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PDL 4759

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4759



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ANGELA NAPOLI

Disciplina del sistema nazionale di istruzione

Presentata il 26 febbraio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si pone come naturale completamento, sul versante giuridico-istituzionale e organizzativo-gestionale, di quanto contenuto nella legge delega 28 marzo 2003, n. 53, che definisce le norme generali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale per i vari ordini e gradi di scuola. Le profonde innovazioni apportate che ridisegnano dalle fondamenta tutto l'assetto degli ordinamenti scolastici, esigono che, contestualmente e secondo la medesima visione politica della riforma, sia definito un corrispondente nuovo sistema giuridico-istituzionale e organizzativo-gestionale che adegui l'attuale sistema nazionale di istruzione alle inderogabili esigenze della medesima riforma, ancora in fase di completa definizione normativa.
      Determinato il nuovo «statuto» degli ordinamenti scolastici, coerentemente e conseguentemente va ridefinito lo «statuto» del sistema nazionale di istruzione.
      La presente proposta di legge, congiuntamente ai contenuti della legge n. 53 del 2003, ha la valenza di un progetto politico diretto a definire - nella sua compiutezza - un progetto di scuola, in regime di autonomia e nella previsione di un assetto federalista dello Stato.
      Avviato il vasto e profondo processo di rinnovamento di tutta la scuola italiana, in parallelo e contestualmente vanno ridefiniti i profili istituzionali e normativi di tutto il nuovo sistema, ancora ampiamente in fieri. Dare una direzione di marcia condivisa a tutto il processo innovativo in atto diventa, allora, una esigenza politica non più eludibile.
      La legge n. 53 del 2003 abbatte, d'un sol colpo, oltre mezzo secolo di discontinuità normativa proprio in tema di definizione di piani e programmi di studio. I
 

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documenti programmatici, relativi ai vari ordini e gradi di scuola, sono sempre stati elaborati in epoche diverse, per cui elemento comune di essi è la loro discontinuità nel tempo. La legge n. 53 del 2003 ripiana, tra l'altro, anche tale gravissimo inconveniente.
      Una seconda, e non superflua, circostanza è quella che vede, oggi, tutte le istituzioni scolastiche possedere la medesima configurazione giuridico-istituzionale e organizzativa, in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione e dell'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59 (personalità giuridica di diritto pubblico con una propria rappresentanza legale; autonomia didattica; autonomia organizzativa; autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo; autonomia finanziaria; autonomia negoziale e, infine, in regime di autonomia funzionale).
      La concomitanza delle due circostanze rende l'attuale momento storico del tutto irripetibile ai fini di una riforma «globale» della scuola italiana, sia sotto il profilo della ridefinizione degli ordinamenti scolastici che di un suo nuovo ordinamento giuridico-funzionale.
      Definire un tale tipo di riforma significa dare a ciascuna istituzione scolastica non solo la medesima qualità, il medesimo valore, la medesima continuità di evoluzione e sviluppo, ma anche fissare per tutte il medesimo momento di decollo. Una scuola nuova per tempi nuovi.

La necessità di un «progetto politico» per il governo del sistema nazionale di istruzione, in regime di autonomia, nella previsione di un assetto federalista dello Stato.

      È in atto, dalla fine degli anni '80, una riforma globale della pubblica amministrazione, che sta ridisegnando dalle fondamenta tutto l'assetto istituzionale e organizzativo dello Stato, scuola compresa, cercando di dare ad esso una nuova identità e un nuovo ruolo politico. L'opera di riforma, comunque, non è ancora compiuta. Le ulteriori scelte di fondo non risultano ancora sufficientemente definite, dibattute e condivise. Ci sono ancora, in materia, contraddizioni profonde proprio sui profili istituzionali e organizzativi da dare ai nuovi assetti. Tuttavia, la previsione di una struttura federalista dello Stato non sembra più contestabile; rientra nella comune, e condivisa, previsione politica.
      All'interno di un tale processo evolutivo si situano, oggi, il «sistema nazionale di istruzione» e il nuovo sistema di autonomia della scuola, per come risultano definiti in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione e dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, i cui principali provvedimenti attuativi risultano essere il decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59, sul conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto; il regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275; il regolamento concernente le «Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche», di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, e la legge 10 marzo 2000, n. 62, sulla parità scolastica.
      Nuovo «sistema» ancora in fase di compiuta definizione normativa, in quanto mancante della riforma degli organi collegiali interni all'istituzione scolastica, ai quali assegnare un ruolo strategico fondante per il «progetto di scuola» che si vuole realizzare. Di qui la necessità di una legge di riforma - non più dilazionabile - che disegni un assetto di poteri d'azione e spazi d'azione - fatto di pesi e contrappesi - che consenta ad ogni singola istituzione di adempiere per il conseguimento delle finalità poste. Poteri e spazi come segno distintivo di una autonomia di gestione che radica il proprio divenire storico nella multiforme realtà sociale dei diversi contesti territoriali, tuttavia all'interno di una visione unitaria di «sistema nazionale».
      Ad oggi - alla luce della normativa citata - la configurazione istituzionale,

 

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giuridica e organizzativa, di ogni istituzione scolastica risulta essere la seguente:

          ogni istituzione scolastica è ente di diritto pubblico, in quanto fornita di personalità giuridica di diritto pubblico, con una propria rappresentanza legale;

          ogni istituzione scolastica è organizzata attraverso modelli di autonomia: autonomia didattica; autonomia organizzativa; autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo; autonomia finanziaria e autonomia negoziale;

          ogni istituzione scolastica ha come suo preposto stabile (titolare) un dirigente scolastico, al quale fa anche capo la «responsabilità di risultati». Dirigenza scolastica che ha - a propria fonte generativa - la funzione docente ai sensi dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione. La dirigenza scolastica, infatti, viene prevista (articolo 21, comma 16, della legge n. 59 del 1997) nel rispetto della libertà di insegnamento e delle competenze degli organi collegiali scolastici.

      Infine: «Le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale (...)» (articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999). Ai fini della definizione di una «Disciplina del sistema nazionale di istruzione» tale qualificazione acquista rilievo determinante.
      In campo giuridico le autonomie funzionali sono rappresentate da enti pubblici dotati di una peculiare forma di autonomia sia dallo Stato che dagli altri enti territoriali e locali. Oggi siamo in presenza di tipologie di enti pubblici costituenti una sorta di tertium genus tra lo Stato-persona e l'ente territoriale.
      Si afferma, così, un principio profondamente innovativo, avente rilievo costituzionale alla luce dell'articolo 2 della Costituzione (la scuola è una formazione sociale). La devoluzione di funzioni dal centro agli organi più prossimi ai destinatari dell'azione amministrativa, non necessariamente deve seguire gli schemi organizzativi dello Stato-persona: dal centro alle regioni, alle province, ai comuni e agli altri enti locali, ma - ove ricorrano determinati presupposti - detta devoluzione si concretizza in modelli di autorganizzazione di gruppi sociali, cioè costruiti su settori di interessi di categorie sociali non aventi rilievo specificatamente territoriale, che cioè non si esauriscono all'interno dell'ente locale. Nel caso in esame, la finalità istituzionale del pubblico servizio scolastico (definito come «sistema nazionale di istruzione») - che è quella di educare, formare anche professionalmente ed istruire il soggetto discente - non si esaurisce nei confini di questo o quell'ente territoriale, ma rappresenta un principio fondante della nostra democrazia politica, costituendo il «sistema» un servizio da rendere alla persona e al Paese. Altro problema è che tale «servizio» debba essere reso in rapporto alle differenziate esigenze sociali rilevate in situazione, ma a ciò soccorre l'organizzazione autonoma delle istituzioni scolastiche (articolo 21 della legge n. 59 del 1997 e regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999).
      Di qui la riserva di legge prevista in materia (nel senso della esclusione del conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti riconducibili ad una serie di materie tra cui «istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell'istruzione scolastica e stato giuridico del personale» - articolo 1, comma 3, lettera q), della legge n. 59 del 1997).
      La libertà e l'autonomia della scuola, la libertà e l'autonomia della funzione docente e la libertà e l'autonomia del soggetto che apprende non sono state messe - dal legislatore costituente - nella disponibilità del potere esecutivo, sia centrale che locale.
      Nella legge di delega n. 59 del 1997, il legislatore utilizza la formula dell'autonomia funzionale sia come categoria di carattere generale riferita ad enti cui il legislatore attribuisce - in autonomia - funzioni e compiti amministrativi sottratti alle regioni e agli enti territoriali e locali, sia in considerazione a specifici istituti

 

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(come le università, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di seguito denominati «camere di commercio» e, oggi, anche le istituzioni scolastiche).
      Proprio in tale previsione, nell'articolo 1, comma 4, lettera d), della citata legge n. 59 del 1997, vengono esclusi dal conferimento alle regioni e agli enti locali «i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale». In tale regime rientrano, oggi, anche le istituzioni scolastiche (articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999).
      Ad oggi, le istituzioni scolastiche non appartengono più all'amministrazione periferica della pubblica istruzione, ma assumono la veste, appunto, di autonomie funzionali con una propria peculiarità ordinamentale.
      Con dette autonomie è stato ripensato l'impianto complessivo del decentramento amministrativo e dei modelli organizzativi che lo compongono. Esse costituiscono forma di attuazione del principio di sussidiarietà il quale, tuttavia, non presenta soltanto una dimensione verticale (limitata ai rapporti tra entità territoriali di diverso livello Stato-regioni-enti locali) ma presenta, altresì, una dimensione orizzontale riguardante le relazioni tra lo Stato e le diverse espressioni del pluralismo sociale.
      In tale contesto le autonomie funzionali costituiscono esplicitazione della sussidiarietà orizzontale; vale a dire una proiezione dell'essenziale funzione delle comunità intermedie in cui si svolge la personalità dell'uomo (articolo 2 della Costituzione). Ad esse, perciò, va assicurata - anche nella previsione di un assetto federalista dello Stato - una naturale equidistanza sia da forme di centralismo statalista che da un assorbimento delle stesse da parte delle regioni. È a questa sola condizione che può essere assicurato al «servizio» il carattere di nazionale e di garante effettivo del diritto di eguaglianza sostanziale nei confronti di tutti e di ciascuno.
      L'autonomia territoriale non è certamente l'unico livello di possibile autonomia; essa, infatti, può soddisfare determinate esigenze, non tutte le esigenze. È fuor di dubbio che l'autonomia delle istituzioni scolastiche - anche in termini di autonomia funzionale - non può avere la medesima connotazione dell'autonomia degli enti locali, trattandosi di due piani del tutto differenziati. Quello che invece va curato è che l'autonomia delle stesse istituzioni si integri nel tessuto degli enti locali, pur non identificandosi con essi. Esse, cioè, devono divenire la struttura fondamentale del «sistema nazionale di istruzione», capaci, in quanto autonome, di collegarsi nel modo più efficace con il tessuto produttivo e con i soggetti istituzionali presenti nel territorio. Scelta politica di fondo diventa, allora, quella di dare ad esse una struttura organizzativa robusta e complessa e un sistema di poteri d'azione e spazi d'azione - in termini di attribuzioni - per aree di intervento che, per natura e finalità, vanno ricondotti alla scuola. Creare, cioè, un sistema complesso e omogeneo che si integri sinergicamente con gli enti locali, senza tuttavia che ciò crei antagonismi, attraverso la definizione di modelli organizzativi coerenti con le differenziate esigenze dei contesti territoriali e nel solco della attuale possibilità delle regioni di poter attribuire o delegare proprie funzioni alle autonomie funzionali (decreto legislativo n. 112 del 1998, articolo 1, comma 1). Area di interventi, questa, che certamente va ulteriormente chiarita, affinché le autonomie funzionali (in questa sede rilevano le istituzioni scolastiche) diventino un fattore dinamico di evoluzione del sistema economico e formativo, tuttavia nella misura in cui esse siano realmente sostenute e adeguatamente supportate. Come è ben noto, sono in regime di autonomia funzionale anche le università e le camere di commercio.
      La vigente normativa in materia è la risultante di una duplice, e confliggente, posizione politica: da una parte la tendenza delle amministrazioni locali a rivendicare una posizione di sovra - ordinazione sul sistema scolastico, in quanto settore direttamente connesso allo sviluppo delle politiche sociali territoriali,
 

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dall'altra - proprio nel timore che l'autonomia delle istituzioni scolastiche risultasse schiacciata da un'indebita invadenza delle regioni e degli enti locali - la tendenza a conferire alle stesse istituzioni un regime di autonomia funzionale, come tertium genus, tra Stato ed enti territoriali e locali.
      Dallo scontro - incontro tra le due posizioni è nata - di fatto - una normativa ondeggiante, che va rivisitata in un'ottica di sistema e di reale autonomia sia dall'amministrazione centrale - alla quale dovrebbe permanere il potere di indirizzo politico nelle sue varie articolazioni e le leve di un effettivo sistema dei controlli, per tutto quello che esso sta a significare - sia dal sistema degli enti territoriali e locali.

La dimensione «nazionale» e unitaria del servizio di istruzione.

      In sede costituente fu affermato che: «La scuola è il massimo e, dirò, l'unico organismo che garantisce l'unità nazionale (...) Allo Stato ne spettano dunque l'ordinamento e la attuazione, perché lo Stato è l'unico organismo che abbia tutti i mezzi e tutti i poteri per assolvere a quest'opera capitale in tutte le contrade d'Italia» (C. Marchesi, A.C., pagine 3203-4).
      Assai di recente, in un documento del 16 ottobre 2003: «Valorizzare la professione degli insegnanti e modernizzare il management della scuola - Il punto di vista degli imprenditori» (Confindustria - Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), sottoscritto dai Presidenti delle Confindustrie di Austria, Danimarca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia, si afferma, tra l'altro, che: «Bisogna tener conto che il sistema educativo non contribuisce solo alla crescita economica, ma anche alla coesione sociale e all'identità culturale del Paese, il che comporta un'educazione comune in tutta la nazione».
      Identità culturale ed educazione comune che stanno a significare, quantomeno, valori di fondo condivisi, pur nella diversità dei contesti territoriali. Diversità, comunque, da porre a base del diritto di eguaglianza sostanziale. Non è certamente la singola diversità fine a se stessa che può garantire tale diritto a tutti «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3, primo comma, della Costituzione). È nel «Paese» e nella «Nazione», così intesi, che devono trovare equo contemperamento le diversità territoriali, in nome di un bene comune e di una pace sociale che sono la sostanza stessa di ogni democrazia. «Paese», «Nazione» e «diversità» che, ormai, hanno anche una casa comune europea, costituita - anch'essa - da «Paesi», «Nazioni» e «diversità» che devono coesistere, collaborare ed equamente comporsi nel tempo e nello spazio.
      In buona sostanza, il sistema politico del federalismo è un problema che richiede un nuovo assetto delle libertà in una società complessa e nuovi modelli organizzativi di esse. Va superato l'uniformismo centralistico sia delle istituzioni che dei partiti, restituendo credibilità e fiducia al mandato della rappresentanza politica e garantendo una effettiva partecipazione dei cittadini ai vari livelli territoriali.

Riconoscimento, garanzia e tutela della diversità dei contesti territoriali e del diritto di eguaglianza sostanziale. Il principio di sussidiarietà.

      L'eguaglianza sostanziale è conseguibile a condizione che il relativo diritto ponga a proprio fondamento il riconoscimento della diversità di condizioni personali, sociali ed economiche di tutti e di ciascuno. Ove ciò non fosse praticato, il citato detto diritto scadrebbe ad egualitarismo.
      In tale previsione, il federalismo deve tradursi in un nuovo disegno strategico delle libertà democratiche dislocate nel territorio e in una conseguente struttura organizzativa dello Stato attuativa di tale disegno, decisamente adatta a dare spazi di realizzazione di diritti dei cittadini e ad

 

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assicurare un livello confacente di realizzazione proprio del diritto di eguaglianza. Federalismo, allora, non come disgregazione dello «Stato» e della «Nazione», ma come effettiva garanzia di pluralismo e di pari opportunità, cioè come modalità evoluta di attuare una democrazia più avanzata attraverso nuove forme organizzative dell'assetto statuale, in cui le specifiche realtà locali rappresentino l'indispensabile sostegno e linfa vitale dell'ordinamento federale.
      Il federalismo, si sa, affonda le sue radici più profonde nel principio di sussidiarietà che, nella sostanza, regola ambiti di azione e competenze dell'organizzazione centrale e periferica del potere, indicando gli ambiti delle rispettive, possibili interferenze e definendo i criteri per la soluzione dei conflitti che da esse derivano.
      È evidente che, in un assetto federalista dello Stato, il principio presenta più ampi spazi di realizzazione, in quanto maggiormente aperto alle soluzioni autonomistiche.
      Il riferimento ad esso richiama pure la grande attenzione che la Chiesa cattolica ha dedicato all'argomento in numerose encicliche (da Leone XIII a Giovanni Paolo II, passando attraverso il Concilio ecumenico Vaticano II).
      Principio, comunque, già anteriormente indagato dal vescovo W.E. Freiher von Ketteler, che fu deputato al Parlamento di Francoforte e al Reichstag, il quale - nei suoi scritti - così formulò il principio di sussidiarietà: «Il mio punto di vista è basato sul semplice principio che ogni individuo deve poter esercitare personalmente i propri diritti, quando è in grado di esercitarli. Per me lo Stato non è una macchina, bensì un organismo vivo con membra vive, in cui ogni membro ha il proprio diritto, la propria funzione, e dispiega la propria libera vita. Per me tali membri sono l'individuo, la famiglia, la comunità, eccetera. Ogni membro inferiore si muove liberamente nella propria sfera e gode del diritto della più libera autodeterminazione e autogoverno. Solo quando il membro inferiore di questo organismo non è più in grado di raggiungere da solo i propri fini o di far fronte da solo al pericolo che minaccia il suo sviluppo, entra in azione a suo favore il membro superiore». Principio, questo, ben presente anche nel Trattato di Maastricht e nella legge delega 15 marzo 1997, n. 59, articolo 4, comma 3, lettera a).

Ridefinizione degli ambiti operativi dell'autonomia delle istituzioni scolastiche nel territorio.

      Il ridisegno complessivo del sistema delle autonomie è fatto, ormai, ineludibile (regioni, province, comuni, enti pubblici, enti in regime di autonomia funzionale). In tale previsione, ogni istituzione scolastica deve essere messa tendenzialmente in grado di soddisfare tutta la gamma dei bisogni formativi che quotidianamente emergono dal tessuto sociale e che richiedono di essere soddisfatti per più ragioni (per esigenze della persona, per esigenze sociali, per esigenze specifiche del mondo del lavoro e della produzione). Necessario, allora, che il nuovo sistema di autonomia della scuola, nato in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione e dell'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, sia fatto evolvere verso una formula organizzativa che abbia tutti i poteri d'azione e gli spazi d'azione necessari al conseguimento della finalità di scopo da conseguire, ciò essendo proprio e tipico degli enti pubblici in regime di autonomia funzionale. Di qui una più penetrante e puntuale visione strategica e operativa delle istituzioni scolastiche, in quanto elementi costituenti del sistema nazionale di istruzione.
      Nuova strategia e nuovo assetto che vanno a coinvolgere:

          a) i contenuti di merito delle attribuzioni già conferite e da conferire alle istituzioni scolastiche;

          b) il reperimento delle risorse finanziarie e strumentali;

 

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          c) il riordino dell'assetto di status del personale docente, dirigente, ispettivo tecnico e, per taluni aspetti, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario coerentemente al nuovo profilo istituzionale del sistema nazionale di istruzione e delle stesse istituzioni scolastiche;

          d) le attribuzioni, in tema di organizzazione del sistema nazionale di istruzione nel territorio, di regioni, di province, e di comuni e il sistema delle relazione tra detti enti e le istituzioni scolastiche.

La definizione degli standard della prestazione didattica, in rapporto ai vari ordini e gradi di scuola frequentati.

      Il processo di democratizzazione della pubblica amministrazione, avviato - alla fine degli anni '80 - con la legge n. 241 del 1990, detta «legge sulla trasparenza», segna il passaggio epocale dalla vecchia cultura degli atti, o del formalismo giuridico (che si concretizza nella sola responsabilità degli atti), ad una cultura dei risultati, o degli obiettivi, con una conseguente responsabilità proprio in ordine ai risultati da assicurare agli utenti.
      Con la legge in parola si introducono nella pubblica amministrazione - sul piano della gestione e della organizzazione dei servizi - strumenti più rispondenti a garantire un'azione amministrativa autenticamente adeguata alle esigenze dell'utenza. Essa costituisce, in tale ottica, un vero e proprio rilancio di tutta la dirigenza statale, stante il fatto che ad essa fa capo una responsabilità di risultati, aggiuntiva rispetto alle altre forme di responsabilità comuni a tutti i pubblici dipendenti (disciplinare, amministrativa, civile verso terzi e penale).
      Con tale legge si sono trasformati radicalmente i vecchi rapporti cittadino-Stato. Si è verificata» ... una vera e propria rivoluzione copernicana, portando a considerare il rapporto governati-governanti non più ex parte principis bensì ex parte populi, cioè dal punto di vista dei singoli che di essa debbono avvantaggiarsi, cioè dal punto di vista del cittadino cui dovrebbero essere sempre riconosciute pretese a titolo individuale nei confronti dello Stato-amministrazione (...)» (Caianiello).
      È solo una scuola effettivamente autonoma a poter garantire un'azione amministrativa realisticamente ex parte populi. Sono nati e continuano a nascere sempre nuovi rapporti tra cittadini e pubbliche istituzioni, sulla base di una evoluzione della società civile che non si esaurisce e non si ritrova più nel vecchio modello istituzionale dello Stato, ancora con connotazioni centraliste e rigide. Al contrario, è dal basso che si esige l'adozione di modelli organizzativi flessibili, propri e tipici dei sistemi avanzati di autonomia. In senso lato la flessibilità sta a significare la capacità di una persona o di un sistema di adeguarsi a situazioni diverse, in rapporto all'esercizio di una discrezionalità decisionale di cui si è titolari e ad una capacità di esercitare un controllo sull'ambiente. In un sistema di autonomia, la flessibilità si traduce, per i soggetti professionali inseriti nello stesso sistema, nel potere di determinare scelte e di adottare strategie di lungo periodo, influendo sulla realtà esterna con interventi mirati.
      Stante, allora, la nuova finalità di scopo di ogni pubblico servizio, ne discende che - per ogni tipo di esso - debbano essere definiti gli standard della prestazione erogata, che altro non sono che i risultati attesi dell'utenza, diverso essendo il problema dei necessari livelli di efficacia ed efficienza dell'ente che eroga il servizio.
      La direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 gennaio 1994, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 1994, definisce i «Princìpi sull'erogazione dei servizi pubblici». In essa, tra l'altro, si afferma che «(...) i soggetti erogatori individuano i fattori da cui dipende la qualità del servizio e, sulla base di essi, adottano e pubblicano standard di qualità e quantità di cui assicurano il rispetto. I soggetti erogatori definiscono standard generali e standard specifici di qualità e quantità dei servizi. I primi rappresentano obiettivi di qualità che si riferiscono al complesso delle prestazioni

 

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rese. I secondi si riferiscono a ciascuna delle singole prestazioni rese all'utente, che può direttamente verificarne il rispetto. Per valutare la qualità del servizio reso, specie in relazione al raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse, i soggetti erogatori svolgono apposite verifiche sulla qualità e l'efficacia dei servizi prestati».
      Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 giugno 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 138 del 15 giugno 1995, reca lo «Schema generale di riferimento della "Carta dei servizi scolastici"», che si ispira ai princìpi della citata direttiva del 1994. Nel documento del 1995 si fa obbligo di favorire «la più ampia realizzazione degli standard generali del servizio».
      Segue la direttiva n. 254 del 21 luglio 1995 del Ministro della pubblica istruzione relativa alla «Carta dei servizi di istituto». Successivamente, il Ministro fece elaborare un documento - in forma di bozza - dal titolo «Carta dei servizi. Linee guida per la elaborazione e l'attuazione. A.S. 1995-96», che pure inviò al Consiglio nazionale della pubblica istruzione. Il Consiglio, nell'adunanza del 30 novembre 1995, espresse parere motivatamente negativo. Da quella data ad oggi, nessun intervento ministeriale in materia è stato attuato.
      Ove si ponga mente che la «Carta dei servizi di istituto» è atto costituente delle istituzioni scolastiche in regime di autonomia, fonte ispiratrice del «Piano dell'offerta formativa» e, dunque, fonte anche della definizione degli standard di qualità e di quantità, ne deriva che il problema della «Carta» vada, oggi, profondamente rivisitato all'interno del nuovo sistema di autonomia e nella prospettiva della «Disciplina del sistema nazionale di istruzione» di cui alla presente proposta di legge. Si esigono, da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, interventi mirati diretti a fare chiarezza, stante il fatto che il potere di indirizzo politico - amministrativo è di spettanza dell'organo politico.
      In presenza di una riforma degli ordinamenti scolastici (legge n. 53 del 2003), ormai in avanzata fase di attuazione, ogni ritardo nella definizione degli standard della prestazione didattica da erogare nei vari ordini e gradi di scuola, va a tutto danno degli esiti della stessa riforma. Non si possono verificare e valutare gli esiti di essa se non attraverso i risultati conseguiti attraverso la sua attuazione; risultati identificabili negli standard da assicurare.

La valutazione del soggetto discente. Autovalutazione di istituto. Valutazione di sistema.

      Alla luce, e in attuazione, dell'articolo 2 della Costituzione, la scuola è una formazione sociale al cui interno il soggetto discente ha il diritto soggettivo e il corrispondente dovere sociale di svolgere la propria personalità attraverso apprendimenti liberi, critici, sistematici e unitari.
      La valutazione, allora, costituisce profilo di personalità; da qualunque punto di vista la si voglia riguardare essa ha sempre, a proprio fondamento, la teoria politica che sorregge l'impianto istituzionale dello Stato.
      La valutazione, come procedura di accertamento, ha per oggetto gli apprendimenti che la persona discente acquisisce liberamente, criticamente, sistematicamente e unitariamente, nel corso della prestazione didattica, nonché i loro livelli e la loro qualità. Valutando il soggetto discente, si valuta anche il sistema scolastico e, contestualmente, il corpo docente valuta se stesso (processo di autovalutazione).
      I diritti, i poteri e i doveri professionali, che costituiscono la funzione docente sono conferiti dal legislatore con una propria e peculiare destinazione di scopo, che è quella della garanzia e della tutela dei diritti inviolabili della persona del discente, all'interno della formazione sociale scuola: diritto inviolabile alla libertà di apprendimento; diritto inviolabile alla continuità di esso; diritto inviolabile alla propria diversità, anche di natura culturale

 

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e ideologica (articolo 2 della Costituzione) e del diritto sociale all'istruzione (articolo 34, primo comma, della Costituzione), qualificabile come diritto alla prestazione didattica secondo standard definiti.
      La valutazione del soggetto discente attiene in egual misura sia alla finalità dell'educazione, sia al tipo di concezione politica che sorregge l'assetto statuale al cui interno si situa il sistema nazionale di istruzione. Nel Rapporto finale della XXXIV Conferenza internazionale dell'educazione, promossa nel 1973, a Ginevra, dall'UNESCO, è detto: «La valutazione non dovrebbe riferirsi unicamente alle capacità dell'allievo; essa dovrebbe applicarsi all'insieme del sistema di educazione e istruzione; sia come punto base per la riforma del sistema sia come risoluzione in tema di politica scolastica, dal momento che si tratta di valutare l'efficienza di un sistema, occorre tener conto dei valori a cui esso si ispira e degli obiettivi a cui tende. Pertanto, non si deve concepire la valutazione unicamente in termini di taxonomia. Occorre prendere in considerazione i diversi elementi del sistema scolastico: organizzazione, contenuti, metodi, personale».
      È con forza e determinazione che detti princìpi vanno affermati nella «Disciplina del sistema nazionale di istruzione», in quanto costituenti la sostanza stessa della riforma degli ordinamenti scolastici (legge n. 53 del 2003); gli apprendimenti da acquisire, infatti, si nutrono dei contenuti di merito della stessa riforma.

La funzione docente in regime di autonomia scolastica. La contrattualizzazione, o privatizzazione, del rapporto di pubblico impiego.

      Finalità istituzionale del pubblico servizio scolastico - secondo la Costituzione - è quella di educare, formare anche professionalmente ed istruire la persona del discente.
      Vigente, oggi, il nuovo sistema di autonomia della scuola: «L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento» (articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999).
      Elemento costitutivo primario della funzione docente è il diritto alla libertà di insegnamento: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» (articolo 33, primo comma, della Costituzione). «Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca» (articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in attuazione del medesimo principio contenuto nella legge di delega n. 421 del 1992, articolo 2, comma 1, lettera c), numero 6).
      L'esercizio di essa è diretto a garantire e tutelare sia i diritti inviolabili - primo dei quali il diritto alla libertà di apprendimento - di cui è titolare il soggetto discente all'interno della formazione sociale scuola (articolo 2 della Costituzione), sia la piena fruizione del diritto sociale all'istruzione (articolo 34, primo comma, della Costituzione). Diritti, questi, sanciti in Costituzione e posti a fondamento della nostra stessa democrazia politica. Diritti che, per potersi compiutamente svolgere ed evolvere, hanno bisogno di precise guarentigie, soprattutto oggi, vigente il nuovo sistema di autonomia della scuola, la cui potenzialità espansiva nel territorio conferisce alla libertà di insegnamento la medesima potenzialità in ordine al conseguimento di obiettivi e finalità. Guarentigie del tutto indispensabili in regime di contrattualizzazione, o privatizzazione, del

 

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rapporto di pubblico impiego, in cui l'attività contrattuale tende costantemente a comprimere quella libertà.
      L'autonomia della scuola non si identifica con la libertà di insegnamento. L'autonomia è lo spazio d'azione, congiunto al relativo potere d'azione, al cui interno si svolge e si evolve l'esercizio di essa libertà. Più si dilatano gli spazi e i poteri dell'autonomia, più si dilata l'esercizio della libertà di insegnamento, più diventano ampie le opportunità di scelta e di acquisizione di apprendimenti di qualità. Sono, questi, i nuovi orizzonti culturali di detta libertà, comunque da correlare alla fonte costituzionale che la prevede (articolo 33, primo comma, della Costituzione); ove così non fosse l'autonomia, da strumento di esercizio di libertà rischierebbe di divenire fine in sé e, dunque, spazio d'azione nella disponibilità del potere esecutivo centrale e di quello dislocato nel territorio.
      Nella previsione dei nuovi ordinamenti scolastici (legge n. 53 del 2003) la potenzialità espansiva del sistema e l'esercizio della libertà di insegnamento svolgono un ruolo unico e originario ai fini di una compiuta realizzazione della riforma e, dunque, della garanzia di risultati adeguati alle differenziate esigenze formative degli utenti del servizio.
      Non sono gli spazi di autonomia concessi con i relativi poteri a produrre, di per sé, i risultati attesi, ma l'esercizio attivo - in situazione - della funzione docente e della libertà di insegnamento ad essa connaturata. Esercizio della libertà di insegnamento come fonte generativa di progettualità. Spetta, infatti, al collegio dei docenti, come corpo professionale, di elaborare il «Piano dell'offerta formativa» (articolo 3, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999).
      Il rilievo non è di scarso peso politico, né di poco momento culturale, stante il fatto che il passaggio dalla vecchia scuola - apparato, non autonoma e rigida, al nuovo sistema della scuola - servizio, autonoma e flessibile, segna il passaggio da una scuola priva di potenzialità espansiva perché rigida, ad una scuola la cui prima qualità risiede proprio in quella potenzialità, perché autonoma e flessibile.
      Nel nuovo sistema si dilatano gli spazi della libertà di insegnamento e della libera scelta discrezionale; si arricchiscono i contenuti di merito degli apprendimenti; si rigenera il rapporto insegnamento-apprendimento; la valutazione del discente acquista nuovi contenuti e una nuova valenza «politica», discendente dai princìpi ispiratori del nuovo sistema. La dimensione di una rinnovata collegialità deve costituire canone regolativo del modello progettuale del «Piano dell'offerta formativa». Collegialità come modello organizzativo e come corpo professionale, con una propria soggettività propositiva e una propria autonoma cultura del servizio da rendere.
      È innegabile che, a seguito della contrattualizzazione, o privatizzazione, del rapporto di pubblico impiego, di cui alla legge delega n. 421 del 1992 e ai conseguenti provvedimenti attuativi (compresi i successivi interventi legislativi) si sia avviato un lento processo di costante compressione proprio della libertà della scuola e, conseguentemente, della libertà di insegnamento con l'intento, nemmeno troppo nascosto, di smantellare gradualmente il «ruolo» costituzionale della funzione docente per trasformarlo in quello di «professionista» privatizzato e subordinato sotto costante tutela delle organizzazioni sindacali. Ma il docente, proprio in virtù dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione, non è - né può essere - prestatore di lavoro subordinato. In materia, l'articolo 2095, primo comma, del codice civile, dispone che: «I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai».
      La contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego conduce al conferimento alle organizzazioni sindacali del potere di definire l'assetto di status dei dipendenti subordinati. Nel campo della funzione docente - stante la fonte costituzionale che la prevede (articolo 33, primo comma, della Costituzione) - le guarentigie di status a garanzia della libertà di insegnamento non sono contrattualizzabili, per
 

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cui è lo stesso legislatore a doverle definire. Si rifletta sul fatto che detta contrattualizzazione non è prevista né per i docenti universitari, né per i magistrati; come pure non sono previste le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) né nel campo dell'attività didattica organizzata delle università né nel campo dell'attività giurisdizionale. Trattasi, rispettivamente, della garanzia e della tutela della libertà di insegnamento per i docenti anche universitari, e della garanzia e tutela dell'autonomia e dell'indipendenza per la magistratura. Da sottolineare, ancora, che - vigente l'attuale sistema di autonomia della scuola, in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione e dell'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59 - anche le istituzioni scolastiche, come le università, sono in regime di autonomia funzionale e fornite di personalità giuridica di diritto pubblico. Non si vede come, trattandosi dell'attuazione del medesimo precetto costituzionale (articolo 33, primo comma, della Costituzione), debbano sussistere due normative non solo profondamente diverse tra loro, ma anche contrapposte.
      Nel campo dell'attività didattica organizzata, svolta dalle istituzioni scolastiche appartenenti ai vari ordini e gradi di scuola (università comprese) è prevista una specifica e precisa riserva di legge. L'articolo 1, comma 3, lettera q), della legge delega n. 59 del 1997, prevede che, dal conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti amministrativi, sono escluse talune materie, tra cui «istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell'istruzione scolastica e stato giuridico del personale», per cui esse risultano nella esclusiva disponibilità del legislatore. Di qui la tassativa esclusione delle RSU nelle istituzioni scolastiche dalla detta disponibilità in materia. La stragrande maggioranza delle attribuzioni conferite a tali organismi dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola per il 2002-2005 viola detta riserva, andando a comprimere proprio la libertà d'insegnamento dei docenti, anche in sede collegiale. È per tale ragione che si propone che alle istituzioni scolastiche non si debbano più applicare le disposizioni - in materia - di cui all'articolo 42, comma 3 e seguenti, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'accordo 7 agosto 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1998, e al citato contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola 2002-2005. Si rinvia, per una visone ampia e approfondita del tema trattato, alla mia proposta di legge, atto Camera n. 738, riguardante: «Disposizioni in materia di rappresentanza sindacale nelle istituzioni scolastiche», che qui si intende recepita.
      Infine, per le medesime motivazioni di ordine costituzionale espresse, va pure evitata la contrattualizzazione, o privatizzazione, delle norme disciplinari nei confronti dei docenti, stante il fatto che anch'esse costituiscono - di fatto e di diritto - guarentigie rispetto al pieno e corretto esercizio della funzione docente. Va, perciò, abrogato il comma 1 dell'articolo 492 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, che così dispone: «Fino al riordinamento degli organi collegiali, le sanzioni disciplinari e le relative procedure di irrogazione sono regolate, per il personale direttivo e docente, dal presente articolo e dagli articoli seguenti».
      Il completamento a regime del nuovo sistema di autonomia della scuola, secondo le linee direttrici della presente proposta di legge, che comporta la compiuta definizione delle istituzioni scolastiche come enti di diritto pubblico ad autonomia funzionale, impone di affrontare anche un ulteriore triplice problema del tutto conseguente alla proposta di legge, quello di una carriera economica del personale docente, quello della istituzione dell'ordine dei docenti e quello della definizione di un codice deontologico dei docenti quale imprescindibile raccordo esistente tra professione docente, che ha nel diritto alla libertà di insegnamento la sua garanzia costituzionale (articolo 33, primo comma, della Costituzione), e la garanzia e tutela dei diritti inviolabili che fanno capo al soggetto discente e del
 

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diritto ad una prestazione didattica secondo standard di qualità e di quantità definiti.
      In ordine al primo problema va doverosamente rilevato che, in un sistema autonomo radicalmente innovato, il professionista docente costituisce fonte primaria di ogni risultato da garantire agli utenti del servizio, per cui il suo rapporto di lavoro non può essere di tipo impiegatizio, ma di tipo «professionale». Il che comporta, per l'alto ruolo che svolge, la definizione di una carriera economica quale equo criterio regolativo dell'esercizio della professione.
      In ordine al secondo problema, la definizione di un ordine dei docenti si presenta propria e tipica di una attività professionale in regime di autonomia e secondo i princìpi costituzionali riguardanti la libertà della scuola, la libertà dell'insegnamento e la libertà del soggetto che apprende. Al riguardo si rinvia alla mia proposta di legge, atto Camera n. 749, relativa a «Nuove norme in materia di reclutamento degli insegnanti e istituzione dell'ordine dei docenti», che qui si intende recepita.
      Il terzo problema, infine, è rigorosamente legato alla definizione dello «Statuto dei discenti», con il riconoscimento e la garanzia agli stessi dei propri diritti inviolabili e del diritto ad una prestazione didattica secondo standard di qualità e di quantità definiti.
      Ove lo Statuto mancasse, o fosse carente, un eventuale «Codice» non avrebbe le fondamenta della propria legittimazione. A tal fine, il «Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria» di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1998, n. 249, risulta del tutto incoerente per la sua impostazione ideologica di parte.
      Non certamente un codice deontologico di tipo corporativo, ma un codice come regola - guida di una professione pubblica che ha come propria destinazione di scopo l'educazione, la formazione e l'istruzione del soggetto discente, vale a dire quella di rendere un servizio alla persona e al Paese.
      Un «Codice», allora, come «valore» della categoria e della comunità dei cittadini che la esprime.
      Sul tema si fa anche rinvio al documento Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Commissione per il codice deontologico degli insegnanti - relazione del Presidente, del 12 ottobre 2002.

Il ruolo strategico degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche autonome.

      Una collegialità, come modello organizzativo di tipo funzionale, coerente, coesa e pertinente, al progetto di scuola che si intende realizzare. Una collegialità che implica la presenza di un corpo professionale docente, di cui è parte costitutiva il dirigente scolastico, come soggetto propositivo e soggetto progettuale con una propria e autonoma cultura del servizio da rendere. Una collegialità propositiva e dialettica da garantire anche agli studenti della scuola secondaria superiore, in una prospettiva di costante confronto e di partecipazione attiva di essi alla vita comunitaria e alla consuetudine agli studi. Una collegialità quale fonte di elaborazione degli indirizzi generali, con precise competenze in ordine ai fatti di gestione. Non la scuola della ratio pattizia insita nel contratto collettivo nazionale di lavoro, ma la scuola della partecipazione, del confronto, della dialettica e della effettiva autonomia decisionale.
      Di qui, organi collegiali con attribuzioni certe e pienamente agibili, in cui i poteri d'azione e gli spazi d'azione conferiti a ciascuno di essi costituiscano un sistema bilanciato fatto di pesi e contrappesi, proprio nel rispetto del principio della partecipazione - mai comunque disgiungibile dal principio della responsabilità - e delle finalità dello stesso «sistema nazionale di istruzione»: educare, formare anche professionalmente ed istruire il soggetto discente.

 

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      Non v'è dubbio che gli organi collegiali da definire costituiscano una pratica esplicitazione della filosofia politica che sorregge l'impianto del progetto politico di scuola che si intende realizzare. Giocare al ribasso, significherebbe - tra l'altro - svilire e svuotare la portata dei contenuti di merito della riforma in atto (legge n. 53 del 2003). È ruolo strategico della collegialità quello di elaborare e definire l'attività progettuale diretta a dare corpo, anima e direzione di marcia, alla riforma.
      Gli organi collegiali previsti nella presente proposta di legge cercano di rispondere alle esigenze sopra chiarite.
      Ai fini di un completamento di prospettiva, si fa riferimento anche alla mia proposta di legge, atto Camera n. 771 del 12 giugno 2001, per la parte relativa agli «Organismi di partecipazione e di responsabilità a livello di istituto».

La funzione dirigente nella scuola autonoma e i suoi profili organizzativi. Il problema della valutazione dei risultati. L'istituzione della vicedirigenza scolastica.

      La normativa delegata riguardante la funzione dirigente nella scuola (decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59; decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per come modificato dalla legge 15 luglio 2002, n. 145) appare viziata da varie illegittimità per le ragioni che seguono:

          a) la norma di delega - articolo 21, comma 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59 - prevede il conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto nel rispetto della libertà di insegnamento, ferma restando l'unicità della funzione docente e nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici. Ciò in quanto la dirigenza scolastica germina dalla funzione docente, ex articolo 33, primo comma, della Costituzione, costituendo di essa forma differenziata. Il dirigente scolastico, infatti, è titolare della medesima funzione e della libertà di insegnamento;

          b) analizzando con la dovuta attenzione critica i contenuti del decreto legislativo n. 59 del 1998 (ora articoli 25 e 29 del decreto legislativo n. 165 del 2001) appare chiaro come la delega di cui al comma 16 dell'articolo 21 citato abbia avuto un'attuazione solo parziale e che tale inattuazione si configura elusiva dello spirito e dei fini essenziali della delegazione. Nella redazione del decreto legislativo n. 59 del 1998 il legislatore delegato dell'epoca - per una scelta di natura esclusivamente ideologica e di parte - volle comprimere la dirigenza scolastica su quella amministrativa, la quale ha - a propria fonte generativa - una diversa norma costituzionale: l'articolo 97, secondo comma, della Costituzione: «Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari». È fuori di dubbio che la nozione costituzionale di funzionario sia profondamente diversa dalla nozione, altrettanto costituzionale, di funzione docente, richiamando esse proprie e specifiche peculiarità ordinamentali tra di loro non assimilabili;

          c) la dirigenza amministrativa, in base alla sua derivazione costituzionale, è emanazione organica del potere esecutivo, perciò assolutamente non assimilabile alla dirigenza scolastica. Malgrado ciò, in tema di conferimento degli incarichi, di verifica dei risultati, di valutazione, di mutamento degli incarichi e di mobilità, sono state ritenute applicabili le norme in materia per i dirigenti amministrativi.
      In tale previsione, è rilevabile la violazione dell'articolo 76 della Costituzione, in quanto il decreto legislativo n. 59 del 1998, disattendendo i princìpi e i criteri direttivi di cui al citato articolo 21, comma 16, della legge n. 59 del 1997, non ha dettato norme specifiche e puntuali dirette a garantire la peculiarità ordinamentale di tale dirigenza; in secondo luogo, perché il vuoto normativo derivante dall'attuazione parziale della delega è stato colmato applicando le norme dettate, in via generale, per i dirigenti amministrativi, con violazione dell'articolo 3 della Costituzione,

 

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poiché situazioni giuridiche soggettive profondamente diverse vengono disciplinate in modo identico;

          d) nel nostro ordinamento giuridico non esiste un solo prototipo di dirigenza pubblica, alla quale possa essere applicata, pedissequamente e legittimamente, la medesima normativa di status. Al contrario, esistono dirigenze che sono peculiari rispetto ai singoli ordinamenti che le prevedono (come quella scolastica) dei quali esse sono elemento costitutivo. È peculiare sta propriamente a significare il possesso di qualità particolari e caratteristiche, non riconducibili ad una categoria unica di ordinamento. È decisamente peculiare il nuovo sistema di autonomia della scuola, di cui la dirigenza scolastica è elemento costitutivo. La dirigenza scolastica e la dirigenza amministrativa non costituiscono la medesima qualifica funzionale.
      «Stante la propria derivazione costituzionale, la dirigenza amministrativa costituisce emanazione organica del potere esecutivo, ad esso legata da rapporto di fiduciarietà che è precario nel tempo, da cui pure deriva il contratto di lavoro a tempo determinato.
      Mentre l'attività didattica organizzata è coperta da riserva di legge (articolo 1, comma 3, lettera q), della legge delega n. 59 del 1997), l'attività svolta dai dirigenti amministrativi viene definita, ogni anno ed entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, dal Ministro (articolo 14 del decreto legislativo n. 165 del 2001).
      Nel primo caso, stante la riserva di legge, non può sussistere alcun rapporto di fiduciarietà tra il Ministro dell'istruzione e il dirigente scolastico. Ciò in quanto la materia "didattica" non è nella disponibilità dello stesso Ministro per cui egli non può - attraverso proprie direttive - definire piani e programmi "didattici" per assegnarli alle istituzioni scolastiche e, per esse, ai dirigenti scolastici della cui gestione sono responsabili.
      Nel secondo caso, stante il fatto che è l'organo di indirizzo politico a fissare "gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi", si instaura un vero e proprio rapporto di fiduciarietà tra il Ministro che conferisce l'incarico e il dirigente (articolo 19, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dalla legge n. 145 del 2002).
      È tipico ed esclusivo dei sistemi di autonomia che i vertici delle entità così organizzate (i dirigenti) siano responsabili dei risultati, od obiettivi, da conseguire. Tuttavia, mentre i risultati imputabili ai dirigenti amministrativi discendono dallo svolgimento di compiti ad essi "assegnati" dal vertice politico attraverso proprie direttive, i risultati "istituzionali" di cui sono responsabili i dirigenti scolastici, vale a dire quelli che derivano dallo svolgimento dell'attività didattica organizzata coperta da riserva di legge, discendono dalla realizzazione del piano dell'offerta formativa, elaborato e definito collegialmente all'interno della istituzione scolastica, in base a specifiche competenze definite per legge (...).
      La peculiarità ordinamentale della dirigenza scolastica comporta, pure, che tutta la normativa di status debba essere coerente e compatibile con la fonte costituzionale da cui essa deriva (articolo 33, primo comma, della Costituzione), pena la possibile illegittimità della stessa normativa.
      Le attuali norme sulla valutazione dei dirigenti sono desunte dal decreto legislativo n. 165 del 2001, per come modificato dalla legge n. 145 del 2002. Esse attengono strettamente alla dirigenza amministrativa, per la quale sono state pensate e definite. I contratti individuali di lavoro dei dirigenti scolastici, sottoscritti nei mesi di luglio e agosto 2002, fanno totale ed espresso rinvio al relativo CCNL che, in materia, fa riferimento esclusivo al decreto legislativo n. 165 del 2001 e, di conseguenza, alle successive modificazioni apportate dalla legge n. 145 del 2002»(L. Molinari - La valutazione del dirigente scolatico. Tipologia dei risultati valutabili. Criteri di valutazione. Procedimento. Impugnative. Schemi di ricorsi innanzi al

 

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collegio di conciliazione e al giudice ordinario di lavoro. Anicia, Roma 2004).
      La gran parte delle norme in materia risulta, così, del tutto incompatibile con la dirigenza scolastica ex articolo 21, comma 16, della legge delega n. 59 del 1997 e con il nuovo sistema di autonomia della scuola disegnato dallo stesso articolo 21 e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. Di qui una serie di vizi di vario tipo che inficiano sia la valutazione che il relativo procedimento.
      Sulla specifica materia si richiama la mia proposta di legge, atto Camera n. 2791, relativa a «Disposizioni concernenti i dirigenti scolastici», che qui si intende recepita.
      Si richiama, altresì, la mia proposta di legge, atto Camera n. 4306, relativa a «Istituzione della vicedirigenza scolastica», i cui contenuti si intendono qui recepiti.

La funzione ispettiva tecnica e i suoi profili organizzativi in un servizio ispettivo tutto da ridefinire.

      Anche il tema in argomento è stato affrontato in una mia specifica proposta di legge, atto Camera n. 2068, relativa a «Istituzione del servizio ispettivo tecnico nazionale della scuola», che qui si intende recepita.
      Al momento, a fronte di circa 10.800 istituzioni scolastiche, tutte con qualifica giuridica di enti di diritto pubblico, non esiste un servizio ispettivo tecnico nazionale della scuola concepito per il nuovo sistema nazionale di istruzione, per come si sta costituendo. Impossibile ritenere che un tale sistema possa decollare, affermarsi e attuarsi nel tempo e nello spazio senza un analogo sistema di controlli tecnici, finalizzati anche alla valutazione dello stesso sistema nazionale e della dirigenza scolastica. Il vecchio corpo ispettivo tecnico, nato per un certo tipo di scuola, ha ormai esaurito il proprio ruolo; numericamente è del tutto irrilevante, stante il fatto che da moltissimi anni non si svolgono più i relativi concorsi.
      La stessa riforma degli ordinamenti (legge n. 53 del 2003) rischierebbe di trovare un'attuazione riduttiva, superficiale e, spesso, «localistica», senza il costante supporto funzionale di un rinnovato servizio ispettivo tecnico nazionale.
      È principio di fondo di ogni sistema di autonomia che, più si decentrano poteri d'azione e spazi d'azione dal centro alle entità dislocate nei territorio (cioè alle singole istituzioni scolastiche), più va accentrata la gestione del sistema dei controlli, tuttavia dislocato nel territorio (regioni).
      In un sistema di autonomia è sempre il centro a governare le strategie politiche e organizzative di intervento. In tale previsione, il sistema dei controlli tecnici, in chiave collaborativa, sull'attività didattica svolta, scaturisce dalla visione strategica che si ha della scuola e delle sue finalità.
      Ad oggi, va rilevato che, mentre nel campo dell'attività strumentale delle istituzioni scolastiche (attività amministrativa, contabile e della gestione dei servizi) sono previsti e attuati gli specifici controlli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, articoli 2 e 4 (controllo di regolarità amministrativa e contabile e controllo di gestione; controllo di regolarità, peraltro, disciplinato - per le istituzioni scolastiche - dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, agli articoli 57-60 ed effettuato da collegi di revisori dei conti), nel campo dell'attività didattica organizzata non esiste un analogo sistema di controlli. Peraltro, lo stesso decreto legislativo n. 286 del 1999, all'articolo 1, comma 4, stabilisce che i vari tipi di controllo ivi previsti non si applicano, tra l'altro, all'attività didattica del personale della scuola. L'urgenza di provvedere è di tutta evidenza.
      Nel regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 319 del 2003, sono previsti (tabella A) i posti di funzione dirigenziale. Risultano assegnati 399 posti

 

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di funzione dirigenziale amministrativa non generale e 407 posti di funzione dirigenziale tecnica.
      In base a quanto esposto nella presente proposta di legge e nella citata proposta di legge n. 2068 del 5 dicembre 2001, si ritiene che la dotazione di 399 posti sia del tutto eccessiva e che essa debba essere ridotta a 250 posti; i residui 149 posti sono da assegnare alla funzione ispettiva amministrativa (che non si identifica con l'attività dei revisori dei conti) nelle istituzioni scolastiche, attraverso un corso di riqualificazione professionale.
      Infine, si ritiene che la funzione ispettiva tecnica nelle scuole, che discende anch'essa dalla funzione docente, sia ricondotta nell'ambito del comparto scuola, così articolato: area della funzione docente, area della funzione dirigente, area della funzione ispettiva tecnica, area della funzione amministrativa, tecnica e ausiliaria. In tal modo, il sistema nazionale di istruzione - anche sotto il profilo funzionale - avrebbe un suo logico assetto unitario. Ai fini della politica generale di settore, ciò acquisterebbe valore strategico di rilievo.

Lo «statuto» del soggetto discente nel sistema di autonomia della scuola.

      La definizione compiuta del nuovo sistema di autonomia della scuola, con l'attuazione della legge n. 53 del 2003, esige pure una compiuta definizione dello status del soggetto discente all'interno del sistema. Un assetto di status decisamente equivalente e paritario rispetto a quello del personale docente. È tipico e proprio dei sistemi di autonomia che i soggetti destinatari di prestazioni debbano essere posti sullo stesso piano d'azione, giuridico e organizzativo, dei soggetti erogatori. È nei fatti che il soggetto discente, ancora oggi, non vanti una tutela giuridica - equivalente e paritaria - rispetto a quella del personale docente. Tutela che non è certamente assicurata dal citato regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti nella scuola secondaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1998, n. 249, nato più per ragioni ideologiche di parte che istituzionali.
      Il problema politico di uno stato giuridico del soggetto discente si pone in rigoroso riferimento, tra l'altro, alla libertà che la Costituzione riconosce - a tratto originario - alla scuola.
      Tale libertà è l'«in sé» della nostra stessa democrazia politica; è l'«in sé» delle funzioni professionali, docente, dirigente, ispettiva tecnica; è il presupposto costitutivo e costituente affinché la libertà del discente possa compiutamente realizzarsi all'interno della scuola, assunta come formazione sociale (articolo 2 della Costituzione) e come «sistema nazionale di istruzione».
      Sotto tale riguardo la scuola è vivaio di ogni libertà e di ogni democrazia politica, perché è in essa che si apprende intenzionalmente in libertà, avendone il diritto inviolabile e il dovere sociale.
      È su questi tre pilastri, la libertà della scuola, la libertà dei soggetto discente e la libertà di insegnamento, che va costruito tutto il «sistema nazionale di istruzione» e definiti i suoi contenuti di merito con riferimento ai vari ordini e gradi di scuola (attuazione della legge n. 53 del 2003 e definizione del presente «Statuto»).
      È in sede di Conferenza nazionale sulla scuola, svoltasi a Roma dal 30 gennaio al 3 febbraio 1990, che fu sottolineata la necessità di una legge quadro sui diritti degli studenti.
      Nella relazione conclusiva della prima commissione, interna alla Conferenza, che si occupò dell'autonomia della scuola, fu sottolineato - tra l'altro - che: «(...) va posta maggiore attenzione al profilo che sta alla base e costituisce il fine ultimo dell'attività formativa e cioè quello dei diritti degli studenti. Una carta di questi diritti è stata ritenuta particolarmente utile proprio in un contesto che si muove verso forme più accentuate di autonomia. L'autonomia scolastica - ed è questa l'ultima osservazione - non è un valore in sé, è un valore in quanto stimola e favorisce il libero sviluppo della capacità dei docenti

 

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e della personalità degli studenti. Caduto il limite estrinseco all'autonomia, che deriva da una concezione ormai superata dello Stato, resta e si rafforza il suo limite intrinseco, che è costruito dalla sua stessa finalità: quello di promuovere lo sviluppo della persona». Nel corso dei lavori della prima commissione della Conferenza fu presentata una bozza di proposta di legge di delega «Stato giuridico del soggetto della formazione», pubblicata sulla rivista Rassegna amministrativa della scuola, diretta da L. Molinari, novembre 1989, da cui fu tratta una proposta di legge presentata in più legislature (Camera, n. 6308 del 17 gennaio 1992; Senato, n. 469 del 15 luglio 1992; Camera, n. 1144 del 4 agosto 1994; Camera n. 2027 del 29 luglio 2996). Il testo della Bozza è riportato negli «Atti della Conferenza nazionale sulla Scuola» - Ministero della pubblica istruzione - (Roma, 30 gennaio-3 febbraio 1990, vol. I, Sciascia, Palermo 1992, pagine 435-459). Le citate proposte di legge non sono mai state discusse in Parlamento.
      La definizione di uno status, o statuto, del soggetto discente va, perciò, rivista congiuntamente al problema politico della effettiva libertà e autonomia della scuola, di cui quello status, o statuto, costituisce la motivazione politica unica e originaria. Fondamento, misura e valore di un sistema scolastico autonomo diventa, allora, il soggetto discente. Prova ne è quanto stabilito nell'articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999: «L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti (...)».
      Soggetti discenti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado e della scuola secondaria di secondo grado, aventi tutti la medesima dignità e i medesimi diritti (nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998 risultano esclusi i soggetti frequentanti la scuola dell'infanzia e la scuola primaria).
      «Una scuola realmente democratica, che abbia a propria finalità quella di rendere un servizio alla persona, per come sancisce la stessa Costituzione, non può che avere - nella figura politica della persona del discente - la fonte generativa, unica e originaria, di tutto il suo ordinamento, sviluppo ed evoluzione. La stessa autonomia della scuola non è un valore in sé; essa è primariamente strumento dell'autonomia e della libertà del discente.
      Nel nostro assetto statuale di democrazia pluralista la scuola ha il compito di svolgere un ruolo sociale, politico e culturale insieme, e solo a tale condizione essa può diventare istituzione strategica nel movimento di spinta verso la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Se ad essa noi intendiamo assegnare - come primaria finalità politica - un tale ruolo, ne deriva in primo luogo che, proprio in ragione di ciò, alla persona del discente sia da riconoscere una specifica soggettività politica.
      Una scuola democratica, messa in grado di svolgere il ruolo che le compete, ha bisogno di affidarsi essenzialmente alle generazioni che la frequentano, in linea di continuità sia con i valori consolidati che con quelli emergenti.
      In un'ottica politico-istituzionale di scuola-servizio al discente vanno riservati - secondo Costituzione - spazi giuridici originari.
      Non si è mai definita nel tempo una chiara e condivisa teoria politica di scuola-servizio, discendente dal dettato costituzionale, che orientasse il legislatore negli adempimenti dovuti. La politica scolastica agita ha sempre avuto la caratteristica di essere asistematica, discontinua ed episodica, spesso dettata da pressioni corporative di per sé estranee al servizio» (L. Molinari - I diritti degli studenti - Una scuola democratica a servizio della persona - Palumbo, Palermo 1995, pagine 14-15).
      È in un ambito di libertà e di autonomia, dunque, che vanno ridefinite sia la figura giuridica del soggetto discente, sia le
 

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figure professionali tipiche del servizio scolastico: funzione docente, dirigente e ispettiva tecnica.

Brevi considerazioni conclusive.

      Un progetto politico di scuola democratica, in grado di garantire le differenziate esigenze di formazione che costantemente emergono dai contesti territoriali del Paese - tuttavia all'interno del sistema nazionale di istruzione - non può non conformarsi ai princìpi di fondo che sorreggono, innervano e permeano tutta la pubblica amministrazione (princìpi di libertà, di eguaglianza sostanziale, di responsabilità, di legalità, di imparzialità, di trasparenza, di buon andamento, del giusto procedimento, di partecipazione, di buona fede, eccetera).
      Contestualmente, la pubblica amministrazione deve anche improntare la propria azione ai criteri dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità. Nella legge delega n. 59 del 1997 è previsto che: «ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati» [articolo 17, comma 1, lettera c)]. Nozione, questa, presente anche in altre fonti normative.
      È fuor di dubbio che una pubblica attività conformata a princìpi sia nozione profondamente diversa da una attività improntata a criteri; princìpi e criteri non sono la stessa cosa.
      I princìpi sono lo scheletro, l'ossatura, cioè l'identità di un sistema organizzativo; i criteri, all'interno di esso, costituiscono strumenti regolatori di attività, tuttavia in piena coerenza con le finalità generali del sistema.
      In ragione di ciò, mentre i princìpi costituiscono l'identità propria del sistema, i criteri - autonomamente dai princìpi - costituiscono strumenti di azione con propri parametri di valutazione dell'attività da svolgere. In quanto strumenti, i criteri della efficacia, efficienza ed economicità, trovano pratica attuazione in ogni entità organizzata, soprattutto in campo privatistico in quanto è in esso che essi svolgono un ruolo esclusivo. In campo pubblico i criteri - in quanto strumenti - devono supportare l'attività conformata a princìpi, per questo non possono, né devono, svolgere un ruolo esclusivo.
      I citati criteri, nel campo della pubblica amministrazione, possono qualificarsi come una ramificazione del principio del buon andamento di cui all'articolo 97 della Costituzione; essi hanno una derivazione economicistica.
      Secondo una previsione aziendalistica, il criterio di efficienza risiede nella necessità di misurare il rapporto tra il risultato dell'azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate per ottenere quel dato risultato. Il criterio dell'efficacia, invece, sta ad indicare il rapporto tra ciò che si è effettivamente realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o programma. Infine, il criterio di economicità sta a significare che la pubblica amministrazione ha il dovere di fare buon uso delle risorse, sia umane che strumentali, poste a sua disposizione (rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti).
      Come è di tutta evidenza, il problema dell'applicazione bilanciata dei citati criteri è rilevabile soltanto nel campo della pubblica amministrazione che deve conformarsi a princìpi, non certamente nel campo delle imprese private dove gli stessi criteri svolgono, per come detto, un ruolo unico ed esclusivo.
      È indubitabile che, oltre alla necessità di avere una pubblica amministrazione efficace, efficiente ed economica, vi è anche l'esigenza primaria di averne una garante dell'imparzialità, della trasparenza, dell'eguaglianza sostanziale e della legalità costituzionale.
      Se si porta al massimo possibile sviluppo - come sempre accade nelle imprese private - i citati criteri, in proporzione e simmetricamente, si affievolisce quello di garanzia.
      Infatti, il principio di garanzia, nel subordinare l'organizzazione e l'attività

 

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dei pubblici poteri a regole predeterminate, nel porre vincoli alla discrezionalità dell'amministrazione, nel promuovere la più ampia conoscenza e partecipazione di tutti gli interessati ai percorsi decisionali della pubblica amministrazione e, in definitiva, nel porre limiti al pubblico potere (limiti che, in una impresa privata, sono del tutto inesistenti), si traduce inevitabilmente in un fattore di minore rapidità, snellezza e flessibilità dell'amministrazione e, dunque, in un fattore di potenziale minore efficienza-efficacia.
      La sola strada dell'efficienza, efficacia ed economicità, spinge sempre ad eliminare vincoli ed obblighi procedurali dell'amministrazione, ad ampliarne la discrezionalità, per cui - tendenzialmente - si pregiudicano le esigenze di garanzia, attribuendo all'amministrazione poteri non compatibili con un ordinamento autenticamente democratico.
      Per equamente contemperare le esigenze - pur reali - di efficacia, efficienza ed economicità con l'esigenza di garanzia, è del tutto indispensabile sacrificare una quota parte dei detti criteri per tutelare gli interessi di vario tipo rappresentati, affinché nessuno di essi sia ingiustamente sacrificato, assicurando così giustizia sociale ed eguaglianza di fatto e perché la persona non sia mai strumento né dello Stato né del mercato.
      Nel campo della pubblica amministrazione, né dirigismo statalista, né efficientismo d'azienda.
      Il valore politico, civile e morale della «Disciplina» che si propone è tutto in tale ultima proposizione.
      Si passa ora alla presentazione dell'articolato.
      Gli articoli 1, 2 e 3, riguardano, rispettivamente, la costituzione del sistema nazionale di istruzione, la finalità dello stesso sistema e la finalità di scopo delle istituzioni scolastiche.
      L'articolo 4 contiene la delega al Governo.
      L'articolo 5 riguarda la funzione docente.
      Gli articoli da 6 a 12 riguardano la disciplina della funzione dirigente nella scuola.
      Gli articoli da 13 a 15 riguardano l'istituzione della vicedirigenza scolastica.
      Gli articoli da 16 a 18 riguardano l'istituzione del servizio ispettivo tecnico nazionale.
      L'articolo 19 riguarda l'istituzione e il riordino degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche.
      Gli articoli 20 e 21 riguardano lo statuto dei discenti.
      L'articolo 22 riguarda la soppressione delle rappresentanze sindacali unitarie nelle istituzioni scolastiche.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I.
SISTEMA NAZIONALE DI ISTRUZIONE

Art. 1.
(Articolazione del sistema nazionale
di istruzione).

      1. Il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione.
      2. Il sistema nazionale di istruzione si conforma ai princìpi di libertà, di eguaglianza, di partecipazione, di sussidiarietà, di imparzialità e del buon andamento e la sua gestione è improntata ai criteri di efficacia, di efficienza e di economicità.

Art. 2.
(Finalità del sistema nazionale
di istruzione).

      1. Finalità del sistema nazionale di istruzione sono l'educazione, la formazione anche professionale e l'istruzione dei discenti, con la garanzia della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale dei docenti nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca e con la garanzia, altresì, dei diritti che fanno capo ai discenti.
      2. I discenti, in rapporto all'ordine e al grado di scuola frequentato, hanno diritto ad una prestazione didattica secondo standard di qualità e di quantità definiti.
      3. La definizione degli standard di qualità e di quantità per ogni ordine e grado di scuola tiene anche conto delle differenziate esigenze formative rilevabili nei contesti territoriali del Paese.

 

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Art. 3.
(Finalità di scopo delle istituzioni
scolastiche in regime di autonomia).

      1. Ogni istituzione scolastica, in attuazione dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, è espressione di autonomia funzionale. Essa costituisce, ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, una formazione sociale al cui interno i discenti hanno il diritto e il dovere sociale di svolgere la propria personalità attraverso l'acquisizione di apprendimenti liberi, critici, sistematici e unitari e con la garanzia dei propri diritti inviolabili alla libertà di apprendimento, alla continuità di esso e alla propria diversità anche di natura culturale e ideologica, nonché del diritto ad una prestazione didattica secondo standard di qualità e di quantità definiti.

Art. 4.
(Delega al Governo).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi indicati agli articoli 5, 16, 19, 20 e 21, uno o più decreti legislativi, nel contesto dell'autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e alla relativa normativa di attuazione, nonché delle norme generali e dei livelli essenziali definiti dalla legge 28 marzo 2003, n. 53:

          a) per la disciplina dello statuto dei docenti di ogni ordine e grado di scuola e del personale educativo;

          b) per l'istituzione del servizio ispettivo tecnico nazionale;

          c) per la riforma degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche;

          d) per la disciplina dello statuto dei discenti.

 

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Capo II
STATUTO DEI DOCENTI

Art. 5.
(Funzione docente).

      1. Lo statuto dei docenti, di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), è definito secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) l'esercizio professionale della funzione docente, nel quadro dei princìpi sanciti dalla Costituzione, è diretto al pieno e libero sviluppo culturale, civile e morale dei discenti, attraverso processi di educazione, di formazione anche professionale e di istruzione;

          b) ai docenti è garantita la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca. L'esercizio di tale libertà e autonomia ha la finalità di scopo di assicurare ai discenti l'effettiva fruizione dei diritti di cui sono titolari e l'adempimento dei corrispettivi doveri. I docenti sono direttamente responsabili del pieno e corretto esercizio della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale rispetto alla finalità di scopo da conseguire. Essi rispondono in caso di inadempimento e di violazione funzionale;

          c) estensione e applicazione dello statuto dei docenti a tutte le istituzioni scolastiche e formative del sistema nazionale di istruzione, con eventuali adattamenti resi necessari da peculiari finalità;

          d) valorizzazione della professione docente, attraverso un efficace sistema di reclutamento, di formazione iniziale e continua, di carriera e di retribuzione per merito;

          e) definizione dei diritti e dei doveri che caratterizzano la funzione docente e le altre articolazioni di tale funzione;

          f) valutazione e verifica della prestazione professionale dei docenti, ai fini

 

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della garanzia e della tutela del diritto alla prestazione didattica che fa capo ai discenti e ai fini, altresì, della progressione economica e di carriera;

          g) attuazione di un corretto criterio di distinzione fra le competenze e le responsabilità politiche, amministrative e didattiche, proprie dei vari organi e istituti che provvedono al sistema nazionale di istruzione e di collaborazione tra di essi.

      2. La carriera economica dei docenti si sviluppa in tre fasce retributive, alle quali si accede per merito attraverso la valutazione della qualità del servizio prestato. Sono oggetto, altresì, di valutazione le attività svolte connesse a quella di insegnamento e i titoli di qualificazione professionale conseguiti dopo l'immissione in ruolo.
      3. È istituito l'ordine dei docenti di ogni ordine e grado di scuola. Tale ordine:

          a) assicura l'autogoverno dei docenti al fine di garantire la libertà e l'autonomia dell'attività di insegnamento nel pieno rispetto dei diritti che fanno capo ai discenti e, altresì, nel pieno rispetto del codice deontologico della categoria;

          b) ha come propri organi il Consiglio nazionale e i consigli regionali;

          c) cura, attraverso i consigli regionali, la tenuta dell'albo dei docenti;

          d) ha personalità giuridica di diritto pubblico.

      4. Possono esercitare attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private solo gli iscritti all'albo dei docenti. Le assunzioni a tempo indeterminato nelle scuole pubbliche avvengono a mezzo di procedure concorsuali aperte, per le rispettive classi di concorso, ai docenti iscritti all'albo.
      5. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca esercita la vigilanza sul Consiglio nazionale dell'ordine.
      6. È istituita la Commissione di studio per la definizione del codice deontologico dei docenti.

 

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      7. Il codice deontologico dei docenti è l'insieme dei princìpi e delle regole-guida che ogni professionista docente è tenuto ad osservare e a seguire nell'esercizio della funzione, a garanzia e a tutela dei diritti che fanno capo ai discenti e delle finalità generali del sistema nazionale di istruzione.
      8. Il codice deontologico si applica ai docenti iscritti agli albi professionali dell'ordine.
      9. L'inosservanza, da parte dei docenti, delle norme del codice deontologico ed ogni azione od omissione che compromette la dignità dei medesimi e il pieno e corretto esercizio della funzione è punibile con le sanzioni disciplinari previste dall'articolo 10, comma 1.
      10. Ogni consiglio regionale dell'ordine esprime, nel proprio seno, una commissione disciplinare per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo grado e per la scuola secondaria di secondo grado.

Capo III
DISCIPLINA DELLA FUNZIONE
DIRIGENTE NELLA SCUOLA

Art. 6.
(Funzione dirigente).

      1. I dirigenti scolastici di cui all'articolo 21, comma 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59, nel rispetto della libertà di insegnamento e delle competenze degli organi collegiali scolastici, hanno la rappresentanza legale delle istituzioni scolastiche e assicurano il pieno ed esatto adempimento delle attribuzioni ad esse conferite, in connessione alle finalità del sistema nazionale di istruzione e delle medesime istituzioni scolastiche di cui agli articoli 2 e 3. A tal fine l'esercizio dei diritti, dei poteri e dei doveri professionali che costituiscono la funzione è diretto a garantire la gestione unitaria delle istituzioni scolastiche e il conseguimento dei risultati.
      2. L'incarico di dirigente scolastico è conferito a tempo indeterminato.

 

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Art. 7.
(Assegnazione di sede).

      1. Ai vincitori del corso-concorso per dirigente scolastico è assegnata la sede di servizio secondo la posizione occupata nella graduatoria definitiva, in rapporto alle sedi effettivamente disponibili.

Art. 8.
(Trasferimenti di sede).

      1. I trasferimenti di sede dei dirigenti scolastici, nell'ambito della stessa regione, si effettuano in base ad una tabella di titoli valutabili approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il Consiglio superiore della pubblica istruzione, su posti effettivamente vacanti.
      2. I trasferimenti di sede dei dirigenti scolastici da regione a regione si effettuano analogamente e successivamente ai trasferimenti di sede nell'ambito della stessa regione e su posti effettivamente disponibili.
      3. Non si fa luogo ad assegnazione provvisoria annuale di sede.

Art. 9.
(Responsabilità dirigenziale).

      1. Ferma restando la responsabilità disciplinare, amministrativa, civile e penale prevista per i pubblici dipendenti, i dirigenti scolastici sono responsabili in particolare del conseguimento dei risultati di ogni istituzione scolastica, conseguenti all'attuazione del piano dell'offerta formativa previsto dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, alla regolarità, all'efficacia e all'efficienza dell'attività amministrativo-contabile, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, all'attuazione delle direttive

 

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ministeriali che attengono a competenze dei medesimi dirigenti scolastici e al pieno e corretto esercizio delle funzioni che si svolgono nell'istituzione scolastica.
      2. I risultati conseguenti all'attività didattica svolta ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e successive modificazioni, con riferimento ai diversi ordini e gradi di scuola, sono valutati in rapporto a standard di qualità e di quantità definiti.
      3. Presso ogni ufficio scolastico regionale sono istituiti nuclei di valutazione, in rapporto al numero delle istituzioni scolastiche, composti da un ispettore tecnico, che lo presiede, da un esperto anche non appartenente ai ruoli del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da un revisore dei conti di adeguata professionalità.
      4. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca adotta preventivamente i criteri generali che informano la valutazione, in rapporto alla tipologia dei risultati da valutare.
      5. I risultati negativi rilevati, previa contestazione e contraddittorio, comportano per il dirigente scolastico interessato la revoca dell'incarico e la restituzione al ruolo di provenienza, ove richiesta.
      6. La valutazione del dirigente scolastico è effettuata annualmente.
      7. In caso di accertate gravi carenze nella gestione dell'istituzione scolastica, la valutazione dei risultati è effettuata anticipatamente rispetto alla scadenza ordinaria prevista.

Art. 10.
(Sanzioni disciplinari).

      1. Nel caso di violazione dei propri doveri funzionali, al dirigente scolastico possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:

          a) la censura;

          b) la sospensione dall'ufficio fino a un mese;

 

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          c) la sospensione dall'ufficio da oltre un mese a sei mesi;

          d) la destituzione.

      2. Il consiglio di disciplina regionale per il personale dirigente della scuola è composto da un professore universitario di ruolo di materie giuridiche, da un dirigente dell'amministrazione di appartenenza e da un dirigente scolastico, nominati con provvedimento del dirigente generale responsabile dell'ufficio scolastico regionale. Con la medesima procedura sono nominati tre membri supplenti. I provvedimenti emessi dal consiglio di disciplina sono definitivi.

Art. 11.
(Articolazione del comparto scuola).

      1. Il comparto scuola è articolato, anche ai fini della contrattazione collettiva, nelle seguenti aree autonome:

          a) area della funzione docente;

          b) area della funzione dirigente;

          c) area della funzione ispettiva tecnica;

          d) area della funzione amministrativa, tecnica e ausiliaria.

      2. L'articolo 5 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417, è abrogato.

Art. 12.
(Competenze).

      1. Ferme restando la responsabilità della gestione unitaria dell'istituzione scolastica e la responsabilità dei risultati da parte del dirigente, nell'ambito dell'attività strumentale amministrativa e contabile, prevista dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, e alle altre norme

 

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vigenti in materia, spetta al direttore dei servizi generali e amministrativi la firma degli atti non aventi natura discrezionale e, altresì, l'organizzazione del personale e la verifica dei risultati conseguiti, in rapporto alle direttive di massima impartite e agli obiettivi assegnati dal dirigente scolastico.
      2. Le direttive di massima costituiscono linee di guida, di condotta e di orientamento preventivo, allo svolgimento delle competenze, ricadenti su attività aventi natura discrezionale, del direttore dei servizi generali e amministrativi e del restante personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
      3. Spetta al direttore dei servizi generali e amministrativi vigilare affinché ogni attività sia svolta nel rispetto dei princìpi dell'autonomia scolastica di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, del principio dell'unità dei servizi amministrativi e generali e delle esigenze di gestione e organizzazione dei servizi tecnici.
      4. Il personale amministrativo, tecnico e ausiliario è posto alle dirette dipendenze del direttore dei servizi generali e amministrativi, nel rispetto delle competenze assegnate. La sanzione disciplinare del rimprovero verbale nei confronti di tale personale è inflitta dal medesimo direttore. Le sanzioni del rimprovero scritto, o della multa con importo non superiore a quattro ore di retribuzione e la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un massimo di dieci giorni, sono inflitte dal dirigente scolastico. Il licenziamento con preavviso e il licenziamento senza preavviso sono inflitti dal responsabile dell'ufficio scolastico regionale; i citati provvedimenti disciplinari sono definitivi.
      5. In caso di accertata inerzia, od omissione, nell'adempimento dei propri doveri funzionali da parte del direttore dei servizi generali e amministrativi, il dirigente scolastico esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 17, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
 

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Capo IV
ISTITUZIONE DELLA VICEDIRIGENZA SCOLASTICA

Art. 13.
(Vicedirigenza scolastica).

      1. È istituita la qualifica di vicedirigente nelle istituzioni scolastiche autonome, di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni.
      2. I vicedirigenti sono inquadrati in ruoli di dimensione provinciale.

Art. 14.
(Reclutamento dei vicedirigenti scolastici).

      1. Il reclutamento dei vicedirigenti scolastici avviene mediante un concorso per esami e titoli, da svolgere in sede regionale con cadenza periodica, indetto con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
      2. I candidati devono indicare nella domanda di partecipazione al concorso di cui al comma 1 la provincia per la quale intendono concorrere.
      3. Al concorso è ammesso il personale docente ed educativo laureato che ha maturato, dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno cinque anni.
      4. Il concorso consta di due prove scritte, riguardanti gli ambiti operativi previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e successive modificazioni, e dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, e di un colloquio orale.
      5. Le nomine dei vicedirigenti scolastici sono effettuate, secondo l'ordine delle graduatorie provinciali, per le sedi disponibili. La rinuncia alla nomina non costituisce perdita dell'idoneità conseguita. Il personale docente ed educativo può partecipare al concorso ai soli fini del conseguimento

 

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dell'idoneità che va valutata adeguatamente in sede di corso-concorso selettivo per dirigente scolastico. La graduatoria degli idonei è permanente.
      6. Il 30 per cento dei posti disponibili in ogni corso-concorso selettivo per il reclutamento dei dirigenti scolastici, di cui all'articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è riservato ai vicedirigenti con almeno tre anni di servizio effettivamente prestato. I posti non coperti vanno ad incremento dei posti non riservati messi a concorso.
      7. La commissione esaminatrice è composta da un ispettore tecnico che la presiede e da due dirigenti scolastici.
      8. Il 30 per cento dei posti disponibili per il primo concorso è riservato ai docenti con cinque anni di incarico di collaboratore vicario, di cui all'articolo 3, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417. Per tali docenti il concorso consta di un corso di qualificazione avente ad oggetto gli ambiti operativi previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e successive modificazioni, e dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, con adeguata conoscenza dell'ordinamento scolastico vigente, di almeno 160 ore, con colloquio finale. I posti non coperti vanno ad incremento dei posti messi a concorso.

Art. 15.
(Ambiti di attività).

      1. L'attività di collaborazione dei vicedirigenti scolastici si svolge nell'ambito della gestione unitaria delle istituzioni scolastiche in regime di autonomia, secondo l'indirizzo organizzativo, di cui è responsabile il dirigente scolastico, presente nelle medesime istituzioni. È compito del dirigente scolastico definire gli ambiti operativi della collaborazione.
      2. Il dirigente scolastico può delegare al vicedirigente specifici compiti riguardanti

 

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gli ambiti operativi previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e successive modificazioni, e dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, nel pieno rispetto della libertà di insegnamento dei docenti e delle loro competenze, delle competenze degli organi collegiali e, altresì, delle competenze spettanti al personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
      3. Non si fa luogo a delega per gli atti di gestione di natura discrezionale e per gli atti conclusivi di procedimenti amministrativi.
      4. Il vicedirigente scolastico è tenuto al pieno rispetto dell'indirizzo organizzativo presente nell'istituzione scolastica di titolarità.
      5. In caso di assenza del dirigente scolastico, il vicedirigente lo sostituisce a tutti gli effetti. Se l'istituzione scolastica è priva di vicedirigente, si fa luogo alla reggenza.
      6. Ai vicedirigenti scolastici si applicano le norme di stato giuridico vigenti per il personale docente ed educativo.
      7. La retribuzione economica dei vicedirigenti scolastici è definita in sede di contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola.

Capo V
ISTITUZIONE DEL SERVIZIO ISPETTIVO TECNICO NAZIONALE

Art. 16.
(Servizio ispettivo tecnico nazionale).

      1. Il servizio ispettivo tecnico nazionale, quale organo del sistema nazionale di istruzione, è definito secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) il servizio ispettivo tecnico nazionale, nella sua struttura unitaria, concorre alla realizzazione delle finalità di educazione,

 

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formazione anche professionale e di istruzione, affidate alle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e agli articoli 2 e 3 della presente legge;

          b) gli ispettori tecnici hanno il compito di svolgere attività di assistenza tecnico-didattica per le istituzioni scolastiche, secondo piani regionali predisposti dalle conferenze regionali degli ispettori tecnici di cui alle lettere d) ed e);

          c) gli ispettori tecnici svolgono compiti di coordinamento, promozione e vigilanza, nel territorio, delle attività disciplinate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e successive modificazioni, e da direttive ministeriali. Essi svolgono, altresì, compiti di consulenza tecnica, di studio e di ricerca; attendono alle ispezioni disposte dall'ufficio scolastico regionale di appartenenza o dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; partecipano alla valutazione dei dirigenti scolastici;

          d) in ciascuna regione è istituita la conferenza degli ispettori tecnici che, all'atto del suo insediamento, elegge il presidente. L'incarico di presidente è biennale e non è immediatamente rinnovabile. È membro di diritto della conferenza il responsabile dell'ufficio scolastico regionale;

          e) la conferenza regionale di cui alla lettera d) elabora annualmente il piano regionale di intervento, in attuazione del piano nazionale di cui alla lettera i). Nel piano regionale sono definiti i piani annuali di attività dei singoli ispettori tecnici. All'interno della conferenza sono costituiti comitati tecnici di settore;

          f) enti e associazioni hanno titolo a presentare proposte alla conferenza regionale degli ispettori tecnici sulle materie di competenza del servizio ispettivo tecnico;

          g) il piano regionale di intervento è trasmesso alla regione, che può proporre l'attivazione di interventi sulle materie di competenza del servizio ispettivo tecnico;

 

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          h) è istituita la conferenza nazionale del servizio ispettivo tecnico nazionale, che è presieduta dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Essa elegge, nel proprio seno, un vice presidente, che resta in carica due anni. Il vice presidente non è immediatamente rieleggibile;

          i) la conferenza nazionale di cui alla lettera h) elabora, in attuazione di specifiche direttive del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il piano nazionale di intervento per lo svolgimento del servizio ispettivo tecnico nelle regioni; svolge attività di studio, di ricerca, di proposta, di consulenza sulle materie di competenza; esprime pareri, anche di propria iniziativa, sulle materie di competenza; elabora annualmente una proposta sulle modalità di valutazione dei dirigenti scolastici; all'interno della conferenza nazionale sono costituiti comitati tecnici di settore; enti e associazioni possono presentare alla conferenza nazionale proposte sulle materie di competenza;

          l) la conferenza nazionale redige ogni biennio una relazione sull'andamento del sistema nazionale di istruzione e sui livelli degli standard di qualità e di quantità raggiunti nelle istituzioni scolastiche di ogni regione. La relazione è inviata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Parlamento, al Governo, alle regioni, al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e al Parlamento europeo;

          m) l'accesso al ruolo degli ispettori tecnici avviene mediante corso-concorso selettivo, al quale sono ammessi il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche, in possesso di diploma di laurea, che ha maturato, dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno dieci anni e i dirigenti scolastici che hanno superato il periodo di prova. Il corso-concorso si articola in due procedure di ammissione, una per i docenti e una per i dirigenti scolastici, in un periodo di formazione e in un esame finale. La procedura relativa ai docenti consiste in due prove scritte, relative all'area delle

 

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competenze proprie della funzione ispettiva tecnica. Sono ammessi a sostenere il colloquio i candidati che hanno superato le prove scritte con una votazione di otto punti su dieci. La procedura di ammissione per i dirigenti scolastici consiste in un colloquio, che si considera superato con una votazione di otto punti su dieci. Con provvedimento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono individuati i titoli valutabili;

          n) il periodo di formazione di cui alla lettera m), di durata non inferiore a quello previsto per il reclutamento dei dirigenti scolastici, è diretto all'approfondimento critico delle specifiche competenze richieste per l'esercizio della funzione ispettiva tecnica, sia in ordine agli aspetti organizzativi e gestionali dell'attività didattica organizzata, sia in ordine agli aspetti normativi inerenti l'esercizio della medesima funzione, sia in ordine alle strategie di intervento in tema di gestione del sistema nazionale di istruzione. Il periodo di formazione si conclude con una prova finale consistente nella stesura di un atto specifico, proprio della funzione ispettiva tecnica e in un colloquio;

          o) l'assegnazione dei vincitori del corso-concorso è effettuata secondo l'ordine di graduatoria, a richiesta formale degli interessati, o d'ufficio in assenza di tale richiesta, per i posti effettivamente disponibili;

          p) i trasferimenti degli ispettori tecnici si effettuano in base ad una tabella di titoli valutabili, per i posti effettivamente disponibili; non si fa luogo ad assegnazione provvisoria di sede;

          q) ferma restando la responsabilità disciplinare, amministrativa, civile e penale, gli ispettori tecnici sono in particolare responsabili del conseguimento dei risultati connessi al pieno e corretto esercizio professionale della funzione. La valutazione è effettuata annualmente a livello centrale per gli ispettori tecnici in servizio presso l'amministrazione centrale e a livello regionale per gli ispettori tecnici in servizio presso gli uffici scolastici regionali.

 

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I nuclei di valutazione sono composti da un dirigente generale, da un ispettore tecnico e da un esperto anche non appartenente ai ruoli del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

          r) al personale ispettivo tecnico si applicano le sanzioni disciplinari previste per i dirigenti scolastici. Il consiglio di disciplina, istituito a livello centrale, è composto da un professore universitario di ruolo di materie giuridiche, da un dirigente generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da un ispettore tecnico. Con la medesima procedura sono nominati tre membri supplenti;

          s) sono fatte salve le disposizioni in materia di trattamento economico vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge per gli ispettori tecnici in servizio.

      2. La dotazione organica di 399 posti di funzione dirigenziale amministrativa non generale di cui alla tabella A annessa al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 agosto 2003, n. 319, è ridotta a 250 unità; i residui 149 posti sono assegnati, ad esaurimento, alla funzione ispettiva amministrativa da svolgere nelle istituzioni scolastiche. L'assegnazione dei 149 posti agli uffici scolastici regionali è effettuata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il Consiglio superiore della pubblica istruzione.

Art. 17.
(Dotazione organica).

      1. La dotazione organica nazionale degli ispettori tecnici è fissata in complessive 800 unità.
      2. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il Consiglio superiore della pubblica istruzione, provvede alla ripartizione del contingente nazionale degli ispettori tecnici tra i vari

 

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ordini e gradi di scuola e alla ripartizione per settori di insegnamento.

Art. 18.
(Direttive).

      1. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con proprie direttive, definisce le strategie di intervento in ordine all'attività del servizio ispettivo tecnico nazionale, nel rispetto delle funzioni delegate alle regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

Capo VI
ORGANI COLLEGIALI DELLE
ISTITUZIONI SCOLASTICHE

Art. 19.
(Istituzione e riordino degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche).

      1. L'istituzione e il riordino degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche sono definiti secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) l'attività degli organi collegiali è diretta a realizzare, anche in via strumentale, la partecipazione attiva dei suoi membri al perseguimento delle finalità del sistema nazionale di istruzione e delle istituzioni scolastiche, di cui agli articoli 2 e 3;

          b) a livello di istituzione scolastica sono previsti i seguenti organi collegiali: collegio dei docenti; consigli di classe, di interclasse e di intersezione; consiglio di valutazione, consiglio di gestione;

          c) il collegio dei docenti, quale corpo professionale, ha la responsabilità della progettazione dell'attività didattica, attraverso l'elaborazione del piano dell'offerta formativa e di ogni altra attività diretta al

 

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conseguimento degli standard di qualità e di quantità definiti per ogni ordine e grado di scuola. Ai fini dell'attività progettuale, il collegio dei docenti può costituire, al proprio interno, nuclei funzionali in rapporto all'attività progettuale da definire. Enti e associazioni hanno titolo a presentare proposte al collegio dei docenti sulle materie di competenza dello stesso, ai fini di una proficua collaborazione tra istituzione scolastica e territorio;

          d) i consigli di classe, di interclasse e di intersezione curano il coordinamento dell'attività didattica, in relazione al piano dell'offerta formativa e agli standard di qualità e di quantità da conseguire. La valutazione periodica e finale dei discenti spetta, in sede collegiale, esclusivamente ai docenti. È assicurata la presenza dei genitori nei consigli di classe, di interclasse e di intersezione;

          e) il consiglio di valutazione è composto dal dirigente scolastico, da due docenti e da due genitori nelle scuole del primo ciclo di istruzione e, nelle scuole del secondo ciclo, dal dirigente scolastico, da due docenti e da due studenti. Il consiglio di valutazione, nel rispetto della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale dei docenti, esprime pareri in ordine ai criteri generali e alle modalità di valutazione dei discenti, coerentemente al piano dell'offerta formativa e agli standard di qualità e di quantità definiti; il collegio dei docenti adotta gli orientamenti in materia. Il consiglio di valutazione ha il compito, altresì, di effettuare l'autovalutazione del funzionamento dell'istituzione scolastica e dell'attività educativa e didattica svolta. In tale caso il consiglio è composto dal dirigente scolastico, da quattro docenti, dal direttore dei servizi generali e amministrativi, da due genitori, nelle scuole del primo ciclo. Nelle scuole del secondo ciclo fanno parte del consiglio anche due studenti designati dal consiglio degli studenti;

          f) il consiglio di gestione, nel pieno rispetto delle competenze di spettanza del collegio dei docenti, dei consigli di classe,

 

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di interclasse e di intersezione e nei limiti delle disponibilità di bilancio, adotta gli indirizzi generali, determina le forme di autofinanziamento, delibera il programma annuale previsto dall'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44; approva il conto consuntivo previsto dall'articolo 18, comma 5, del medesimo regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 44 del 2001; adotta il piano dell'offerta formativa previsto dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275; delibera il regolamento di istituto, sentito il collegio dei docenti. Enti e associazioni hanno titolo a presentare proposte al consiglio di gestione sulle materie di competenza dello stesso, ai fini di una proficua collaborazione tra l'istituzione scolastica e il territorio;

          g) il consiglio di gestione dura in carica tre anni, è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto da sette membri nelle scuole del primo ciclo di istruzione; il direttore dei servizi generali e amministrativi ne è membro di diritto con diritto di voto. Due membri sono eletti dalla componente docente, due dalla componente genitori e uno dal personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Nelle istituzioni scolastiche del secondo ciclo di istruzione fanno parte del consiglio anche due studenti designati dal consiglio degli studenti. L'articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, è abrogato.

Capo VII
STATUTO DEI DISCENTI

Art. 20.
(Princìpi e criteri direttivi).

      1. Lo statuto dei discenti è definito, nel quadro delle finalità del sistema nazionale di istruzione e delle istituzioni scolastiche,

 

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secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) ai discenti è garantito il diritto ad una prestazione didattica secondo standard di qualità e di quantità definiti per ciascun ordine e grado di scuola, nel pieno rispetto dei diritti della persona agli stessi riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e dalle altre leggi dello Stato;

          b) ai discenti è garantito il diritto alla libertà di apprendimento. Ogni attività di insegnamento è svolta nel rispetto di tale diritto;

          c) ai discenti è garantito il diritto alla continuità dell'apprendimento. Ogni attività didattica organizzata e di insegnamento è programmata e svolta nel rispetto di tale diritto. I contenuti del piano dell'offerta formativa sono elaborati nel rispetto del diritto alla continuità dell'apprendimento. L'adozione dei libri di testo va effettuata nel rispetto di tale diritto;

          d) ai discenti è garantito il diritto alla propria diversità, anche di natura culturale e ideologica. In rapporto a particolari tipi di diversità accertate, il servizio scolastico è tenuto ad attivare forme individualizzate o differenziate di prestazione didattica, al fine di garantire il diritto di eguaglianza;

          e) ai discenti è garantito il diritto alla riservatezza. Ogni informazione sulla famiglia, sui valori, sulla trascorsa esperienza di vita, sulle condizioni socio-economiche e su ogni altro elemento di carattere personale può essere chiesta dal personale docente esclusivamente per comprovate ragioni di ordine didattico;

          f) i discenti in rapporto all'età e alle loro famiglie hanno il diritto e il dovere all'informazione sulla vita e sulla gestione della scuola. Il regolamento di istituto ne determina le modalità;

          g) ai discenti portatori di handicap è garantito il diritto ad una prestazione didattica differenziata. La valutazione dei discenti portatori di handicap, ai fini del passaggio da una classe all'altra e in sede

 

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di licenza, è effettuata in base agli apprendimenti effettivamente acquisiti;

          h) ai discenti portatori di handicap è assicurata la frequenza delle scuole del secondo ciclo di istruzione, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera g), della legge 28 marzo 2003, n. 53, nei termini seguenti:

              1) nell'ambito delle scuole del secondo ciclo di istruzione ai discenti è garantito il diritto ad una prestazione didattica secondo metodologie e itinerari didattici che tengono conto dello stato di handicap dei medesimi discenti;

              2) in sede di esame di Stato i discenti portatori di handicap sono tenuti a rispondere dei piani di studio svolti, secondo procedure e itinerari didattici diversificati, comunque equipollenti a quelli che trovano applicazione nei confronti della generalità dei discenti;

          i) la scansione giornaliera delle discipline di insegnamento va effettuata nel rispetto del diritto dei discenti alla naturale progressività di sviluppo dei propri ritmi di apprendimento e del diritto alla continuità dell'apprendimento stesso;

          l) ai discenti del secondo ciclo di istruzione sono garantiti: il diritto a disporre di spazi per fini sportivi, culturali e sociali; il diritto di assemblea; il diritto a decidere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; il diritto ad essere informati sul proprio rendimento e sui criteri di valutazione adottati; il diritto ad essere rappresentati presso la scuola dai genitori o da altra persona a ciò delegata;

          m) è dovere e diritto della famiglia svolgere un ruolo di collaborazione con la scuola, al fine di tutelare la fruizione dei diritti e l'adempimento dei doveri dei figli. In rapporto alle particolari finalità di ogni ordine e grado di scuola, alla famiglia sono riservati spazi di collaborazione in tema di organizzazione dell'attività didattica e di verifica degli standard effettivamente conseguiti;

 

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          n) ai discenti stranieri è garantita la propria diversità culturale e religiosa, nel rispetto delle leggi dello Stato. Nei loro confronti vanno attuate iniziative di accoglienza e di attività interculturali;

          o) in ogni istituzione scolastica del secondo ciclo di istruzione è istituito il consiglio dei discenti che dura in carica un anno, composto da dieci membri in rappresentanza delle classi che compongono il corso di studi. Il consiglio elegge, tra i propri membri, il presidente. Il consiglio dei discenti esprime pareri e proposte al dirigente scolastico e agli organi collegiali in ordine alle modalità di partecipazione attiva dei medesimi alla vita della comunità scolastica di appartenenza e, altresì, in ordine ai diritti e ai doveri di cui sono titolari, ai fini di una piena partecipazione alla pratica del metodo democratico nella scuola. È compito dei docenti fornire una costante informazione ai discenti sui contenuti e sulle finalità del piano dell'offerta formativa e sui risultati da conseguire;

          p) i doveri che fanno capo ai discenti attengono, in rapporto all'età, a comportamenti coerenti con le finalità del sistema nazionale di istruzione e delle istituzioni scolastiche, in termini di disciplina, rispetto di sé e degli altri, rispetto della istituzione scolastica e di chi la rappresenta, rispetto delle leggi dello Stato, compartecipazione alla vita organizzata della comunità scolastica, rapporti costruttivi con i membri della stessa comunità, al fine di acquisire la consapevolezza che, senza l'adempimento dei propri e degli altrui doveri, non risulta possibile la piena fruizione dei propri e degli altrui diritti;

          q) i doveri dei discenti sono individuati in rapporto all'età e all'ordine di scuola frequentato, tenendo conto, altresì, del grado di autonomia di giudizio generalmente acquisito nella fascia di età presa in considerazione;

          r) la individuazione dei doveri dei discenti deve tenere conto che il loro adempimento, correlato all'esercizio dei diritti, costituisce una delle condizioni per

 

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il libero e pieno sviluppo della persona e per l'instaurazione del metodo democratico all'interno della comunità scolastica.

Art. 21.
(Sanzioni disciplinari).

      1. Nella definizione delle sanzioni disciplinari nei confronti dei discenti della scuola secondaria di primo grado e delle scuole secondarie di secondo grado si deve tenere conto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) il potere disciplinare nei confronti dei discenti ha per fine di garantire e di tutelare l'integrità della prestazione didattica e, altresì, di rendere ciascun soggetto responsabile del rispetto dei propri e degli altrui diritti e doveri;

          b) il potere disciplinare consiste in un potere di vigilanza atto a consentire l'esercizio dei diritti e l'adempimento dei doveri che fanno capo a ciascun discente;

          c) l'esercizio del potere disciplinare è diretto a rendere consapevolmente responsabili i discenti delle loro libere azioni ed opinioni;

          d) le sanzioni disciplinari sono ridefinite in rapporto all'età e all'ordine di scuola frequentato, tenendo conto, altresì, del grado di autonomia di giudizio generalmente acquisito nella fascia di età presa in considerazione;

          e) le sanzioni disciplinari, che comportano l'allontanamento dalla scuola fino a tre giorni, sono irrogate dal dirigente scolastico sentito il consiglio di classe.

      2. Le sanzioni disciplinari che comportano l'allontanamento dalla scuola fino a quindici giorni sono irrogate da una commissione composta dal dirigente scolastico che la presiede, da due docenti, con contratto a tempo indeterminato, eletti dal collegio dei docenti e da due studenti designati dal consiglio degli studenti tra i propri membri che hanno compiuto il sedicesimo anno si età. Nelle scuole secondarie

 

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di primo grado la componente degli studenti è sostituita da due genitori eletti dalla relativa assemblea.
      3. I provvedimenti adottati in materia di sanzioni disciplinari sono definitivi.
      4. Ogni sanzione disciplinare è proporzionata all'infrazione commessa. A richiesta del discente sanzionato o, nel caso di discenti frequentanti la scuola secondaria di primo grado, a richiesta dei genitori, la sanzione può essere convertita nello svolgimento di attività confacenti al ripristino della turbativa arrecata alla comunità scolastica.

Capo VIII
DISPOSIZIONI FINALI

Art. 22.
(Soppressione delle rappresentanze sindacali unitarie nelle istituzioni scolastiche).

      1. Alle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, non si applicano le disposizioni cui all'articolo 42, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'accordo 7 agosto 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1998, e al capo II del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2002/2005 e il primo biennio economico 2003/2005, di cui all'accordo 24 luglio 2003, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2003, concernenti la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.
      2. Il decreto-legge 22 gennaio 1999, n. 5, convertito dalla legge 24 marzo 1999, n. 69, è abrogato.


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