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PDL 1032-A-bis

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1032-A-bis



 

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RELAZIONE DELLA XI COMMISSIONE PERMANENTE
(LAVORO PUBBLICO E PRIVATO)

presentata alla Presidenza il 22 aprile 2004

(Relatore: Alfonso GIANNI, di minoranza)

sulla

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BERTINOTTI, GIORDANO, ALFONSO GIANNI, DEIANA, TITTI DE SIMONE, MASCIA, MANTOVANI, RUSSO SPENA, PISAPIA, VALPIANA, VENDOLA

Istituzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione
automatico delle retribuzioni da lavoro dipendente

Presentata il 22 giugno 2001

 

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Onorevoli Colleghi, - La presente proposta di legge si propone l'obiettivo di conservare il valore reale delle retribuzioni da lavoro dipendente, difendendole dall'aumento dell'inflazione.
      I salari e gli stipendi hanno, infatti, costantemente perso capacità d'acquisto, in particolare da quando l'accordo triangolare del luglio 1992 tra Governo, Confindustria e sindacati ha posto definitivamente fine a ciò che rimaneva del vecchio istituto della scala mobile, istituendo invece il metodo della cosiddetta inflazione programmata, entro la quale stabilire il livello degli aumenti retributivi contrattualmente definiti.
      Complessivamente quel sistema non ha funzionato quanto alla sua presunta capacità di tutelare il valore reale delle retribuzioni. Infatti il verificarsi di una differenza annuale fra inflazione programmata e inflazione reale, non colmata da aggiustamenti retributivi ottenuti per via contrattuale, ha provocato una perdita costante del potere di acquisto dei salari e degli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici nel nostro Paese.
      Questa situazione rappresenta ormai un'eccezione italiana negativa nel contesto europeo e dei Paesi industrializzati facenti parte dell'OCSE.
      Il tasso di inflazione procede a ritmi molto superiori alle retribuzioni. L'incremento di prezzo dei generi di prima necessità è più del doppio della media dell'inflazione. Se, poi, si guarda al costo dei servizi, della casa, dei trasporti, gli aumenti vanno ben oltre il 10 per cento.
      Le famiglie si impoveriscono, l'intera società declina. La perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni aggrava la crisi economica.
      Nel corso dell'esame in sede referente, la Commissione lavoro ha proceduto all'audizione, tra gli altri, dell'EURISPES e dell'ISTAT. Va ricordato che - secondo le stime dell'ISTAT relative ai dati del 2002 - il 4,2 per cento delle famiglie italiane (926 mila famiglie) vive al di sotto della soglia di povertà assoluta, che denota l'incapacità all'acquisto di un paniere di determinati beni e servizi essenziali. Un ulteriore 11 per cento delle famiglie (2 milioni e 456 mila famiglie) vive in condizioni di povertà relativa, determinata annualmente rispetto alla spesa media mensile procapite per consumi delle famiglie. In sostanza, per una famiglia di due persone, la soglia di povertà relativa è pari a una spesa di 823,45 euro mensili. Questi dati dipingono un paese in condizioni di difficoltà, in cui significative parti della società fanno fatica a reagire all'aumento dei prezzi e rimangono quindi anche estranei a manovre ipoteticamente volte a rilanciare i consumi.
      Non a caso, il documento consegnato alla Commissione dell'EURISPES esordisce con le seguenti parole: «Le retribuzioni in Italia nel triennio 2001-2003 sono rimaste al palo, i prezzi sono aumentati in modo considerevole e conseguentemente il potere di acquisto è diminuito drasticamente, con ripercussioni evidenti sui consumi e sulle possibilità di sostenere lo sviluppo attraverso il tradizionale e sperimentato metodo basato sull'aumento della domanda interna come fattore di base del rilancio della produzione e dello sviluppo». Il tasso di inflazione sarebbe cresciuto - sempre nel periodo 2001-2003 - di ben 16 punti percentuali, secondo l'Eurispes.
      Proprio su tale dato si è incentrata l'audizione dell'ISTAT, che lo ha ritenuto eccessivo. Anche l'ISTAT, tuttavia, ha stimato in 7,6 punti percentuali l'andamento inflazionistico nel periodo 2001-2003, di cui solo uno 0,5 per cento dovuto all'ingresso dell'EURO.
 

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      Anche nel 2003, sempre tenendo a riferimento i dati ISTAT, i lavoratori italiani hanno continuato a perdere colpi: mentre i prezzi sono cresciuti del 2,7 per cento, i salari hanno avuto un modesto incremento del 2,1 per cento.
      Di recente l'IRES, ossia l'autorevole centro studi della CGIL ha elaborato uno studio, sull'andamento del rapporto tra retribuzioni e inflazioni nel periodo compreso fra il 1992 e il 2003. Di tale studio si riportano alcuni stralci e si allegano alcuni significativi grafici.
      «Tra il 1992 e il 1995 le retribuzioni crescono meno dell'inflazione, scontando il venire meno della scala mobile e l'entrata a regime del protocollo del luglio 1993.
      Tra il 1996 e il 2001 si recupera il potere di acquisto delle retribuzioni, poiché per quattro anni consecutivi (1996-2000) non solo si tiene il passo con l'inflazione effettiva, ma si ridistribuisce al lavoro una parte della produttività di quegli anni. Crescono i salari contrattuali (+0,1 per cento), crescono anche i salari di fatto (+0,4 per cento). Questo va considerato il "periodo migliore della politica dei redditi", grazie al buon funzionamento della concertazione tra parti sociali e governo. La crescita delle retribuzioni di quegli anni è stata pari allo 0,5 per cento; le retribuzioni, cioè, sono cresciute nel loro valore di circa 110 euro all'anno.
      Negli ultimi anni, in particolare dal 2002, è ripreso il declino della tenuta del potere di acquisto: prima solo nell'elemento contrattuale (-0,3), poi, nel 2003, perdono sia le retribuzioni contrattuali sia quelle di fatto (-0,5 ; -1). Gli ultimi 24 mesi sono quelli in cui il governo ha abbandonato la politica dei redditi e della concertazione. L'inflazione programmata è stata la metà di quella effettiva. Il governo ha rinunciato ad applicare quanto previsto dal 23 luglio, relativo al price-cap e alla vigilanza sui prezzi prevista in relazione all'introduzione dell'euro.
      La quota di produttività andata al lavoro è stata assai scarsa. Si è evidenziato, inoltre, un problema con gli altri paesi europei nei quali, a parità di produttività, vi è stata una maggiore ridistribuzione al lavoro (a parità di produttività, 21,1 per cento, al lavoro in Italia è andato il 3,3 per cento, in Germania il 9,1); con alcuni di essi vi è anche un problema di differenziale di produttività e quindi di competitività da recuperare».

      Analizzando la situazione occupazionale italiana negli ultimi anni risulta poi confermato che un regime di bassi salari, accompagnato addirittura dalla diminuzione costante del loro valore reale, legata all'aumento del tasso di inflazione non solo non favorisce lo sviluppo dell'occupazione, ma accompagna la tendenza all'aumento della disoccupazione.
      Bisogna perciò definire legislativamente un nuovo meccanismo che difenda in modo automatico il valore reale delle retribuzioni, visto che il rinvio alla contrattazione pura e semplice si dimostra inefficace al raggiungimento di tale obiettivo. Il meccanismo proposto, pertanto, non viola e non si sostituisce alla contrattazione tra le parti sociali, ma interviene solo nel caso in cui l'inflazione programmata sia più bassa di quella reale, lasciando inalterati i contenuti degli accordi sindacali vigenti in materia e consentendo anche un rilancio dei consumi popolari. Lo scopo della proposta, insomma, non è quello di ridimensionare il ruolo delle parti sociali, che anzi potrebbero con maggiore libertà svolgere il proprio ruolo naturale di rappresentanza e di confronto di interessi contrapposti.
      Il meccanismo individuato nella presente proposta di legge prevede che, qualora l'inflazione reale si riveli superiore a quella programmata, in base alla quale, in osservanza degli accordi sindacali sul costo del lavoro, sono stati calcolati gli aumenti retributivi contrattuali, la differenza, corrispondente alla derivante diminuzione del valore reale delle retribuzioni, venga inserita nella busta paga dei lavoratori dipendenti da imprese private e pubbliche, entro il primo mese dell'anno successivo a quello di riferimento. A tale titolo nulla sarebbe dovuto da parte dei datori di lavoro nel caso in cui l'inflazione reale coincidesse con quella programmata.
 

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      Nell'articolo unico della presente proposta di legge, al comma 1, si prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri entro il 30 settembre di ogni anno proceda ad una verifica dell'eventuale scostamento tra la variazione media dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevata dall'Istituto nazionale di statistica per i dodici mesi precedenti e la percentuale di inflazione programmata, prevista dal Documento di programmazione economico-finanziaria. Si stabilisce, inoltre, al comma 3, che con legge finanziaria si provvede sia a quantificare che a dare copertura all'eventuale onere derivante dall'attuazione della legge. Va comunque sottolineato che il meccanismo individuato influirà positivamente sulle entrate tributarie dello Stato.
      Lo strumento di indicizzazione automatica proposto, pur ispirandosi al principio della salvaguardia del valore reale delle retribuzioni, differisce dal vecchio sistema di «scala mobile», adattandosi alle condizioni stabilite dalle relazioni sindacali nel frattempo intervenute, sulle quali non compete al Parlamento intervenire.
      In sostanza viene introdotta una «clausola di salvaguardia», cioè un meccanismo che, intervenendo a posteriori e non a priori (come era negli scatti di punti di scala mobile), recuperi lo scostamento tra inflazione programmata e inflazione».
      In particolare, il meccanismo che proponiamo non viola e non si sostituisce alla contrattazione tra le parti sociali, anzi, la presuppone, poiché interviene solo nel caso che l'inflazione programmata sia più bassa di quella reale, ma lascia inalterati, a prescindere da ogni giudizio di merito che i proponenti possano avere, i contenuti degli accordi sindacali vigenti in materia. Riteniamo, inoltre, che la nostra proposta di legge restituisca alla contrattazione tra le parti i propri compiti che non sono quelli di rincorrere l'inflazione, ma di redistribuire socialmente, naturalmente secondo i rapporti di forza sindacalmente determinatisi, l'aumento di produttività verificatosi, ed il conseguente aumento dei profitti, e di intervenire nel merito delle questioni normative e organizzative che regolano il rapporto di lavoro e l'esercizio concreto della prestazione lavorativa, con lo scopo di migliorare le condizioni e l'ambiente di lavoro.
      In sostanza, la difesa per legge del valore reale delle retribuzioni è una condizione necessaria e favorevole e non un ostacolo al dispiegarsi della contrattazione sindacale e all'elevamento della qualificazione dei suoi obiettivi.
      Infine, va sottolineato che la vecchia obiezione secondo cui la «scala mobile» avrebbe favorito le impennate inflazionistiche - tesi già assai discutibile e, in effetti, sottoposta a radicale contestazione da molti autorevoli economisti - è in questo caso priva di qualunque fondamento, dal momento che il riadeguamento automatico delle retribuzioni non avverrebbe più a scadenza trimestrale, bensì una volta l'anno e solo nel caso del verificarsi di uno scostamento tra la realtà e le previsioni.
      In tale modo il meccanismo proposto può, al contrario, fungere da efficace deterrente nei confronti di tendenze all'innalzamento dei prezzi.
      In proposito, va ricordato che un meccanismo simile a quello proposto con il testo che si sottopone all'esame dell'Assemblea è stato per anni sperimentato nel settore dell'artigianato, prima dell'attuale rinnovo contrattuale che si è mosso in un'ottica peggiorativa. Ebbene, in questo settore non marginale per anni si è fatto ricorso ad un meccanismo di recupero annuale del valore delle retribuzioni, con soddisfazione di tutte le parti sociali coinvolte, ivi comprese quelle datoriali, come è emerso nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione lavoro.
      Auspichiamo perciò, l'approvazione della presente proposta di legge. La salvaguardia del valore reale delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti risponde allo stesso dettato costituzionale, che garantisce il diritto di ogni lavoratore di percepire costantemente nel tempo una retribuzione adeguata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Alfonso GIANNI, Relatore di minoranza

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