VIII Commissione - Mercoledì 28 settembre 2005


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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulla programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua presenti sul territorio nazionale.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Premessa.

L'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della VIII Commissione, nella riunione del 16 dicembre 2004, ha concordato sull'opportunità di svolgere un'indagine conoscitiva sulla programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua presenti sul territorio nazionale, sulla quale è stata acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, l'intesa con il Presidente della Camera.
L'indagine conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta del 22 dicembre 2004 ed è stato fissato al 30 aprile 2005 il termine per la sua conclusione. Tale termine è stato successivamente prorogato al 15 luglio 2005 e, infine, al 30 settembre 2005.
Nelle intenzioni della Commissione, le finalità dell'indagine consistevano sostanzialmente in una disamina del sistema delle competenze e delle iniziative in materia di gestione dei corsi d'acqua, così come definiti ai sensi del decreto legislativo n. 112 del 1998, e delle opere idrauliche nel senso tecnico del termine (quali manutenzioni delle opere in alveo, mantenimento delle sezioni di deflusso attraverso la gestione dei materiali lapidei e la vegetazione in alveo, adeguamento e sicurezza delle arginature, delle opere di laminazione delle piene e la gestione degli invasi ad uso plurimo). Tali competenze, infatti, risultano ripartite tra numerosi soggetti, a livello sia centrale che regionale e locale, determinando una situazione complessa, nella quale un soggetto pubblico unitario assume un ruolo preminente solo nella «fase post-emergenza», piuttosto che in quella di determinazione delle linee di indirizzo per la prevenzione dei rischi e nella realizzazione di interventi mirati e sistematici ex ante.
Si è, infatti, osservato che il continuo verificarsi di episodi di esondazione e di eventi alluvionali che interessano fiumi e laghi, nonché di fenomeni che riguardano alcune acque lagunari esige che il Parlamento affronti con serietà e coerenza il problema dell'assetto delle competenze in questa materia, tanto più che allo stato non si dispone di un quadro completo dei dati, che sia unanimemente condiviso dai soggetti istituzionali interessati e dagli operatori del settore. A tale proposito, un altro significativo aspetto che la Commissione ha ritenuto di affrontare è l'opportunità di svolgere una seria «analisi costi/benefici», dalla quale si possa concretamente valutare l'entità e il peso delle misure adottate (o da adottare) in relazione ai rischi effettivi. In tale contesto generale, la Commissione intendeva, inoltre, conoscere lo stato di attuazione dei Piani per l'assetto idrogeologico, la loro adozione e vigenza ai sensi delle leggi n. 183 del 1989, n. 267 del 1998 e n. 365 del 2000, nonché una verifica dell'omogeneità degli obiettivi e delle linee normative dei piani medesimi, al fine di valutare le ricadute economico-sociali sul Paese. Un ultimo aspetto di interesse per la Commissione è, inoltre, la valutazione dello stato di attuazione dell'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 576 del 1996.
Tenuto conto di tali finalità, la Commissione ha ritenuto quanto mai necessario


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ed urgente individuare, mediante lo strumento dell'indagine conoscitiva ai sensi dell'articolo 144 del regolamento, i principali problemi esistenti, valutando le strategie e le ipotesi operative adeguate, al fine di consentire un'efficiente ed efficace programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua presenti sul territorio nazionale.
L'indagine si è avviata il 25 gennaio 2005, con l'audizione di rappresentanti dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT); l'indagine è quindi proseguita il 27 gennaio 2005 con l'audizione di rappresentanti del Dipartimento della Protezione civile. Il 1o febbraio 2005 ha avuto luogo l'audizione di rappresentanti del Registro italiano dighe (RID). L'audizione di rappresentanti dell'Agenzia interregionale per il fiume Po (AIPO) è stata svolta l'8 febbraio 2005, mentre nella seduta del 16 febbraio 2005 ha avuto luogo l'audizione di rappresentanti del Magistrato alle acque di Venezia.
Si sono svolte, inoltre, le audizioni dei seguenti enti ed organismi: rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, nella seduta del 17 febbraio 2005; rappresentanti del Comitato nazionale per la lotta alla siccità e/o alla desertificazione, dell'Associazione nazionale dei costruttori edili (ANCE), dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI), nella seduta del 22 febbraio 2005; rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), nella seduta del 24 febbraio 2005; rappresentanti delle Autorità di Bacino dei fiumi Po, Arno e Tevere nonché dell'Unione Province italiane (UPI), nella seduta dell'8 marzo 2005. Il ciclo di audizioni si è infine concluso con l'audizione di rappresentanti delle Autorità di Bacino dei fiumi Adige e Liri - Garigliano e Volturno (15 marzo 2005) e con l'audizione di rappresentanti di associazioni ambientaliste (Legambiente e WWF), nella seduta del 10 maggio 2005.
Delegazioni della VIII Commissione hanno, inoltre effettuato, i seguenti sopralluoghi:

missione di studio presso i fiumi Garigliano e Volturno (27 maggio 2005);

missione di studio presso il fiume Po (dal 23 al 24 giugno 2005).

Sulla base degli elementi acquisiti, il presente documento si articola rispettivamente in:
a) una disamina del quadro giuridico esistente e delle riforme da attuare anche alla luce della normativa comunitaria;
b) un'indicazione dei principali elementi emersi nel corso dell'indagine conoscitiva a seguito delle audizioni effettuate;
c) una sintetica descrizione dei sopralluoghi effettuati;
d) alcune proposte di carattere generale che scaturiscono dagli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell'indagine. A quest'ultimo riguardo, si anticipa che ampio spazio è dedicato alla questione del Po e alle proposte concrete sul rilancio del più grande fiume italiano, prima fra tutte quella della sua navigabilità. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Po, per bacino di utenza (circa 16 milioni di abitanti) e per estensione territoriale, oltre a essere il più grande fiume italiano, rappresenta una grande risorsa da valorizzare per lo sviluppo economico e sociale dell'intero Paese, anche alla luce delle recenti iniziative assunte dagli enti territoriali competenti alla sua gestione.

2. Il quadro giuridico esistente, tra riforme da attuare e questioni aperte.

La normativa fondamentale in materia di opere idrauliche è contenuta nella legge n. 183 del 1989, alla quale risale la fondamentale intuizione della creazione del «bacino idrografico» quale unità territoriale di riferimento per l'azione di pianificazione e programmazione per l'intero


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settore della difesa del suolo e del dissesto idrogeologico. Tale legge stabilisce, infatti, che il territorio nazionale sia suddiviso in bacini idrografici di rilievo nazionale, interregionale e regionale, prevedendo l'istituzione di autorità di bacino nei bacini di rilievo nazionale. In particolare, per bacino idrografico si intende «il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d'acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d'acqua, ivi compresi i suoi rami terminali con le foci in mare ed il litorale marittimo prospiciente». Per ciascun bacino è prevista l'adozione di un piano di bacino per la pianificazione e la programmazione delle azioni e delle norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e per la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato. I piani devono prevedere: la realizzazione di attività, tra le quali rientrano quelle strettamente collegate al «controllo» dei corsi d'acqua; la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica; la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d'acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro foci nel mare, nonché delle zone umide; la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti; la disciplina delle attività estrattive, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamento degli alvei e delle coste; il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante operazioni di ristabilimento delle preesistenti condizioni di equilibrio e delle falde sotterranee; la protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi; lo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e di pronto intervento idraulico, nonché della gestione degli impianti; il riordino del vincolo idrogeologico.
Alla luce del suo contenuto, la legge n. 183, certamente da considerare una ampia e organica legge di riforma, ha goduto - sin dalla sua emanazione - di una sostanziale condivisione da parte degli operatori del settore, avendo l'effetto, in particolare, di mettere a disposizione delle autorità di bacino poteri incisivi e strumenti di intervento adeguati alla complessità del quadro da governare. Tuttavia, come è stato possibile registrare nel corso dell'indagine conoscitiva, la legge n. 183 del 1989 ha incontrato (e tuttora incontra) significative difficoltà attuative.
Tale dato è, in via preliminare, da collegare alle difficoltà derivanti da un farraginoso assetto delle competenze, non solo legislative, ma soprattutto amministrative, che fa sì che il sistema non sia ancora in grado di superare sovrapposizioni e oggettivi conflitti. Ciò appare dovuto in massima parte alla molteplicità di organi, strutture ed enti che - sulla base della legislazione vigente - operano sullo stesso territorio, dando vita, talvolta, addirittura a competenze simili o analoghe che fanno capo a differenti strutture della stessa amministrazione centrale dello Stato. Va, infatti, ricordato che, soprattutto nella scorsa legislatura, l'intero settore della tutela del territorio e della gestione delle risorse idriche è stato sottoposto a rilevanti modifiche organizzative, che hanno contribuito a ridefinire il quadro normativo e applicativo.
In particolare, il decreto legislativo n. 112 del 1998 (cosiddetta «riforma Bassanini») è intervenuto sul complesso della materia, creando - in primo luogo - una marcata interconnessione fra la normativa della difesa del suolo e quella del servizio idrico, con ciò legando tra di loro la legge n. 183 del 1989 e la legge n. 36 del 1994 (cosiddetta «legge Galli»). In questo contesto,


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il decreto legislativo n. 112 ha sostanzialmente riservato allo Stato compiti di rilievo nazionale, che tuttavia appaiono di carattere generale e astratto, incidendo sulla definizione di criteri e metodi, nonché sulla individuazione di standard. Esso ha, inoltre, attribuito allo Stato la funzione di programmazione e finanziamento degli interventi di difesa del suolo, confermando una imprescindibile funzione statale di programmazione unitaria. L'opzione del legislatore si è, dunque, indirizzata verso un «modello cooperativo» nei rapporti tra Stato e regioni, alle quali sono state conferite tutte le principali funzioni in materia, che - tuttavia - debbono essere esercitate in modo da garantire l'unitaria considerazione delle questioni afferenti ciascun bacino idrografico. Le funzioni trasferite a regioni ed enti locali investono, tra l'altro, la manutenzione e polizia idraulica. Funzioni importanti in materia di controllo dei corsi d'acqua sono esercitate, altresì, ai sensi dell'articolo 91 del citato decreto legislativo n. 112 del 1998 dal RID (Registro italiano dighe), che provvede, ai fini della tutela della pubblica incolumità, all'approvazione tecnica dei progetti ed alla vigilanza sulla costruzione e sulle operazioni di controllo spettanti ai concessionari sulle dighe.
Al già complesso quadro normativo richiamato si aggiunge poi il decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, contenente misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania. In particolare, il comma 1 dell'articolo 1 ha previsto che le autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale e le regioni per i restanti bacini, adottino, ove non si sia già provveduto, piani stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico, che contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia, nonché le misure medesime. Il comma 1-bis dell'articolo 1 ha disposto invece che le autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale e le regioni per i restanti bacini, in deroga alle procedure della legge 18 maggio 1989, n. 183, approvino piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a rischio più alto, redatti anche sulla base delle proposte delle regioni e degli enti locali. Il decreto-legge n. 279 del 2000, inoltre, ha posto ulteriori norme riguardanti i piani stralcio di cui al decreto-legge n. 180 e norme straordinarie in materia di polizia idraulica.
La riforma del Titolo V, invece, non ha recato direttamente ed esplicitamente modifiche al quadro costituzionale delle competenze in materia, anche se questo non rappresenta una garanzia di continuità, e solo le tormentate fasi della attuazione in via giurisprudenziale della riforma costituzionale del 2001 potranno dire in che misura la Corte costituzionale non ritenga innovato il riparto di competenze legislative anche in questo importante settore di intervento. Basti ricordare le vicende del condono edilizio per richiamare un caso a tutti noto - e non privo di effetti pratici rilevanti - di rivendicazione da parte delle regioni di nuove competenze legislative, non indicate espressamente dal Titolo V ma ricavabili «implicitamente» dal nuovo quadro costituzionale e di riconoscimento della fondatezza di tali rivendicazioni da parte della Corte costituzionale.
Il quadro normativo complessivo rimane, pertanto, instabile e ciò non aiuta chi opera nel settore e deve intervenire, talvolta, con tempestività in situazioni di prevenzione o di particolare emergenza. Tuttavia, una ipotesi di ridefinizione complessiva della materia e di possibile omogeneizzazione della legislazione è rappresentata dalla direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque e che non è ancora stata attuata nell'ordinamento italiano. Si tratta di una direttiva comunitaria di rilevante importanza, dalla cui attuazione nell'ordinamento interno - a giudizio di molti e autorevoli soggetti intervenuti nel corso dell'indagine conoscitiva, che ne sollecitano il recepimento - potrebbe discendere un efficace riordino della complessiva materia.


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Tre sono le principali novità introdotte dalla direttiva 60/2000/CE. In primo luogo, le disposizioni relative alla raccolta di una vasta mole di dati omogenei e standardizzati sull'intero sistema dei bacini idrografici europei che saranno poi gestiti ed analizzati all'interno di un Sistema Informativo Geografico: la direttiva fornisce, infatti, la base normativa dell'iniziativa INSPIRE (sistema unico di raccolta dell'informazione geografica per la predisposizione, l'attuazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche comunitarie), destinato a diventare il principale riferimento a livello continentale per la raccolta di informazioni geografiche, e quindi supporto imprescindibile di tutte le politiche territoriali.
Il secondo elemento di novità è rappresentato dalla tendenza, chiaramente evidenziata dalla direttiva, a trattare unitariamente le problematiche relative al governo delle acque e quelle relative alla difesa del suolo. A tale riguardo, va ricordato che tradizionalmente i due ambiti vengono considerati separatamente. Tale separazione riguarda prima di tutto il livello normativo: per l'Italia basti pensare ai due differenti filoni riferibili - rispettivamente - alla legge n. 183 del 1989 e al decreto legislativo n. 152 del 1999. Ma la separazione si riproduce anche sul piano amministrativo e tecnico-scientifico: agli ingegneri civili ed ai geologi è affidato prevalentemente il compito della difesa del suolo (con riferimento tradizionale presso il Ministero dei Lavori Pubblici), ai chimici ed ai biologi l'aspetto della tutela delle acque. La direttiva 60/2000/CE - pur prevalentemente finalizzata alla tutela dei corpi idrici dall'inquinamento - supera tuttavia questa separazione, in quanto fra i suoi scopi indica esplicitamente anche la mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità (articolo 3) e soprattutto in quanto assegna le funzioni di tutela della qualità delle acque ad autorità competenti per l'intero bacino.
Il terzo elemento di novità consiste nell'introduzione del nuovo concetto di «distretto idrografico», definito come «area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere», facendone la principale unità per la gestione dei bacini idrografici, in quanto gli Stati membri devono individuare i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e assegnarli, ai fini della attuazione della direttiva stessa, a singoli distretti idrografici. La stessa direttiva prevede poi che gli Stati membri individuino un'autorità competente per ciascun distretto. Entro quattro anni dall'entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, siano effettuati l'analisi delle caratteristiche del distretto, l'esame dell'impatto delle attività umane sulle acque e l'analisi economica dell'utilizzo idrico e si compili un registro delle aree alle quali è stata attribuita una protezione speciale. Inoltre, entro nove anni dall'entrata in vigore della direttiva, per ciascun distretto idrografico devono essere predisposti un piano di gestione e un programma operativo che tenga conto dei risultati delle analisi e degli studi.
Le misure previste nel piano di gestione del distretto idrografico sono destinate a: prevenire il deterioramento, migliorare e ripristinare le condizioni delle acque superficiali, ottenere un buono stato chimico ed ecologico di esse e ridurre l'inquinamento dovuto agli scarichi e alle emissioni di sostanze pericolose; proteggere, migliorare e ripristinare le condizioni delle acque sotterranee, prevenirne l'inquinamento e il deterioramento e garantire l'equilibrio fra l'estrazione e il rinnovo, preservare le zone protette. Tali obiettivi devono essere conseguiti entro quindici anni dall'entrata in vigore della direttiva, data che può essere però rinviata o resa meno vincolante, fermo restando il rispetto delle condizioni stabilite dalla direttiva stessa.
È evidente come l'attuazione della direttiva 60/2000/CE possa costituire un'occasione importante per un riordino normativo complessivo del sistema italiano, che ne valorizzi i punti di forza - fra i quali, in primo luogo, l'esperienza già acquisita in materia di gestione unitaria


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della pianificazione di bacino, realizzata in Italia prima che in molti altri paesi europei - e superi le incoerenze e le contraddizioni ancora presenti, alla cui individuazione questa indagine ha voluto contribuire.

3. Principali elementi emersi nel corso dell'indagine conoscitiva.

Preso atto del complesso quadro normativo, occorre preliminarmente osservare che nel corso dell'indagine sono emersi numerosi spunti di riflessione ed elementi di conoscenza, che hanno fornito alla Commissione un significativo quadro d'insieme delle problematiche esistenti. Nel rinviare, per il dettaglio, ai resoconti delle audizioni effettuate, si riportano di seguito le più importanti questioni analizzate.
Una delle questioni principali oggetto dell'indagine conoscitiva ha riguardato l'assetto delle competenze in materia di programmazione e gestione delle opere idrauliche. Come rilevato nel paragrafo precedente, il quadro normativo vigente è alquanto articolato. Su tale questione i soggetti auditi hanno espresso due differenti posizioni. Da un lato, è stata rappresentata una forte esigenza di riordino della disciplina esistente; dall'altro, è stata richiamata l'opportunità di fare applicare le norme vigenti, richiamando i soggetti competenti all'esercizio delle proprie funzioni amministrative.
La maggior parte degli auditi ha segnalato una situazione di sovrapposizione burocratica dei soggetti e di parcellizzazione delle responsabilità, a livello centrale e locale, che talvolta non consente di comprendere chiaramente a quali soggetti sono attribuite le competenze medesime. Il succedersi degli interventi normativi ha originato un meccanismo complesso e stratificato di soggetti, funzioni e attività non sempre in grado di garantire un'efficace e sistematica azione di tutela e gestione delle opere e dei corsi d'acqua. Nel trasferimento delle funzioni dallo Stato alle regioni in materia di gestione delle opere idrauliche si sono registrate talune disomogeneità. È il caso, ad esempio, degli uffici del servizio idrografico e mareografico nazionale, che sono stati trasferiti alle ARPA o a vari assessorati regionali ovvero in altri casi alla Protezione civile di determinate regioni. Tale situazione, com'è stato evidenziato dai rappresentanti dell'APAT, rende difficoltosa la costituzione di un sistema informativo dei dati idrografici, mareografici e meteorologici, che è strumentale alla redazione dei piani d'ambito territoriale, come previsto dalla legge n. 36 del 1994, dei piani di tutela delle acque, di cui al decreto legislativo n. 152 del 1999, e dei piani di gestione dei distretti idrografici previsti dalla direttiva comunitaria 2000/60/CE. Analoghe difficoltà si incontrano nello svolgimento di un monitoraggio qualitativo e quantitativo delle acque al fine di valutare il rischio derivante eventualmente da attività antropiche che spesso si svolgono in aree vulnerabili al rischio idraulico.
Il trasferimento delle competenze in materia idraulica alle regioni ha fatto sì che, in taluni casi, le regioni subdelegassero tali funzioni a livello locale, determinando così un'ulteriore frammentazione delle competenze. In altri casi, peraltro, le funzioni in materia sono state delegate ad enti attuatori a livello locale, privi delle necessarie professionalità e capacità progettuali. I rappresentanti dell'Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno hanno segnalato, ad esempio, che la Regione Campania ha delegato alle province le competenze in materia idraulica, senza assegnare a queste ultime il necessario personale e senza trasferire alcuna risorsa finanziaria: un sistema di delega assolutamente criticabile.
Nella prospettiva di riordino della normativa esistente, inoltre, adeguato spazio dovrebbe essere dedicato alla revisione delle procedure per l'approvazione dei piani e dei programmi, che risultano molto farraginose e lunghe. La semplificazione delle procedure assicurerebbe la cooperazione fra i soggetti istituzionalmente competenti, in particolare di quelli che sono chiamati a operare nell'ambito territoriale del bacino: lo Stato, le regioni, gli enti


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locali e i consorzi di bonifica. A questo proposito, nello specifico, è emersa la necessità di rivedere la composizione dei comitati di bacino, prevedendo la partecipazione in essi di tutti i soggetti ai quali la legge n. 183 del 1989 ha affidato competenze in materia di difesa del suolo. In particolare, è stata rilevata l'opportunità di assicurare la partecipazione dei consorzi di bonifica nei comitati tecnici in tutte le realtà regionali, cosa che al momento non è codificata.
Come già anticipato in precedenza, accanto all'esigenza di riordino del quadro normativo alcuni soggetti auditi hanno rilevato che in realtà il quadro storico legislativo non risulterebbe farraginoso, ma sostanzialmente disatteso. Sarebbe sufficiente, quindi, fare applicare le normative vigenti facendo in modo che ciascuna delle autorità eserciti i propri compiti in coordinamento con gli altri soggetti interessati. In particolare, nel corso dell'audizione dei rappresentanti del Dipartimento della protezione civile, è stato rilevato che il quadro normativo delle competenze nella gestione delle opere idrauliche, ancorché complesso, è chiaro in quanto si può agevolmente identificare la struttura delle autorità e dei soggetti preposti all'attuazione degli interventi. Sarebbe quindi necessario richiamare i soggetti alle proprie responsabilità e garantire nel contempo un coordinamento delle specifiche competenze sulla scorta di quanto viene stabilito di volta in volta nelle ordinanze di protezione civile in materia di emergenza idrica.
Che si parli di riordino del quadro normativo o di mantenimento della disciplina vigente, si può comunque rilevare che l'esigenza di maggiore coordinamento e integrazione tra i soggetti preposti ai vari livelli è stata rappresentata quasi unanimemente nel corso dell'indagine. D'altronde, un maggiore coordinamento garantirebbe la partecipazione di tutti i soggetti interessati sulla base dell'approccio partecipativo delle popolazioni locali alle scelte che riguardano il territorio. Tale approccio non può essere disatteso nell'attuale sistema delle autonomie, anche alla luce di quanto raccomandato dalla Corte costituzionale nelle pronunce in questa materia.
In alcuni casi, sono state prospettate soluzioni concrete di particolare interesse per agevolare il coordinamento e l'integrazione delle attività. In particolare, è stata segnalata l'opportunità che il Registro italiano dighe (RID) faccia parte del consiglio tecnico delle autorità di bacino. Tale organo, infatti, può offrire un importante contributo dal punto di vista tecnico, stanti le sue funzioni di sorveglianza e di controllo delle dighe e dei progetti relativi alle dighe sia in esercizio, sia in fase di costruzione. È stato, inoltre, segnalato che, nel caso dei bacini interregionali o bacini di interesse nazionale, non è stato istituito un apposito ente che coordini la gestione operativa delle piene, con esclusione del bacino del fiume Po.
L'Associazione nazionale dei comuni (ANCI) ha, inoltre, richiesto l'attribuzione ai comuni delle relative competenze in materia di manutenzione dei fossi, che rivestono notevole importanza nel sistema idrico in quanto generalmente alimentano i fiumi attraverso l'acqua piovana in essi raccolta. Tale competenza, che è attualmente esercitata dai consorzi di bonifica, dovrebbe essere attribuita direttamente ai comuni quantomeno nelle zone urbanizzate dove spesso rappresentano un problema non solo idrico, ma anche di carattere urbanistico.
Più in generale, si rileva che la parcellizzazione di responsabilità ovvero l'inattività degli organismi previsti dalla legislazione vigente hanno contribuito a determinare significativi ritardi nell'attuazione della legge n. 183 del 1989. Nel corso di alcune audizioni, è stato evidenziato che la classificazione dei bacini in nazionali, interregionali e regionali, prevista dalla medesima legge, ha determinato una difficile situazione. La divisione del Paese in zone in cui le competenze in materia sono sufficientemente precisate ed altre in cui l'attuazione del modello è di fatto demandata a successive scelte e decisioni future ha provocato un tardivo recepimento dell'impianto normativo della legge, che è


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stato addirittura decennale nel Mezzogiorno. Nel corso dell'audizione dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (ANBI) è stata rilevata l'opportunità di creare un'unica Autorità di bacino anche per i bacini interregionali, come per quelli nazionali, al fine di superare i problemi relativi alla difficoltà di raggiungere le intese tra le singole regioni.
Quanto all'esigenza di un maggiore coordinamento tra i soggetti competenti, è stato inoltre ricordato che già la Commissione De Marchi nel 1970 aveva sottolineato l'opportunità di considerare unitariamente il bacino idrografico non solamente dal punto di vista concettuale, ma anche dal punto di vista operativo. La legge n. 183 del 1989 ha introdotto una nuova nozione di difesa del suolo e ha riconosciuto il bacino idrografico quale ambito territoriale di riferimento. Dalla maggior parte degli auditi è stata raccomandata l'opportunità di mantenere il riferimento al bacino idrografico in quanto tale concetto è di estrema rilevanza ai fini della pianificazione e della programmazione degli interventi. Tale considerazione assume un'importanza fondamentale anche nella prospettiva del recepimento della direttiva comunitaria 2000/60/CE, che è stato sollecitato ripetutamente nel corso dell'indagine. Il distretto idrografico previsto dalla normativa comunitaria consentirebbe la creazione di un'unica cabina di regia, soluzione ottimale anche per la gestione delle risorse finanziarie. Molte volte, infatti, gli Accordi di programma quadro (APQ) tra Stato e regioni sono stati conclusi «scavalcando» la programmazione delle autorità di bacino e dirottando ingenti risorse finanziarie su interventi non definiti prioritari in base alla programmazione ex legge n. 183 del 1989.
La situazione precedentemente evidenziata si ripercuote negativamente, peraltro, sulla programmazione delle opere idrauliche e sulla manutenzione dei corsi d'acqua. Nel corso dell'indagine conoscitiva è stata enfatizzata tale difficoltà. Come già accennato in premessa, in Italia l'intervento pubblico si svolge in una logica emergenziale, successivamente al verificarsi di eventi calamitosi, trascurando i necessari interventi preventivi. Notevoli carenze si registrano, inoltre, nella pianificazione ordinaria degli interventi. Dall'indagine conoscitiva emerge un'oggettiva esigenza di riportare gli interventi a una programmazione ordinaria, in quanto manca una continuità degli interventi medesimi. In alcune regioni, il sistema di emergenze e dei commissariati straordinari ha di fatto degenerato la condizione ordinata di programmazione e pianificazione, contraddicendo la stessa logica che ne aveva giustificato la nascita. L'insufficiente coordinamento tra i soggetti istituzionalmente preposti rende, altresì, difficoltosa la pianificazione ordinaria delle opere.
Dall'indagine è emerso che l'attività di manutenzione dei corsi d'acqua deve essere uno degli elementi sui quali si articola la pianificazione. È stata evidenziata la difficoltà di programmare la manutenzione dei corsi d'acqua ed è stato segnalato che solo poche autorità di bacino hanno promosso un piano stralcio sulla gestione dei sedimenti fluviali, nonostante questo sia un problema centrale per la difesa idraulica e per altri aspetti collaterali, quali la difesa della costa. In un paese come l'Italia la manutenzione del territorio è necessaria per la sicurezza. I rappresentanti del Dipartimento della protezione civile hanno rilevato la necessità di assicurare la manutenzione dell'idrografia secondaria e dei piccoli bacini. È stata inoltre evidenziata la necessità di interventi di manutenzione sull'intero parco dighe nazionale il cui livello di obsolescenza è elevato.
Per quanto riguarda la manutenzione dei corsi d'acqua, i consorzi di bonifica sono chiamati a compiere interventi di manutenzione del sistema idrografico in base alla normativa vigente. Al riguardo, i rappresentanti dell'ANBI hanno precisato che già i consorzi affrontano con i contributi dei propri associati la manutenzione ordinaria. Sarebbe quindi necessaria una iniziativa nazionale importante, che


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preveda un programma straordinario di manutenzione idraulica, che non può essere a carico dei consorziati in quanto richiederebbe ingenti risorse e investimenti.
È ovvio che gli interventi di pianificazione ordinaria e di manutenzione necessitano di adeguate risorse finanziarie. Nel corso dell'indagine conoscitiva è emerso che negli ultimi anni gli stanziamenti per la difesa del suolo da parte dello Stato sono stati costantemente ridotti. Le risorse finanziarie si sono concentrate su investimenti una tantum, che vengono stanziati in occasione delle emergenze, piuttosto che sulla programmazione ordinaria. L'Autorità di bacino del Po ha fatto presente che la riduzione degli stanziamenti per la difesa del suolo è stata determinata anche dal trasferimento dei canoni demaniali alle regioni, in quanto non è stato indicato l'obbligo di reinvestire nella difesa del suolo quanto introitato come canoni. In primo luogo, è stata segnalata la necessità di applicare gli articoli 24 e 25 della legge n. 183 del 1989, laddove si stabilisce che ogni anno nella legge finanziaria sono previsti stanziamenti per l'attuazione dei piani. I rappresentanti dell'Agenzia interregionale per il fiume Po (AIPO) hanno, altresì, posto la questione della modifica dell'articolo 7, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 112 del 1998, nella parte in cui si dispone che le somme destinate alla gestione delle risorse del demanio idrico, invece di essere restituite alla regione, sono sottoposte a compensazione: si tratterebbe infatti di risorse stimate nell'ordine di 300 miliardi delle vecchie lire. L'AIPO, inoltre, ha posto un problema concernente l'interpretazione autentica dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 dicembre 2002, con il quale si dispone il trasferimento all'Agenzia delle somme già attribuite al Magistrato per il Po; attualmente in queste risorse non sono compresi i fondi perenti, che invece dovrebbero essere inclusi nelle somme da trasferire all'AIPO.
La Commissione ha, poi, approfondito la questione dell'assetto delle competenze in materia di programmazione delle opere idrauliche, con specifico riferimento all'arginatura e ai dragaggi dei fiumi. La questione è stata reputata di fondamentale importanza, in quanto i mancati interventi sistematici sul dragaggio dei fiumi e dei torrenti, specie «a monte» dei primi, sembrerebbero uno degli elementi che determinano la tracimazione ed esondazione delle acque. L'indagine ha consentito di evidenziare elementi di particolare interesse in questo ambito.
In primo luogo, sono state evidenziate le ragioni per le quali in Italia non vengono più realizzati in maniera sistematica i dragaggi. Si tratta di ragioni di tipo «amministrativo» e ragioni di tipo tecnico. Per quanto concerne il primo aspetto, anche in questo caso l'assetto delle competenze rappresenta un deterrente alla realizzazione dei dragaggi. Nell'audizione del Magistrato alle acque di Venezia è stata segnalata l'esistenza di conflitti di competenza dal punto vista urbanistico e paesaggistico, che bloccherebbero l'attività estrattiva, in quanto l'autorizzazione secondo i vincoli paesaggistici fungerebbe da limite rilevante se non da vero e proprio blocco per tale tipo di attività. Anche in questo caso, come già detto precedentemente, emerge la necessità che le autorità si coordino per dragare preventivamente i corsi d'acqua. A tale fine, si segnala che l'APAT è stata incaricata dal Ministero dell'Ambiente di presentare una proposta di normativa tecnica secondaria, in base all'articolo 35 della legge n. 152 del 1999, per fornire le linee guida a cui devono attenersi le regioni che hanno acquisito la competenza autorizzativa.
Il dragaggio sistematico può contribuire ad aumentare il livello di tutela dei corsi d'acqua e più in generale la sicurezza. Se si scaricano periodicamente grandi quantità di inerti nei corsi d'acqua il rischio è quello di un eccessivo innalzamento degli argini. Il dragaggio però non sempre è la soluzione ottimale. Dal punto di vista tecnico, è stato evidenziato che i dragaggi sono importanti, ma in certi casi possono essere pericolosi, in quanto realizzati in


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modo non corretto. Quando si effettuano escavazioni in alveo si determinano effetti difficilmente valutabili, in quanto tali interventi possono propagarsi in maniera difficilmente verificabile. Dall'indagine è quindi emerso che qualsiasi intervento di asportazione di materiale dagli alvei deve essere attentamente ponderato in relazione ad opportuni studi sul trasporto solido del fiume e deve essere regolato da piani capaci di tenere conto dell'ecologia, dell'idrologia e della geomorfologia fluviale. È importante effettuare interventi di asportazione di materiale sovralluvionato, ma occorre farlo in situazioni in cui il rischio è effettivamente comprovato.
C'è poi il problema delle asportazioni abusive di materiali e delle difficoltà di controllare tale fenomeno di illegalità diffusa, come dimostra il numero di inchieste in corso presso diverse procure. A questo proposito, l'APAT ha suggerito di svolgere una valutazione attenta degli oneri di concessione sui dragaggi, che potrebbe consentire un utile supporto ai fini dell'attività di prevenzione.
La questione della manutenzione dei corsi d'acqua è estremamente complessa e le diverse situazioni vanno ponderate e valutate caso per caso. Da un lato, è stato rilevato che la maggior parte dei piccoli comuni italiani ha «tombato» il fondovalle per ricavare spazi da adibire a parcheggi o ad altre strutture senza dragare il fondovalle stesso, il che può provocare danni a persone e cose. In questo caso, quindi, il dragaggio sarebbe fondamentale. Dall'altro, è stato evidenziato che in molti casi l'eccessiva asportazione di materiali ha contribuito a provocare fenomeni alluvionali. L'audizione dei rappresentanti delle regioni ha consentito di acquisire importanti elementi di conoscenza. In particolare, i rappresentanti della regione Piemonte hanno evidenziato che, a seguito dei fenomeni alluvionali occorsi in Piemonte nel 1994 e nel 2000, sono state individuate nel piano di assetto idrogeologico (PAI) le modalità con le quali identificare i siti per le casse di laminazione, con utili riflessi sull'asportazione regolamentata di materiali usati per la costruzione di importanti opere pubbliche (ad esempio, TAV). Da quanto detto sopra emerge che la manutenzione idraulica non può quindi basarsi solo sull'asportazione dei materiali. Tecnicamente un'altra modalità di mantenimento della libertà del corso d'acqua di divagare è anche quella della rilocalizzazione. Si sta, altresì, studiando la possibilità di realizzare opere di rinaturazione, cioè di prelievo degli inerti per consentire le divagazioni dei fiumi.
Un altro importante elemento emerso nel corso dell'indagine riguarda il riutilizzo del materiale inerte prelevato dagli alvei. A questo proposito, l'articolo 4, comma 10-bis del decreto-legge n. 576 del 1996 ha introdotto il concetto del recupero dei materiali litoidi trascinati dalle piene dei fiumi. Trattandosi di una normativa straordinaria di emergenza, occorrerebbe inserire questo concetto nella programmazione ordinaria con riferimento a quei tratti dei corsi d'acqua nei quali vi è accumulo di materiali, che possono consistere in ghiaia, sabbie e simili. I rappresentanti della regione Piemonte hanno rilevato che la disciplina contenuta nell'articolo 4, comma 10-bis del decreto-legge n. 576 del 1996 rappresenta una delle opportunità sulle quali impostare un piano di manutenzione. Il principio della compensazione dell'onere per la realizzazione di opere idrauliche lungo i corsi d'acqua con il valore del materiale estratto riutilizzabile potrebbe essere una modalità da approfondire. È stata, altresì, rilevata l'opportunità di rivedere il sistema delle tariffe relativamente ai valori dei materiali estraibili, al fine di rendere più appetibile il materiale che in alcune zone nessuno vuole portare via a causa dei bassi costi e dello scarso valore di riutilizzo del materiale medesimo. Il dragaggio dei torrenti, infatti, risulterebbe spesso scoraggiato anche dalla grossolanità e povertà di impiego del materiale da asportare. In tale contesto, l'ANCE ha ricordato che i materiali possono essere recuperati per la messa in sicurezza degli argini, degli alvei, di corsi d'acqua in genere, sia per essere riutilizzati in altri settori; tuttavia per tali finalità i materiali devono avere e conservare un


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valore economico. Per agevolare il riutilizzo di questo materiale sarebbe inoltre necessario garantire una normativa uniforme in tutto il territorio nazionale. Attualmente, infatti, esistono notevoli disparità tra una regione e l'altra. La regione Piemonte, ad esempio, considera questi materiali come materiali di tipo estrattivo, mentre la regione Veneto assoggetta il materiale da dragaggio alla normativa per i rifiuti, quindi al decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «decreto Ronchi»). C'è quindi il problema di considerare questi materiali in maniera unitaria, facendoli rientrare non solo nei lavori di manutenzione idraulica, ma anche come lavori che rientrano nel piano della attività estrattive, come già emerso nell'audizione dell'APAT. Il recupero dei materiali potrebbe avere effetti in termini di minore impatto ambientale visto che inibirebbe l'apertura di nuove cave, nonché un minore sfruttamento delle cave esistenti.
Da ultimo, è stata approfondita la questione del rilancio del Po alla quale è dedicato un intero paragrafo di questo documento. La valorizzazione del più grande fiume italiano, infatti, è questione che ha valenza nazionale. Qui è sufficiente ricordare che anche per il Po sono emersi taluni elementi precedentemente evidenziati. È stato segnalato, infatti, che l'Autorità di bacino del Po non adotta schemi programmatici per mancanza di finanziamenti specifici ad esso destinati. Anche nel caso del Po è stata segnalata l'importanza di realizzare i dragaggi, a patto che vengano valutati con estrema attenzione, stante l'approfondimento dell'alveo centrale di magra e il contestuale innalzamento dei terreni golenali. La fattibilità di questi prelievi dovrebbe comunque essere considerata proprio nella prospettiva di ricostituire la navigabilità del Po, come si dirà più estesamente nell'ultimo paragrafo. A tale proposito, sono state espresse talune perplessità dalle associazioni ambientaliste, che hanno raccomandato comunque di valutare la compatibilità della navigabilità commerciale del fiume con gli obiettivi di piano, enfatizzando piuttosto la preferenza per lo sviluppo del turismo fluviale. Riguardo al Po, un altro elemento di rilevante importanza emerso nel corso dell'indagine ha riguardato l'opportunità di considerare il Po come un'infrastruttura, applicando ad esso la disciplina recata dalla legge obiettivo e valutandola anche alla luce dell'apporto che la sua navigabilità potrebbe offrire al risparmio energetico in vista dell'attuazione del Protocollo di Kyoto.

4. I sopralluoghi effettuati.

Come ricordato in premessa, delegazioni della Commissione hanno effettuato due sopralluoghi presso corsi d'acqua di rilievo nazionale, che hanno rappresentato una importante occasione di analisi e di studio delle problematiche esistenti. In questo paragrafo, si intende pertanto fornire una breve sintesi delle missioni svolte, rinviando al paragrafo conclusivo l'elaborazione di specifiche proposte derivanti dalle questioni emerse nel corso delle missioni medesime.

4.1. Missione di studio presso i fiumi Garigliano e Volturno.

La missione di studio presso l'Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno ha evidenziato una situazione di particolare interesse, sia dal punto di vista della complessità dei problemi esistenti, sia da quello delle realtà organizzative.
Nel corso della missione, la delegazione della Commissione ha, in primo luogo, effettuato un incontro presso la sede della stessa Autorità di bacino, verificando l'impegnativo lavoro di programmazione, pianificazione e monitoraggio posto in essere da tale ente, il cui ambito d'azione interessa diverse regioni, per una superficie di circa 12.000 Kmq.
Successivamente, è stato realizzato un sopralluogo presso l'area del Basso Volturno (comune di Castel Volturno), interessata da fenomeni di rischio idraulico e degrado ambientale, con particolare riferimento alla difficile situazione urbanistica


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che caratterizza l'area stessa, nella quale, a ridosso della foce del fiume, si è creata nel corso degli anni un'espansione urbanistica che mette in condizioni di estremo rischio le popolazioni residenti. Nella stessa area, peraltro, è stata rilevata l'assoluta necessità di procedere alle indispensabili azioni di dragaggio nella zona costiera, ossia in quella terminale del fiume, laddove estesi banchi di sabbia impediscono il normale deflusso delle acque verso il mare. In questo caso, peraltro, si pongono anche problemi di copertura finanziaria dei relativi interventi.
La delegazione ha, poi, effettuato una visita al comprensorio Sannio Alifano, con l'obiettivo di affrontare le problematiche del trasferimento delle risorse idriche. In tale ambito, è stato realizzato un sopralluogo presso la «traversa» sul fiume Volturno che, attraverso una imponente opera di ingegneria idraulica gestita tramite il locale Consorzio di bonifica, consente - in particolare - di conferire alle zone interessate una consistente quantità di risorse idriche per uso irriguo.
La missione si è, infine, conclusa con la visita presso il comune di Cervinara, interessato da elevato rischio di carattere idrogeologico, a seguito degli eventi calamitosi verificatisi nel dicembre 1999. In tale occasione, la delegazione ha potuto registrare, in particolare, il forte interesse dell'amministrazione locale a riassumere le proprie competenze nel settore, anche attraverso l'interruzione del regime commissariale tuttora vigente, del quale si è rilevata con preoccupazione una certa inerzia dopo i primi interventi di emergenza.

4.2. Missione di studio presso il fiume Po.

La missione nel bacino del Po si è articolata in una serie di sopralluoghi e di incontri di approfondimento, nelle città di Milano, Casale Monferrato, Piacenza, Cremona e Parma. L'Autorità di bacino e l'Agenzia interregionale hanno organizzato e seguito le varie fasi della missione, nelle quali la delegazione della VIII Commissione ha potuto incontrare, non solo i rappresentanti politici delle regioni e delle amministrazioni locali, ma anche il personale tecnico direttamente coinvolto nelle opere idrauliche, nonché i rappresentanti delle popolazioni colpite dalle alluvioni del 1994 e del 2000.
Ai componenti della Commissione è stato - in primo luogo - illustrato il sistema idraulico di difesa della città di Milano che, unitamente al complesso di opere per la difesa della media e bassa pianura padana, rappresenta il principale obiettivo per la sicurezza dell'intero bacino del Po. Il completamento delle opere già avviate nell'area milanese, e in particolare la creazione di quattro nuove casse di espansione, richiede risorse finanziarie pari a 50/70 milioni di euro, per le quali non vi è - al momento - certezza di copertura, anche per l'insufficienza dei fondi ex legge n. 183, che dal 2003 registrano una netta diminuzione.
A Casale Monferrato sono stati esaminati sia gli interventi di monte e di valle per la difesa dei territori di una delle aree più critiche dell'intero bacino, sia i problemi connessi alla definizione - in sede di programmazione di bacino - di aree di laminazione, destinate ad essere invase dalle acque, e per i cui indennizzi occorrerà trovare forme giuridiche adeguate. Il bilancio degli interventi in questa area del Po è sembrato, comunque, positivo, in quanto ancora nel 2000 non c'era alcun progetto di messa in sicurezza, mentre oggi - oltre ai progetti - possono registrarsi numerosi interventi già realizzati, fra i quali il più impegnativo è stato l'allungamento del ponte di Casale Monferrato.
A Piacenza la delegazione parlamentare è stata messa al corrente di una iniziativa di cooperazione e raccordo interistituzionale realizzata di recente con la stipula (maggio 2005) del «Protocollo d'intesa per la tutela e la valorizzazione del territorio e la promozione della sicurezza della popolazione della valle del Po». Gli impegni sottoscritti dai rappresentanti delle 13 province limitrofe e dall'Autorità di bacino


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mirano ad un coordinamento di tutte le iniziative progettuali all'interno di un quadro programmatico unitario e quindi al superamento dell'attuale frammentazione di competenze. Le finalità del citato Protocollo, infatti, consistono nel costruire un governo unitario del bacino, mitigare il rischio di dissesto, valorizzare il territorio e le fasce fluviali, proteggere le acque e sostenere lo sviluppo locale. Per raggiungere tali obiettivi, le parti firmatarie si impegnano a porre in essere un programma comune di azioni, nel cui ambito rientrano - tra le altre - l'iniziativa di migliorare le condizioni di sicurezza del fiume e di incentivare le attività di manutenzione, nonché quella di contribuire alla promozione del turismo fluviale, favorendo anche la navigazione turistica.
A Cremona è stata effettuata una visita al porto fluviale, che rappresenta oggi lo snodo principale del sistema idroviario. Inoltre, nel corso di un incontro con i principali rappresentanti delle istituzioni locali, sono state approfondite varie problematiche tecniche relative al governo del bacino, fra cui quelle connesse all'estrazione di materiali litoidi. Infine, a Parma è stato effettuato un sopralluogo sul cantiere della cassa di espansione sul torrente Parma, la cui ultimazione rappresenterà la definitiva messa in sicurezza della città. La visita si è conclusa nella sede centrale dell'Autorità di bacino, storica sede del Magistrato, nei cui locali è oggi ospitata anche l'Agenzia interregionale per il fiume Po.

5. Conclusioni.

L'indagine conoscitiva ha permesso di evidenziare, attraverso le audizioni e i sopralluoghi effettuati, una serie di elementi di rilievo riguardo ai problemi che interessano la gestione amministrativa delle opere idrauliche e, più in generale, le politiche pubbliche per la difesa del suolo. Tali elementi, unitamente alle relative soluzioni ipotizzate, potrebbero peraltro essere tenuti in considerazione anche in sede di attuazione delle disposizioni di delega contenute nella legge n. 308 del 2004 (cosiddetta «delega ambientale»), recante un'ampia e dettagliata delega al Governo per il riordino della legislazione in materia ambientale, che prevede tra l'altro la possibilità di procedere ad una complessiva ed organica revisione del settore della difesa del suolo, del dissesto idrogeologico e della gestione della risorse idriche.
Di seguito si darà conto di alcune proposte di carattere generale formulate a seguito dei principali elementi emersi nel corso dell'indagine conoscitiva. Come anticipato in premessa, ampio spazio sarà dedicato alla questione del rilancio del Po sulla base delle informazioni acquisite.

5.1. Proposte di carattere generale.

Come diffusamente rilevato nel paragrafo 2, una prima proposta che emerge dall'indagine è il tempestivo recepimento della direttiva comunitaria 2000/60/CE. Tale direttiva, infatti, che riprende concetti già contenuti nella legislazione vigente, offrirebbe una serie di opportunità per il governo integrato delle acque. L'attuazione della normativa comunitaria nel nostro Paese sarebbe, altresì, l'occasione per un riordino dei numerosi interventi normativi che si sono succeduti nel corso del tempo e che hanno contribuito a rendere poco chiaro il quadro delle competenze. La normativa in questa materia potrebbe essere così raccolta in un corpus unitario. Sarebbe, altresì, un'occasione unica e irripetibile per una semplificazione e una razionalizzazione delle procedure per l'approvazione dei piani.
Il recepimento della direttiva dovrebbe privilegiare:
a) la definizione di un quadro pianificatorio integrato e coordinato;
b) il coinvolgimento nelle attività di pianificazione dei soggetti chiamati alla realizzazione e alla successiva gestione delle opere e degli interventi sul territorio;


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c) un monitoraggio efficace e sistematico delle attività di pianificazione.

La definizione di un quadro pianificatorio integrato e coordinato dovrebbe consentire di programmare in maniera unitaria le esigenze dei distretti idrografici, coinvolgendo tutti i soggetti che sono chiamati a realizzare e gestire le opere dopo la fase di pianificazione. In tal modo si risponderebbe adeguatamente alle esigenze di un maggiore coordinamento e di una concertazione tra i soggetti interessati.
È poi necessario monitorare in maniera sistematica le attività di pianificazione al fine di valutarne l'effettiva efficacia. La pianificazione integrata e coordinata e il costante monitoraggio dovrebbero riguardare, altresì, la gestione delle risorse finanziarie. Il monitoraggio degli stanziamenti è tanto più necessario se si pensa che attualmente non si dispone di informazioni sull'impiego dei finanziamenti per la riduzione del rischio idrogeologico. È auspicabile che maggiori risorse finanziarie vengano destinate alla pianificazione ordinaria degli interventi. Un paese come l'Italia, per sua natura, è soggetto periodicamente a emergenze, per cui non si può escludere che in futuro siano stanziate risorse ad hoc su interventi straordinari legati a determinate circostanze. È però necessario che maggiori investimenti siano destinati a interventi ordinari a fini di prevenzione.
Un punto fondamentale emerso dall'indagine è che la manutenzione dei corsi d'acqua deve giocare un ruolo importantissimo nella pianificazione ordinaria degli interventi. In tali interventi un ruolo primario dovrebbe essere svolto dai consorzi di bonifica. La manutenzione si traduce infatti in una maggiore tutela dei corsi d'acqua. In tale contesto, si dovrebbe rendere sistematica la possibilità di realizzare dragaggi dei torrenti e dei fiumi. Questa possibilità dovrebbe essere prevista nell'ambito di piani che tengano conto dell'ecologia, dell'idrografia e della geomorfologia fluviale. Come evidenziato nel corso dell'indagine, infatti, non sempre i dragaggi rappresentano una soluzione ideale. Ogni intervento deve essere pianificato tenendo conto delle esigenze del territorio e valutando in maniera accurata tutti fattori. Un'adeguata regolamentazione di tali interventi dovrebbe, altresì, limitare al minimo il rischio di escavazioni abusive. A tal fine, potrebbe risultare più efficace un'attività «a monte» sui torrenti, che non un indiscriminato dragaggio «a valle» dei grandi corsi d'acqua.
La pianificazione ordinaria di interventi di prelievo di materiale dagli alvei dovrebbe prevedere il riutilizzo del materiale medesimo. Anche in questo caso è necessaria un'adeguata regolamentazione per evitare l'asportazione di materiale non necessario, il che potrebbe provocare danni difficilmente verificabili. Il prelievo del materiale dagli alvei deve avvenire, infatti, senza sconvolgere l'equilibrio dei corsi d'acqua e in condizioni che assicurino la massima sicurezza. Si propone quindi di predisporre un piano delle attività estrattive nell'ambito del quale disciplinare le modalità per l'asportazione dei materiali. Al fine di assicurare il riutilizzo di materiali in modo uniforme sul territorio nazionale, è opportuno che a livello statale vengano dettata una disciplina apposita per evitare disparità di trattamento dei materiali tra le singole regioni.
In conclusione, si ritiene che l'attuazione della delega ambientale rappresenti un'occasione importante al fine di recepire in Italia la normativa comunitaria. Tale attuazione sarebbe in realtà il pretesto per un riordino dell'intera materia, un riassetto delle funzioni e delle attività, la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure. Quest'esigenza è improcrastinabile per garantire al territorio, in generale, condizioni maggiori di sicurezza in un momento in cui si acquista maggiore consapevolezza degli effetti provocati dai cambiamenti climatici e dai possibili rischi che ne possono derivare per il Paese. In una logica unitaria, infatti, la programmazione e la manutenzione delle opere idrauliche


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non possono essere disgiunte dalle future scelte in materia di politica ambientale.

5.2. Un progetto per il fiume italiano di dimensioni europee: il rilancio del Po.

Dall'indagine emerge in maniera evidente che, oltre ai problemi di natura generale, uno spazio a sé stante è occupato dal bacino del Po.
Il bacino imbrifero del fiume Po si estende per oltre 70.000 Kmq., con 95 affluenti in sinistra orografica e 46 affluenti in destra, ed interessa sei Regioni - Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto - e la Provincia autonoma di Trento. Esso rappresenta non solo il più grande bacino italiano, ma anche l'unico di rilievo europeo.
Una grande risorsa, quindi, ma anche una realtà nella quale i problemi ordinari di governo del bacino - bilancio idrico, assetto idrogeologico, tutela ambientale - si presentano in forma spesso aggravata o emergenziale, come drammaticamente testimoniato sia dalle ultime due grandi alluvioni del 1994 e del 2000, sia dalle sempre più frequenti crisi di siccità.
Anche sul piano delle competenze amministrative, il Po presenta caratteristiche uniche. Un importante punto di riferimento è costituito, ancora una volta, dal decreto legislativo n. 112 del 1998 che - con specifica norma recata dall'articolo 92, comma 1, lettera b) - ha disposto il riordino della struttura amministrativa unitaria cui tradizionalmente facevano capo le attività di governo del bacino fluviale: il Magistrato per il Po, organo decentrato del Ministero dei lavori pubblici, la cui istituzione aveva rappresentato la risposta legislativa alla grande alluvione del Polesine del 1951.
Il riordino operato in attuazione della cosiddetta «legge Bassanini» è stato poi confermato dall'articolo 55 del decreto legislativo n. 300 del 1999.
Tuttavia, è opportuno ricordare che la gestione unitaria e centralizzata del bacino ha tradizioni storiche ben più antiche rispetto allo stesso Magistrato. Infatti, ai sensi della legge istitutiva (legge n. 735 del 1956), il Magistrato per il Po, con sede in Parma, aveva, a sua volta, assunto tutti i compiti spettanti al «Circolo di ispezione per il Po», nonché quelli spettanti al Magistrato alle acque di Venezia e ai Provveditorati alle opere pubbliche aventi competenza nelle regioni lungo il corso del Po e dei suoi affluenti. Almeno fin dall'inizio del secolo, infatti, si era sentita l'esigenza di individuare una struttura unica cui affidare il coordinamento unitario dell'attività idraulica di tutto il complesso bacino del Po e nel 1924 era stato istituito il Circolo di Ispezione del Genio Civile per il Po.
Le competenze del Magistrato fino al 1998 hanno riguardato le opere idrauliche, le opere di bonifica e di sistemazione dei bacini montani, quelle relative alla navigazione interna in tutto il bacino imbrifero del Po, compreso il suo delta, nonché ogni altra opera che, comunque, potesse interessare il regime idraulico del Po, del suo delta e dei suoi affluenti. Esso svolgeva, inoltre, funzioni di studio e di predisposizione del piano generale per la sistemazione idraulica del Po, dirigeva il servizio di piena del Po e di tutti i corsi di acque che interessano il suo bacino imbrifero, promuoveva e coordinava l'attività di tutti gli organi dello Stato e di ogni altro ente pubblico nei settori suddetti.
Occorre infatti ricordare che, mentre l'istituzione del Magistrato risale alla legge del 1956, furono le successive leggi n. 240 del 1958 e n. 1484 del 1962, a trasformare il Magistrato da ufficio di coordinamento in organo di amministrazione attiva, con poteri in materia di programmazione, esecuzione e gestione delle opere di difesa dell'intero bacino.
Dal 1998 non è più un organo dell'amministrazione centrale a svolgere tali funzioni.
Il decreto legislativo n. 112 del 1998 ha disposto, infatti, il riordino del Magistrato per il Po, per armonizzare le relative competenze con quelle conferite alle Regioni per effetto del processo di decentramento


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amministrativo derivante dalla legge n. 59 del 1997 («legge Bassanini»), con l'obiettivo di ricomporre in capo alle Regioni tutte le competenze in materia di risorse idriche e di opere pubbliche, polizia idraulica, servizio di piena e pronto intervento. Tali funzioni erano state - fino ad allora - gestite, in gran parte dagli organi dall'amministrazione centrale (Magistrato per il Po, Ufficio speciale del genio civile per il Po, Provveditorati alle opere pubbliche), ma in parte anche dalle Regioni, a seguito delle successive leggi di decentramento amministrativo (decreto del Presidente della Repubblica n. 8 del 1972, decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977) e della approvazione della legge quadro sulla difesa del suolo nel 1989.
Dopo un breve periodo transitorio (disposto dal D.P.C.M. 14 dicembre 2000), al Magistrato per il Po è subentrata un'agenzia interregionale. L'articolo 4 dello stesso D.P.C.M. ha infatti individuato nelle Regioni del bacino del Po i soggetti competenti all'adozione di un accordo per la costituzione di un organismo interregionale deputato alla gestione del bacino idrografico. Con accordo stipulato nell'agosto 2001 da quattro delle sei regioni ricadenti nel bacino (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), è stata costituita l'AIPO (Agenzia interregionale per il fiume Po), che ha come referente il vertice politico delle regioni interessate, che è subentrata nelle funzioni del soppresso Magistrato.
La creazione di un ente strumentale di quattro differenti regioni rappresenta una situazione unica - sul piano amministrativo - nel quadro del processo di decentramento avviato dalle cosiddette «leggi Bassanini». Con tale soluzione si è cercato di conciliare le finalità «regionaliste» del decreto legislativo n. 112 del 1998 con il principio dell'unitarietà del bacino idrografico. È appena il caso di ricordare che tale principio aveva nel frattempo trovato piena attuazione normativa con la legge quadro sulla difesa del suolo del 1989, anticipatrice per molti aspetti della stessa «direttiva acque» europea, e con la conseguente istituzione dell'Autorità di bacino del fiume Po a cui la stessa legge ha attribuito importanti compiti di pianificazione.
L'indagine ha potuto accertare come la netta separazione fra pianificazione (su cui ha competenza l'Autorità di bacino), polizia idraulica e amministrazione attiva (su cui ha competenza l'Agenzia interregionale), non corrisponda sempre ad un efficiente impiego delle risorse - anche di alto livello tecnico - disponibili presso i due enti.
Inoltre, la complessità del quadro politico di riferimento penalizza ogni iniziativa che fuoriesca dall'ambito ristretto dell'ordinaria amministrazione e dalla mera gestione dell'esistente. L'attività pianificatoria dell'Autorità di bacino, che ha il suo principale riferimento istituzionale nel Governo centrale, per dotarsi di concretezza e respiro deve dialogare con le amministrazioni locali. Ma questo dialogo è esposto continuamente al rischio della frammentazione. In questo quadro va letta la promozione di iniziative interistituzionali che unifichino e rafforzino gli interlocutori politici. Fra queste, il recente Protocollo d'intesa per la tutela e la valorizzazione del territorio e la promozione della sicurezza delle popolazioni della valle del Po, sottoscritto nel maggio 2005 dall'Autorità di bacino e dai Presidenti delle tredici province rivierasche e illustrato alla delegazione parlamentare nel corso della missione.
Questo documento ha un valore che va anche al di là del suo contenuto, in quanto rappresenta un primo modello di cooperazione interistituzionale e di composizione di interessi frammentati verso finalità comuni. Esso è inoltre una prima dimostrazione che i problemi del Po non possono essere risolti senza una forte iniziativa politica. Su questo punto-chiave si ritornerà più avanti in questo documento.
L'Agenzia interregionale, a sua volta, ha referenti istituzionali oggettivamente più vicini al territorio, le Regioni, ma anche gravati da un complesso di competenze estremamente ampio, rispetto a cui il


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fiume Po con si suoi problemi non assume necessariamente quel carattere di priorità che emerge con evidenza solo durante le grandi calamità.
L'intero assetto amministrativo soffre poi di una carenza di risorse finanziarie che rischia di diventare cronica a seguito del definanziamento della legge n. 183 del 1989, mentre sono proprio le opere idrauliche di manutenzione ordinaria, cioè la base e il presupposto di ogni governo del bacino, a richiedere una certezza e regolarità di flussi finanziari.
Ciò non significa che la spesa pubblica destinata al Po sia esigua. L'anomalia consiste nella prevalenza degli interventi di protezione civile, apprestati in risposta a situazioni di emergenza. Questi interventi presentano un duplice problema: in primo luogo vanno comunque ricondotti ad una pianificazione e quindi ad un disegno razionale ed unitario di governo del bacino (basti pensare ai danni che possono essere prodotti da arginature e canalizzazioni operate a monte, quale risposta emergenziale a eventi alluvionali), dall'altro potrebbero essere drasticamente ridotti se le opere di manutenzione godessero di risorse certe e adeguate.
Oggi su un fabbisogno complessivo - su una proiezione ventennale - valutato in circa 13 miliardi di euro, ben 965 milioni sono richiesti dal solo completamento degli interventi di protezione civile già iniziati. Il legislatore nazionale sarà certamente chiamato ad intervenire, nel prossimo futuro, sul quadro istituzionale che si è sopra delineato e che si dimostra ancora carente e non pienamente assestato.
Il Po è un fiume vivo, che subisce - nel tempo - profondi cambiamenti. I fenomeni forse più significativi verificatisi negli ultimi cinquanta anni e tuttora in corso sono: la progressiva antropizzazione dei territori rivieraschi, il miglior controllo del fiume mediante l'innalzamento degli argini, l'abbassamento dell'alveo di magra con conseguente abbassamento delle falde. In molte aree si è passati da un sistema di arginatura aperto e frammentato, che un tempo - per le piene principali - consentiva l'allagamento di ampie aree (in particolare, aree di risaia nella pianura vercellese), ad un sistema chiuso, a difesa di insediamenti antropici.
Queste trasformazioni non sono tuttavia di segno univoco, semplificabili in un giudizio genericamente negativo. Una strategia più organica di interventi idraulici realizzata a seguito della istituzione del Magistrato è - ad esempio - all'origine del miglior controllo del fiume che caratterizza la situazione odierna. Ciò è visibile nel dato evidente che un'alluvione come quella del 2000, certamente più grave di quella del 1951 in termini di portate, ha prodotto danni ingenti ma molto minori. Gli effetti della piena del 1951 furono infatti più catastrofici con devastanti rotte nel corso inferiore del fiume, mentre i danni della alluvione del 2000 sono derivati prevalentemente da straripamenti a monte, lungo gli affluenti, piuttosto che da rotte a valle.
I problemi della sicurezza si presentano oggi in termini diversi da come si presentavano cinquanta anni fa. Sia sul piano delle tecniche impiegate che su quello della diffusa consapevolezza dei problemi di sicurezza idrogeologica, molti progressi possono essere registrati. Tuttavia rimangono ancora numerosi nodi da sciogliere. La risposta delle arginature, per quanto abbia finora svolto un ruolo importante, non può rappresentare l'unica soluzione, come la stessa alluvione del 2000 ha dimostrato. Ancor meno efficace, se non controproducente, sarebbe la risposta delle escavazioni indiscriminate in alveo, in quanto abbassare una sezione ristretta come l'alveo di magra non ha effetti decisivi sulla capacità dei momenti di piena.
Le soluzioni efficaci vanno piuttosto trovate in un complesso organico ma differenziato di interventi di sistemazione idraulica, che vanno dalla sistemazione dell'alveo con regolarizzazione delle curve e correzione di quelle a piccolo raggio che favoriscono l'erosione delle difese, alla regolazione delle sezioni dell'alveo (spesso caratterizzate da forme irregolari che prolungano il perimetro della sezione riducendo l'altezza utile e quindi diminuendo


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la portata teorica della sezione), alla creazione di aree di laminazione controllata, all' utilizzo delle golene come aree di prelievo di inerti con conseguente rivitalizzazione ai fini ambientali e miglioramento della superficie della sezione, alla realizzazione di casse di espansione per gli affluenti che non ne sono dotati.
Non sembrano, invece, realisticamente praticabili disegni onnicomprensivi basati su una impostazione unilaterale, quali quelli ispirati alla parola d'ordine della rinaturazione estrema o del ripristino generalizzato della pluricursalità (ossia di una strategia ambientale che prevede il libero corso del fiume anche in alvei che mutano nel tempo). È invece evidente che in alcuni specifici casi, e in particolare laddove ad essa sono assegnati obiettivi parziali (ripristino della capacità di laminazione, riduzione della velocità di corrivazione, recupero della capacità autodepurativa, salvaguardia di specie animali o vegetali) la rinaturazione può rappresentare - insieme ad altri - uno strumento di intervento efficace.
Ciò che è necessario, comunque, è che, come per tutti i bacini nazionali, i singoli interventi siano - sempre di più - collocati in uno «scenario idrogeologico e ambientale». E che questo scenario sappia considerare anche il più ampio contesto delle attività produttive che interagiscono con il governo generale del bacino idrografico.
Le attività estrattive, a loro volta, rappresentano una delle questioni di più immediata percezione sociale, per gli aspetti economici coinvolti e per gli impatti ambientali. Ma anche esse devono essere affrontate all'interno di una prospettiva più generale che misuri le compatibilità non solo in termini di equilibrio idrogeologico, ma anche sul metro di un disegno di lungo periodo.
Il fiume Po è stato esposto, in maniera crescente negli anni più recenti, a crisi di siccità. Nel luglio 2003 è stato raggiunto il record storico di magra, pari a -7,71 dallo zero idrometrico. Nel giugno del 2005, proprio durante la visita della delegazione parlamentare, si è quasi raggiunto di nuovo quel minimo storico e la minaccia di una nuova grave crisi è stata scongiurata solo grazie al sopraggiungere di due successive perturbazioni atmosferiche.
In questo quadro occorre considerare, in primo luogo, la problematica degli usi irrigui. Prima di tutto è necessario ricordare che tale problematica ha una dimensione generale e non limitata al fiume Po: basti pensare che in Europa meridionale, negli ultimi 20 anni la superficie complessiva delle terre irrigate è aumentata del 20%. In Italia circa la metà dei 47 chilometri cubi di acqua disponibile ogni anno finisce nei campi. Spesso i sistemi di irrigazione sono antiquati. In molte zone del Paese si utilizzano gli stessi canali da secoli, con sprechi notevoli dovuti a perdite. Si tratta di un settore in cui il legislatore dovrà certamente intervenire, in quanto il sistema irriguo nazionale - basato sui consorzi di bonifica - si è venuto definendo in un epoca in cui la risorsa idrica non aveva quel valore ambientale, economico e culturale che la nostra società oggi le riconosce.
Nella pianura padana, con le sue colture e i suoi allevamenti (5 milioni di suini e circa 4 milioni di bovini), la sua densità di popolazione (16 milioni di abitanti), i problemi del bilancio idrico possono facilmente assumere una criticità ancora sconosciuta.
Le risposte a questi problemi non posso che essere - ancora una volta - articolate. Tuttavia, un ruolo primario deve essere assicurato da una razionalizzazione degli usi irrigui.
L'utilizzo delle vie d'acqua per rispondere alla crescente domanda di trasporto, e in particolare di trasporto merci, vede il nostro Paese in una delle posizioni fra le più arretrate d'Europa. Lo squilibrio nella ripartizione modale del trasporto merci è il frutto di scelte storiche, che hanno considerato in maniera quasi esclusiva il trasporto su strada (con un'incidenza superiore all'80 per cento) e rappresenta un'anomalia, sempre più vistosa in termini sia economici che ambientali, rispetto a tutti gli altri paesi europei.


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In questo quadro il sistema idroviario padano-veneto, invece, già rappresenta una realtà competitiva per una serie di tipologie di merci, in particolare per i carichi eccezionali e per le merci pericolose. I porti di Cremona e Mantova sono riusciti a svilupparsi quali nodi logistici allineati ai migliori standard europei. I due grandi canali - l'idrovia Mantova-Mare e l'idrovia ferrarese - garantiscono la navigabilità fino al mare per tutto l'anno. L'idrovia Cremona-Milano, anche se per ora ferma al terminal di Pizzighettone, rappresenta un'importante via di penetrazione verso l'entroterra milanese.
Tuttavia il Po, come grande asse trasportistico, deve ancora essere pienamente valorizzato: il trasporto fluviale delle merci - in un'area sulla quale gravita il 60 per cento della movimentazione merci nazionale - può rappresentare una opportunità di grande rilievo per tutto il Paese. Occorre ricordare che il Po gode di condizioni particolarmente propizie alla navigazione. Presenta infatti rapporti favorevoli tra due fattori decisivi: valori molto contenuti della pendenza longitudinale e valori della portata di magra che rimangono ancora significativi, nonostante le imponenti derivazioni richieste dalle irrigazioni.
Non si devono, inoltre, trascurare le potenzialità del Po ai fini della navigazione turistica: i servizi finora offerti (piccoli attracchi turistici, crociere giornaliere, limitati servizi di crociera con pernottamento) rappresentano appena un primo stadio, embrionale, di sviluppo di un'attività intensa, che - attraverso la navigazione fluviale - sappia promuovere il turismo in aree di grande interesse e valore ambientale, storico e artistico.
Per cogliere queste opportunità occorre però inserire il sistema idroviario padano-veneto all'interno delle grandi linee di trasporto transeuropee. A tal proposito, si deve ricordare che il completamento e il potenziamento della rete idroviaria venivano già definiti, dalla legge n. 380 del 1990, quali intervento «di preminente interesse nazionale».
Oggi, nel nuovo quadro normativo creato dalla «legge obiettivo», e grazie alla consapevolezza crescente della vocazione logistica del nostro territorio, questo programma può essere ripreso e può ricevere l'impulso necessario - in primo luogo - a collegare la città di Milano al sistema idroviario.
Ma appare evidente che sullo sviluppo del Po come via di comunicazione, e sulla sua piena integrazione nel sistema dei corridoi plurimodali che sta prendendo forma nel nostro Paese, occorrerà una riflessione più generale, in vista di scelte coraggiose e di grande respiro.
Il nuovo quadro normativo europeo che si determinerà a seguito del recepimento della direttiva in tutti gli Stati membri è pertanto quello di un governo unitario di grandi aree idrografiche, favorendo in tal modo non solo la gestione delle emergenze o degli obiettivi ambientali, ma anche la programmazione di vere e proprie strategie, elaborate nella consapevolezza che la gestione delle acque è un fattore cruciale di qualunque pianificazione territoriale e produttiva.
Particolarmente significativo, a questo fine, l'articolo 5 della direttiva 2000/60/CE, ove si dispone che gli Stati membri effettuino, per ciascun distretto idrografico e secondo determinate specifiche tecniche (standardizzate dalla stessa direttiva), un'analisi delle caratteristiche del distretto, un esame dell'impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, e - soprattutto - un'analisi economica dell'utilizzo idrico. Il principio che sorregge tali disposizioni è quello che gli aspetti ambientali o di difesa del suolo devono essere considerati unitariamente e contestualmente agli aspetti economici.
Una programmazione del futuro del bacino del Po (o del futuro distretto che comprende in senso ampio l'area padana), condotta secondo questo approccio strategico e di lungo periodo, sembra essere esattamente ciò che ancora manca.
Intorno al Po e al suo futuro non si confrontano ancora organici progetti strategici, cioè disegni articolati e dotati di una loro coerenza interna e consapevoli di tutte le implicazioni che comportano


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determinate scelte di breve periodo. Ognuno dei soggetti in campo sembra giocare una propria partita, nella inconsapevolezza che, non solo una specifica autorizzazione all'estrazione di inerti, ma anche la rinaturazione di un'area, o il potenziamento di una determinata infrastruttura per il trasporto fluviale, o la progettazione di una specifica vasca di laminazione, o la canalizzazione di un tratto possono essere interventi dotati, ciascuno, di proprie valide motivazioni, ma del tutto incoerenti con ogni disegno unitario di lungo periodo.
Ormai, per fare sviluppare il bacino del Po in termini competitivi (non solo economicamente, ma anche ambientalmente), non bastano una serie di interventi «virtuosi», ma occorrerebbero invece interventi coerenti con un disegno complessivo. Se il Paese, attraverso le proprie istituzioni rappresentative, deciderà che il Po - fra venti o trenta anni - sarà totalmente o prevalentemente un grande parco naturale, allora sarà inutile disperdere risorse in iniziative incompatibili con questo genere di fiume, mentre tutti gli interventi dovranno convergere verso questo obiettivo, compresa la «de-antropizzazione» di molte aree lungo la sua riva e nell'ambito del suo bacino.
Se risulterà prevalente un diverso disegno, che veda il Po pienamente integrato in una grande arteria intermodale che attragga nell'area padana le grandi correnti di traffico Est-Ovest, con i necessari snodi sull'asse Nord-Sud, allora occorre studiare seriamente le implicazioni di questa scelta e dotare le istituzioni competenti e gli enti locali di adeguate risorse finalizzate a questo disegno.
Per queste ragioni, la Commissione non può che esprimere un orientamento nettamente favorevole al contenuto e allo spirito del Protocollo d'intesa sul Po sottoscritto dall'Autorità di bacino e dalle 13 province limitrofe, che costituisce un importante esempio di integrazione funzionale tra diversi poteri locali, indipendentemente dalla loro appartenenza a differenti maggioranze politiche. Si tratta di una sfida decisiva, che dovrà garantire l'effettivo coordinamento delle attività e la predisposizione di un efficace programma di azioni in favore del Po.
Gli organi di rappresentanza politica, a tutti i livelli, portatori della responsabilità delle grandi scelte strategiche di sviluppo, devono confrontarsi coraggiosamente con queste opzioni. Lo sviluppo del Po come grande arteria navigabile, inserita nel sistema dei corridoi intermodali, è un obiettivo che potrà nascere solo da una scelta trasparente in questo senso, rappresentata in modo chiaro all'opinione pubblica e sostenuta dal necessario consenso democratico. Ma è una scelta - occorre chiarirlo - che è incompatibile con altre «visioni» e con proposte di intervento ispirate a finalità opposte.
Tale passaggio appare ineludibile, in quanto il Po non solo è la più grande risorsa idrica italiana, origine prima di un patrimonio naturale, paesaggistico e storico fra i più ricchi d'Europa, ma è anche collocato geograficamente nell'area economicamente più dinamica del Paese, l'area che ospita l'agricoltura più moderna e produttiva, l'area su cui gravitano i principali distretti industriali e che è ormai attraversata da una sofisticata e fitta rete di servizi, mentre il suo stesso corso coincide con una delle grandi direttrici strategiche della logistica del continente europeo.
Sotto questo profilo, il quadro attuale non è soddisfacente, proprio per l'assenza di chiarezza sul futuro del Po. Le ingenti risorse pubbliche destinate al Po non corrispondono ad un grande progetto di sviluppo proiettato verso il futuro, ma solo al contenimento di danni futuri e alla riparazione di quelli causati da situazioni di emergenza. Si tratta di risorse ingenti ma che non possono essere definite «investimenti». È come se una grande ricchezza di opportunità venisse quotidianamente sprecata. Anzi, proprio questa ricchezza di opportunità è all'origine della produzione continua di istanze, rivendicazioni, «visioni», spesso alternative, ancor più spesso vaghe ed unilaterali, dal cui confronto deriva un'illusione di partecipazione e quasi sempre un effetto di reciproco annullamento.


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Al contrario, partecipazione autentica si ha solo laddove al momento in cui il territorio, in tutte le sue espressioni, si pronuncia, fa poi seguito un indirizzo e un disegno unitario che sappia valutare i numerosissimi elementi in gioco, operare delle scelte e vincolare ad esse l'azione coordinata di tutti i poteri pubblici a vario titolo competenti.
Questo compito, per gli interessi che coinvolge e per la forza che richiede, si colloca - ovviamente - ben al di là della capacità operativa e del ruolo istituzionale dei soggetti amministrativi cui è affidato il governo del fiume, Agenzia interregionale e Autorità di bacino.
Da quanto emerso nelle audizioni e nel corso della stessa missione della delegazione parlamentare è risultato - al contrario - che sono proprio l'Autorità di bacino e l'Agenzia interregionale a richiedere con maggiore forza ai massimi organi politici di fornire alla loro azione questa cornice strategica, senza la quale la loro stessa attività risulta priva di prospettiva e depotenziata.
È evidente che le sedi in cui un tale disegno di lungo periodo sul distretto del Po sarà elaborato non potranno escludere nessuna delle istituzioni rappresentative del territorio, ma è auspicabile che sia proprio il Parlamento il luogo in cui questa grande questione nazionale trovi una propria forma organica, moderna, adeguata al nuovo modello di sviluppo di cui il nostro Paese avverte con crescente chiarezza l'urgenza.