto valore documentale, soprattutto per quanto riguarda l'Italia meridionale, ricchissima di tali emergenze storiche.
      La nascita di tali strutture fu causata da una serie di eventi strategici, economici e insediativi che caratterizzano il mondo feudale ma anche le vicende urbane che tra età tardoantica e altomedievale trasformarono interi territori nelle attuali entità cittadine, subito dopo il disgregamento dell'Impero romano d'occidente.
      Soprattutto nel periodo tra il VI e il VII secolo il fenomeno cittadino, essendo caratterizzato da uno spopolamento generalizzato causato dalla guerra fra goti e bizantini dopo la morte di Teodorico (526 dopo Cristo) e la successiva crisi del Regno ostrogoto, si aggiunse alla crisi economica dell'Impero che accentuò una tendenza già presente nella tarda antichità, cioè quella dei grandi proprietari terrieri che trasferivano la propria residenza nelle campagne portandosi dietro anche alcune categorie di artigiani, consentendo così lo sviluppo di altri agglomerati.
      Il problema che si evidenzia in quello che era definito un processo lungo e discontinuo di smembramento politico e di decadenza urbana, può trovare una spiegazione nella continuità insediativa all'interno di un sito e nei suoi processi di trasformazione.
      Lo sviluppo di diversi tipi di occupazione del suolo e la concentrazione della popolazione in piccole estensioni di terra (siano esse abitate dall'antichità o fondate senza continuità), fecero registrare un fenomeno ben più vasto della semplice costruzione dei castelli, ma che trova in essi la massima ed evidente espressione, fenomeno sfociato nella formazione delle identità cittadine, cioè di una vera e propria creazione giuridica, localizzata nel territorio, nella successiva fortificazione dell'abitato e nella concentrazione dell'insediamento. La creazione giuridica, cioè la costituzione dell'insediamento come entità stabile provvista di confini territoriali, è essenziale per comprendere lo sviluppo delle città e quindi la loro fortificazione.

2. L'incastellamento del nord barese.

      Il fenomeno di «concentrazione» dell'abitato, cioè della presenza umana in un certo territorio, è conosciuto con il termine di «incastellamento».
      L'incastellamento è, in sostanza, l'accentramento di persone in un luogo, la presenza giuridica e quindi la costituzione di una città che, diventando importante per motivi economici o strategici, si costruisce delle mura, che spesso sono anteriori al castello stesso.
      In sostanza, l'incastellamento rappresenta la vera novità del Medioevo e rappresenta la cittadinanza vera e propria, a differenza del castello che, in quanto sede del feudatario, aveva funzioni oppressive e anticittadine.
      La realizzazione di una qualsivoglia fortificazione in Italia meridionale si configura in quei rapporti linguistici che sono definiti dalle fonti storiche chorìon, kàstron, o locus e castellum, rispettivamente insediamento stabile e fortificato, nei quali

 

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il sistema trova la sua organizzazione naturale nello sfruttamento del territorio.
      Nel corso dell'VIII secolo assistiamo allo sviluppo degli insediamenti che, in genere, sono definiti dalle fonti con termini generici. A Bari fu il monaco Bernardo, tra l'864 e l'866 circa a notare che la città era duobus (...) a meridie latissimis munita muris, ma già al tempo del secondo emiro Mufarràg ibn Sallàm (853-856) la prima attestazione sulla presenza di città fortificate ci informa che esse non erano poi così rare; Mufarràg, infatti, «prese e tenne 24 castella».
      In effetti sembra chiaro che una delle più grandi città del Mezzogiorno medievale potesse essere fornita di mura, cioè di elementi fortificati, ma solo nel corso dell'XI secolo abbiamo notizie più precise a riguardo, quando le fonti documentano l'arrivo dei normanni nella Puglia centrale.
      Sul principio degli anni quaranta dell'XI secolo i normanni avevano conquistato numerose città della Puglia dopo una serie di eventi che videro l'affermarsi di questo popolo bellicoso all'indomani di un fatidico incontro con il ribelle antibizantino Melo nel santuario micaelico di Monte Sant'Angelo. Avventurieri o meno, ma comunque ben visti dal Principe di Salerno e dalle città ribellatesi contro i bizantini, i normanni fondarono in Campania il loro primo Stato sotto la guida di Rainulfo Drengot, il quale ottenne dal duca di Napoli, Sergio IV, il territorio di Aversa e il titolo di conte di quella città. La contea non fece altro che richiamare altre schiere. Nel 1041, guidati dal longobardo Arduino, i normanni invasero la Puglia nell'area del Vulture e nel 1043 presero Matera dove elessero a capo della signoria Guglielmo d'Altavilla detto «Braccio di ferro», dichiarandosi vassalli del Principe di Salerno. Alla morte di Guglielmo (1046) successe il fratello Drogone, ucciso a sua volta nel 1051 alle porte di una chiesa presso Bovino e poi sepolto presso la SS.ma Trinità di Venosa. Contemporaneamente alla sostituzione di Drogone con il fratello Unfredo, altri normanni guidati da Roberto il Guiscardo e da Ruggero estendevano le loro conquiste alla Calabria e, successivamente, alla Sicilia. È questo il periodo in cui vengono conquistate Ascoli Satriano e Lavello, mentre Sant'Arcangelo, Montefeltro e Acerenza si sottomisero dopo la disfatta del catapano Basilio Bojohannes nella battaglia di Canne del 1041.
      Le identità urbane sembrano prendere maggiore fisionomia nel momento in cui il cavaliere conquistatore, trasformandosi da nomade a feudatario stabile, provvede alla fortificazione della propria residenza e della città a lui sottomessa. Singolare è il caso del conte Pietro o Pietrone, figlio di Amico, capo di quella schiera di normanni che non riconoscevano l'autorità di Guglielmo Braccio di ferro e di Drogone; egli infatti fortificò le città di Andria, Bisceglie, Corato, Ruvo, Trani e Barletta per costituire una sorta di difesa del territorio, spesso ricostruendo parti di fortificazioni ben più antiche.
      Il valore più importante delle conquiste normanne risiede nel peso che già avevano le città meridionali; soprattutto nella Puglia centrale Bari, Barletta, Bisceglie, Monopoli e Molfetta già in antico rapportavano via mare o erano sorte su insediamenti di tradizione romana. Esse vivevano grazie a una significativa distribuzione, nel loro territorio, di chiese, casali e monasteri. L'interconnessione fra questi elementi, composti da grandi agglomerati e da entità territoriali periferiche - ma non secondarie - era così profonda che anche ai cronisti contemporanei sembrò che le regioni meridionali fossero ricche di aree fertili e incolte (i boschi).
      Quando queste città videro i normanni prendere il posto dei vecchi nemici e rafforzare ancora di più il loro potere, esse esplosero in varie rivolte a partire dal 1050, che si protrassero per lungo tempo. Anche se i baresi nel 1064 stipularono con il Guiscardo un accordo - dovuto alla presenza in città di un partito filonormanno -, ma anche alla consapevolezza che le forze di Bisanzio non erano più in grado di respingere gli attacchi normanni - fu egli stesso che iniziò ad assediare la città il 10 agosto del 1068. Di queste vicende si è occupato R. Bünemann, evidenziando
 

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come, attraverso il blocco dell'importante porto barese e con la costruzione di una serie di fortificazioni lungo la terraferma, il Guiscardo segnò la definitiva conquista normanna.
      Da questo momento il Duca di Puglia inizierà a concedere in servitium case e terre agli uomini a lui fedeli, prassi che spostò il potere economico alla classe commerciale e mercantile che si farà promotrice e committente delle nuove opere monumentali.
      Nel Chronicon Volturnense si afferma che i normanni costruivano ovunque castelli ai quali venivano dati i toponimi di quelle zone, e poiché il castello, la roccaforte, le mura, le opere di difesa, sono generalmente componenti della sicurezza urbana, si comprende come accanto alla fortificazione si formi anche un aggregato di persone.
      L'incremento della circolazione di gruppi etnici d'oltremare, le attività commerciali e marinare inducono alla regolamentazione di alcune norme di costruzione, caratterizzando una tipologia residenziale costituita da spazi ristretti e da usi comuni, come attestano gli atti privati relativi alle abitazioni appartenenti al ceto medio.
      Nella lunga fase della formazione delle identità cittadine non meno importanti, anzi più evidenti delle altre, sono gli edifici di culto, considerati i primi nuclei delle città, rintracciati nei documenti e la cui evidente iconografia e posizione topografica consentono di evidenziare la natura pluricellulare degli insediamenti.
      Una componente interessante di questo periodo è certamente fornita dai benedettini, penetrati in Puglia e in Basilicata dal VII secolo, inizialmente in collisione con la Chiesa greca, ma che poi presero posto in quei luoghi abbandonati già in antico. Da Matera a Bari, dal Gargano sino al Salento, assimilando vari aspetti, tra i quali quelli architettonici, che rientravano nel bagaglio culturale delle maestranze.
      Nelle subregioni oggetto della ricerca, se si esclude il gruppo architettonico franco-normanno (Acerenza, Venosa), piuttosto consistente è il gruppo pugliese, che presenta un'aula divisa in tre navate, uno sviluppo rettilineo delle stesse, un transetto racchiuso da muri continui ed esaforati che trovano i migliori esempi evoluti nella Cattedrale di Bitonto e nella Cattedrale di Trani.

3. La suddivisione del territorio in età normanno-sveva delle località di Trani, Corato e Ruvo come premessa per un fondamento storico di valorizzazione.

      Per poter individuare, all'interno di un territorio o di un insediamento, una residenza fortificata o, in generale, una specifica fortificazione, è necessario ricercare gli insediamenti che conservino, in qualche modo, strutture antiche evidenti. Ciò serve a comprendere che uno studio combinato tra più fortificazioni non può prescindere dagli stessi insediamenti, dalla loro struttura urbanistica, ove sia ravvisabile, dalla loro evoluzione tecnica e architettonica che sono alla base della valorizzazione monumentale e, quindi, del loro riuso.
      Come risulta chiaro dalla documentazione pervenutaci, quando i normanni presero il posto dei bizantini non modificarono l'organizzazione e la presenza dei ceti dirigenti all'interno dei territori conquistati, e con essi anche le tecniche costruttive.
      Il territorio è suddiviso in circoscrizioni amministrative, principalmente in tre grandi province: il Ducatus Apulie, il Principatus Capue, e la Sicilia, che comprendeva anche la Calabria meridionale. Ma è importante soprattutto la comestabulia, una specie di circoscrizione territoriale di tipo militare. Durante il Regno svevo si conserva, a grandi linee, la struttura dello Stato creato da Ruggero II e ripristinato da Enrico VI, ma con un miglioramento soprattutto nell'attività di funzionamento di una burocrazia avulsa dagli ordini cavallereschi e monastici. Il Regno di Sicilia appare più sistematicamente ordinato sia al centro che alla periferia, ma con un solo vertice che è l'Imperatore, nel quale si esprime la volontà dello Stato in ogni

 

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sua espressione. Accanto alla Magna curia Regis, di tradizione normanna, Federico II istituì la Magna curia magistri iusticiarii, un tribunale di prima e di seconda istanza, e le cosiddette «capitanie generali», due grandi territori (che raggruppano a loro volta 8 e 3 regioni), guidati da capitani e da maestri giustizieri: uno partiva da nord presso il fiume Tronto e raggiungeva le porte di Roseto (porta Roseti), tra Basilicata e Calabria; l'altro da Roseto sino all'intera Sicilia. Ciò permetteva di suddividere il Regno delle Due Sicilie in undici giustizierati: Abruzzo, Terra di lavoro con il Contado di Molise, Principato con il territorio di Benevento (Terra Beneventana), Capitanata, Basilicata, Terra di Bari, Terra d'Otranto (tutte queste facevano parte, come si è detto, della «capitania» settentrionale), Val di Crati, Sicilia sino al fiume Salso e Sicilia al di là del Salso. Tale suddivisione rientrò forse in un disegno precedente a Federico II, forse operato da Ruggero II. Le funzioni dei capitani e dei maestri giustizieri sono in questo periodo temporanee, privilegiano circostanze di tipo criminale e, soprattutto, i titolari non dovevano appartenere alla provincia che amministravano. L'amministrazione finanziaria era invece affidata ai maestri camerarii.

4. Gli agglomerati urbani.

      Nel 1044 i capi dei dodici gruppi normanni coinvolti nelle vicende pugliesi si recarono a Melfi (in Basilicata) con l'obbiettivo di «spartirsi la terra, sia quella già conquistata, sia quella da conquistare».
      Allo stato attuale delle ricerche è difficile ricostruire le vicende immediatamente successive alla conquista, tuttavia la fonte principale per questo periodo è il Catalogus Baronum, un elenco della consistenza patrimoniale dei singoli feudi normanni tenuti al servitium feudale in proporzione al loro beneficium, creato in previsione della grande spedizione per opporre resistenza contro la coalizione degli imperatori Federico I Barbarossa (1152-1190) e Manuele I Comneno (1143-1180). In quei luoghi i normanni edificarono non solo dei presìdi difensivi, ma anche veri e propri castelli. Nell'elenco vi sono numerosi abitati che possedevano, all'epoca della compilazione (anni 1154-1169), alte torri su base quadrata che si sono conservate soprattutto in luoghi dove la conformazione geologica dei siti non permette una semplice sovrapposizione di «strati» archeologici.
      Le località afferenti il territorio di Corato, Ruvo di Puglia e Trani facevano parte della comestabulia di Angoth de Arcis di Barletta, che comprendeva Corato, Andria, Canne e Montemilone.
      Se per il periodo normanno è necessario lo studio del Catalogus Baronum, così per l'età sveva è fondamentale lo studio dello Statutum de reparatione castrorum. Si tratta di un'inchiesta che Federico II avviò sulla base di modelli normanni, sulle località tenute alla riparazione delle fortezze regie. Su 250 strutture fortificate censite, la Puglia e la Basilicata ne comprendono circa 111, suddivise tra 69 castra e 42 domus: tra le città che saranno inserite nel demanio intorno al 1240 troviamo Matera (compresa in Terra d'Otranto con Brindisi, Otranto e Taranto); in Terra di Bari con Barletta, Bari e Gravina; in Capitanata con Monte Sant'Angelo, Troia e Termoli.
      Alla Terra di Bari corrispondevano 13 castra e 3 domus, tra cui, appunto, Barletta, Bari, Trani, Canne, Canosa, Andria, Castel del Monte, Corato, Ruvo, Terlizzi, Acquaviva, Gioia, Gravina, Garagnone, Gravina e Santeramo.
      La casistica qui riportata non conferma, allo stato attuale, la presenza di un castello, quanto l'accentramento umano che favorì la costruzione delle fortezze, anche se in realtà qui si vuole intendere anche un complesso di fortificazioni quali le cinte murarie.
      A concorrere alla loro formazione è un insieme di fattori che convergono e focalizzano un insieme di problematiche che coinvolgono le preesistenze, la conformazione geologica, lo sviluppo religioso e, soprattutto, una signoria stabile.

 

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Trani

      Come risulta dalle fonti documentarie e da ricognizioni effettuate nel centro urbano, Trani possiede ancora oggi i resti della prima cinta muraria sorta intorno al IX secolo, per difendersi sia dalle incursioni dei saraceni che da eventuali attacchi interni; di tale nucleo è riconoscibile la cosiddetta «Porta Aurea» o «Antica», ancora visibile nel vicolo tra via Cambio e via La Giudecca, che rappresentava la comunicazione del castrum con il litorale ad oriente. Il percorso di queste prime mura era circolare: esse avevano quattro porte, delle quali una era la porta Vassalla, detta così perché doveva comunicare con la parte bassa della città verso il litorale, ed era situata a partire dalla parte meridionale della Cattedrale sino a Palazzo Gadaleta e via Archivio. Altre due porte erano Porta Nova, presso l'attuale piazza Mazzini, in asse con via Beltrani e quindi con la Cattedrale, e Porta Vetere, anticamente indicata come Porta Barletta, perché metteva in comunicazione la zona occidentale della città con Barletta.
      Da ricordare è che con l'epoca degli Angioini, tra il XIV e il XV secolo, la città iniziò a sviluppare l'area urbana proprio a ridosso della Porta Nova e di Piazza San Marco (l'area della Chiesa di Santa Teresa); due importanti resti di tale area urbana sono il Palazzo Palavano, poi Festa Campanile, poi Lambert, e il Palazzo Caccetta.
      Nel XIX secolo la città operò il definitivo sconfinamento verso est e verso sud, con lo scavallamento della cinta muraria, che comprimeva il suo sviluppo anche verso l'entroterra agrario, e anzi con la sua distruzione; nacque l'attuale via Bovio.
      Le mura di Trani, inoltre, hanno memorie ben più recenti, che si rifanno agli anni terribili della Repubblica napoletana e dei moti del 1799. Quando nei primi giorni di febbraio del 1799 giunse a Trani la notizia della proclamazione della Repubblica napoletana, alcuni cittadini di idee liberali e favorevoli alla Repubblica, guidati da Raffaele de Felice, Francesco Pace, Cataldo Lo Manto e Giuseppe Forges Davanzati, si insediarono nel palazzo comunale dichiarando decaduti il sindaco e gli eletti della città.
      Nei giorni successivi, sino al mese di marzo, numerosi delitti furono perpetrati proprio a ridosso delle mura medievali, che furono infine cannoneggiate sino al mese di aprile, quando i francesi assalirono la città e la incendiarono quasi del tutto, trucidando oltre 500 persone.

Corato

      L'insediamento di Corato, per la struttura urbanistica accentrata, risale all'VIII-IX secolo dopo Cristo, anche se ben note sono le vicende dei ritrovamenti di sepolcri e di insediamenti preistorici, alcuni riferibili all'ultimo fenomeno dei dolmen nell'Europa meridionale. Alcuni lo fanno risalire all'insediamento di Budas, corruzione probabile del termine «rudas» (ruderi), come annota una mappa risalente al I-IV secolo dopo Cristo, la cosiddetta «Tabula Peutingeriana»; al di là della questione se sia o no l'antica Rudas (da non confondere con Rubos-Ruvo di Puglia, anch'esso citato nell'antichissima mappa), è possibile pensare che Corato venga da Quadratum, che potrebbe far pensare ad un quadrivio, oppure ad un Coretum (aggolomerato urbano di tipo rurale) attestato 1046, nel poema epico-storico del maggiore cantore delle gesta dei normanni, Guglielmo Appulo «De rebus normannorum» o «Res gestae Roberti Viscardi». La fonte storica afferma che «Pietro di Trani fondò Andria, e poi fabbricò Corato, ed edificò sul mare Bisceglie e Barletta».
      Ma è proprio con la costruzione delle mura che ha inizio la storia di Corato, a partire dalle tracce ravvisabili all'interno dell'ex convento francescano dei frati minori, oggi Palazzo di città, che rappresenta, in qualche modo, il residuo del margine urbano più antico di Corato, anteriore quindi al XVI secolo.
      Nel nucleo antichissimo resti di torri di epoca angioina, della metà-fine del XIII secolo, sono rintracciabili nella via Genzano, via Mercato e via Roma, mentre

 

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sembra ricomparire nell'attuale via San Benedetto e nell'incrocio fra via Milazzo e via Gentile.

Ruvo di Puglia

      Se è vero che alla base di ogni ricerca sta la valutazione delle fonti, ciò che riguarda la città di Ruvo di Puglia è, insieme a Trani e a Corato, l'emblema della valorizzazione culturale del territorio.
      Negli ultimi anni si è assistito a restauri di numerosi monumenti i quali, poiché ubicati nei centri storici, hanno conservato complesse stratificazioni nel sottosuolo e negli elevati, da considerare secondo i più moderni metodi di scavo. E, nonostante questo concetto abbia trovato numerosi assensi, in Puglia resta ancora un traguardo da superare nella pratica, quando siamo di fronte a complessi monumentali di rilievo.
      Per comprendere il fenomeno dell'introduzione del cristianesimo a Ruvo e, quindi, la possibilità di riscontrare una continuità insediativa dall'età romana a quella medievale, è necessario soffermarsi su alcuni dati topografici della Ruvo antica.
      In età preromana il territorio di Rubi confinava con quelli di Canusium a nord e di Butuntum a sud, estendendosi maggiormente ad ovest verso il territorio di Silvium (Gravina). La particolare posizione geografica permise uno sviluppo del centro peuceta in concomitanza con quelli confinanti; numerosi ritrovamenti dimostrano che Ruvo fu uno dei centri urbani che ha restituito numerosi materiali fittili e tombali, molti dei quali sono esposti nel locale Museo nazionale. A questa documentazione, relativa ai secoli X-III avanti Cristo, individuata soprattutto in aree periferiche rispetto all'attuale centro medievale, si hanno alcune notizie relative al periodo romano. Ruvo è ricordata da Orazio come tappa del suo viaggio da Roma a Brindisi, e questa via è identificata concordemente con la strada che nel II secolo dopo Cristo diventerà l'Appia traiana. I Rubustini erano inseriti da Plinio (Nat. Hist. 111, 105) nell'elenco alfabetico di quelle popolazioni della Regio Secunda, e lo stesso territorio di Ruvo è registrato nel Liber Coloniarum (1,262 L) tra quelli soggetti a divisioni agrarie avvenute durante l'impero di Vespasiano; infine, la città di Rubos compare negli itineraria antichi sull'asse viario che da Canosa dirigeva verso Bari e Brindisi (Itinerarium Antonini, 116-117: Canusio XXIII, Rubos XI, Butruntus XII, Varia; Itinerarium Burdigalense, 609-610: Civitas Canusio XV, Mutatio Ad Quintodecimo XV Civitas Rubos XI, Mutatio Butontones XI, Civitas Beroes). Il fatto che l'Itinerarium Burdigalense menzioni Ruvo come civitas consente di ipotizzare una certa vitalità del centro nel VI secolo dopo Cristo, contemporaneamente alla divisione in centurie del territorio, mentre la Tabula Peutingeriana, VI, 5, così riporta: «Rudas XII (Corato?sud di Andria?), Rubos VIII, Butuntos VIII (Bitonto) (...)».
      Le fonti esaminate, relative ai secoli I avanti Cristo-VII dopo Cristo, attestano, quindi, l'esistenza del centro urbano di Ruvo collegata con Canusium e Butuntum dalla via Appia traiana. I resti di questa via furono intercettati nel 1970, durante alcuni lavori di sterro, fra le attuali via Garibaldi e via Saffo, ad una quota di 2 metri dal piano.
      Il selciato, con i segni delle ruote dei carri, aveva un andamento nordovest-sudest e doveva, probabilmente, entrare nell'abitato attraverso la porta Castello; provenendo da via vecchia Corato e proseguendo lungo via De Gasperi, attraversava l'antica città sino alla porta Noha o Noè, lungo le mura medievali di epoca angioina.
      Nella piazza Cattedrale fu scoperta un'altra iscrizione, che può definirsi come un titulus Operum puplicorum, segnalando che i lavori per la costruzione di mura e di torri, ex decurionum decreto, sono stati presi in appalto dai quattuorviri quinquennali A. Alsinae e Claudio Rufo. L'iscrizione è importante perché offre le prime testimonianze relative alla magistratura del municipio di Rubi e alla tribù Claudia, cui la città di Ruvo era ascritta. L'epigrafe,

 

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inoltre, attesta l'esistenza di cinta murarie con torri, il che lascia dedurre che Ruvo risenta del programma di ristrutturazione sia istituzionale che urbanistico, avvenuto in seguito alla ribellione dei socii nel 90-88 avanti Cristo.
      Risulta peraltro difficile dire che l'andamento urbano delle mura romane riprendeva un tracciato più antico, tuttavia, il perimetro si potrebbe ricostruire in base alla geomorfologia e ai rinvenimenti archeologici di età romana. Le porte rappresentavano, quindi, il punto di collegamento tra lo spazio urbano ed extra-urbano. Le mura dovevano, poi, essere provviste di torri circolari.
      Un ultimo rinvenimento di età romana fa comprendere come la cinta muraria della città attuale sia stata probabilmente realizzata su resti ben più antichi. Nei pressi della strada Sant'Angelo (attuale corso Piave), non lontano da porta Nuova, sono state rinvenute tre tombe allineate a breve distanza l'una dall'altra con tre lapidi marmoree iscritte, che rivelano un'ulteriore dimostrazione dell'esistenza di un contesto urbano romano: i seppellimenti, infatti, in base alla lex Julia e Municipaliis dovevano trovarsi fuori la cinta muraria.
      È possibile, in conclusione, individuare nel centro medievale di Ruvo di Puglia alcune persistenze insediative che vanno dall'età romana a quella altomedievale. Anzi, la presenza di almeno due assi viari fece sviluppare su due direttive il centro medievale. Infatti, dalle attuali vie V. Veneto-A. De Gasperi, che ricalcano più o meno il percorso della via Traiana e via Cattedrale, si notano diramazioni ortogonali di strade e di vicoli caratterizzate da unità edilizie che formano il centro storico e che dovettero condizionare, con una certa continuità, l'organizzazione dello spazio urbano, che trovava il suo «recinto» nelle mura ancora oggi ben visibili e percorribili, ma degne di essere restaurate e valorizzate.

5. Conclusioni e proposte di recupero.

      I tre insediamenti citati, Trani, Corato e Ruvo di Puglia, da anni e soprattutto di recente hanno puntato verso una qualifica di ripopolamento del centro storico attraverso una serie di restauri mirati e di programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile.
      Al fine di una piena attuazione di tale politica culturale non può mancare la segnalazione di una presenza monumentale notevole quali le cinte murarie, delle quali è possibile proporre una tutela specifica in quanto trattasi di elementi plurimillenari.
      La qualifica concerne non solo il restauro in sé del bene culturale, ma la riqualificazione dell'intera area di rispetto del bene stesso, il quale, una volta recuperato, non sarà più soggetto a forme di abusivismo più o meno diretto.
      Con la riqualificazione del bene i centri storici saranno maggiormente soggetti a interesse della pubblica opinione, che è l'interesse più prezioso e importante della nostra politica di tutela del paesaggio; insieme a questa avremo una possibilità di recupero del sostrato artigianale e turistico che supera le normali ore di visita turistica, creando dei veri e propri «musei all'aperto».

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge promuove la valorizzazione e il recupero delle cinte murarie medioevali e postmedievali dei comuni di Trani, Corato e Ruvo di Puglia, situati nel territorio nord barese.
      2. Le cinte murarie medioevali e postmedievali di cui al comma 1 fanno parte del patrimonio storico-culturale-archeologico della provincia di Bari e delle sue origini romaniche e normanne.

Art. 2.
(Comitato provinciale per la valorizzazione e il recupero delle cinte murarie medioevali e postmedievali).

      1. Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione della giunta provinciale di Bari, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali è istituito il comitato provinciale per la valorizzazione e il recupero delle cinte murarie medievali e postmedievali di Trani, Corato e Ruvo di Puglia, di seguito denominato «comitato».
      2. Il comitato è costituito da:

          a) un rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali, designato dal Ministro stesso;

          b) un rappresentante della regione Puglia, designato dal presidente della giunta regionale;

          c) un rappresentante dell'amministrazione provinciale di Bari, designato dal presidente della provincia;

          d) un rappresentante per ciascuno dei comuni di Trani, Corato e Ruvo di

 

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Puglia, designati dal sindaco del rispettivo comune.

      3. Il comitato ha il compito di:

          a) individuare gli interventi necessari per il pieno recupero delle cinte murarie medievali e postmedievali oggetto della presente legge e le linee guida per un successivo utilizzo di valenza economico-culturale che non alteri la natura di testimonianza storico-culturale dei beni stessi;

          b) individuare le fonti di finanziamento di natura pubblica, regionale, statale e comunitaria, attivabili in funzione del restauro e, successivamente, della manutenzione delle cinte murarie medioevali e postmedievali;

          c) individuare le possibili fonti di finanziamento di natura privata, tramite sponsorizzazioni e previsione di possibili regimi concessori per l'utilizzo delle cinte murarie medievali e postmedievali;

          d) porre in essere ogni iniziativa per il reperimento delle fonti di finanziamento di cui alle lettere b) e c);

          e) promuovere la conoscenza della ubicazione e delle caratteristiche costruttive delle cinte murarie medioevali e postmedievali a livello nazionale e internazionale;

          f) predisporre e pubblicizzare un itinerario turistico e culturale in collegamento con le altre vestigia medioevali, postmedievali o di epoche successive che insistono sul territorio della provincia di Bari.

      4. Il comitato è dotato di autonomia gestionale e contabile e la sua attività è finanziata tramite appositi fondi pubblici e privati.


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