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Doc. XXIII n. 17


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Relazione territoriale sulla Campania

Premessa.

L'azione che, nel corso di questi anni, ha svolto la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, è stata improntata alle seguenti finalità: accertare, sì, la legittimità e la congruità rispetto ai fini dei comportamenti della pubblica amministrazione; individuare, sì, le connessioni con i circuiti criminali, anche di tipo mafioso; ma ciò allo scopo di proporre, per un verso, soluzioni legislative e amministrative necessarie per rendere più coordinato e incisivo l'intervento dei pubblici poteri, e, per altro, segnalare criticità ed eccellenze, ponendo in comunicazione competenze diverse e differenti prospettive.
In questa ottica, la Commissione ha ritenuto di dover procedere, in modo approfondito, ad una compiuta ricostruzione delle vicende che hanno segnato l'epoca del commissariamento in Campania, esaminando documenti, svolgendo sopralluoghi, ascoltando amministratori ed associazioni, acquisendo il prezioso contributo della magistratura inquirente e degli organi investigativi ed ispettivi; e ciò nella consapevolezza che il commissariamento, ormai avviatosi verso il compimento del dodicesimo anno di vita, ha condizionato pressoché ogni aspetto della politiche in materia ambientale, comprese le bonifiche, che hanno interessato il territorio campano e non solo (se si considerano i trasporti transregionali e transnazionali di rifiuti provenienti dalla Campania e la ricerca di siti extra regione per lo smaltimento dei materiali provenienti dalle attività di bonifica).
Ricostruire i fatti, dunque, come premessa indispensabile non solo e non tanto per comprendere perché dodici anni di gestione commissariale non hanno risolto l'emergenza rifiuti in Campania (tanto da indurre la Commissione Europea a procedere contro l'Italia per la gestione dei rifiuti di imballaggio nella Regione Campania, che non ha istituito sistemi di restituzione e raccolta di rifiuti in conformità alla direttiva comunitaria sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi), ma, soprattutto, per contribuire ad elaborare soluzioni per il futuro della tutela ambientale, in un territorio, come quello campano, tradizionalmente esposto al pesante condizionamento della criminalità organizzata.
È, perciò, apparso indispensabile, in tale prospettiva, estendere tale ricostruzione ai fenomeni di inquinamento criminale, riconducibile sia alla matrice camorristica che ad un'attività imprenditoriale deviata, nella prospettiva di fornire una descrizione della situazione, con riferimento soprattutto ai circuiti del malaffare, il più possibile aggiornata e completa, tale da far comprendere la necessità di fare i conti con tale quinta del paesaggio campano nel modulare opportunamente ogni strategia che miri al recupero, oltre che dell'ambiente naturale, del tessuto sociale e culturale.


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1. IL COMMISSARIAMENTO PER L'EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA: NATURA, GENESI E FASI.

Come questa Commissione ha avuto modo di approfondire nei documenti del 18 dicembre 2002 e del 18 dicembre 2003, l'istituto del Commissariamento in materia di rifiuti rappresenta un modello di intervento amministrativo straordinario, che pur non trovando una fonte normativa specifica, viene adottato in riferimento agli interventi urgenti in materia di protezione civile, ed è stato pienamente legittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 127 del 1995, che ha ritenuto la legge n. 225 del 1995, in materia di protezione civile, applicabile anche all'emergenza ambientale, in considerazione del fatto che l'articolo 2 indica, dopo le calamità naturali e le catastrofi, «altri eventi», che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
La delega di poteri straordinari ad un Commissario richiede non solo, come presupposto di fatto, il verificarsi di eventi straordinari per la loro natura e qualità, ma anche tre condizioni essenziali: 1) la delimitazione temporale della deroga al regime ordinario, 2) la specificità dei poteri conferiti al Commissario straordinario, 3) l'esistenza di un nesso di strumentalità tra la situazione di emergenza e le norme alle quali è consentito derogare, in virtù dei poteri straordinari conferiti al Commissario.
Nell'esaminare la giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia, sviluppatasi proprio in riferimento ad alcune controversie intentate da enti locali nei confronti del Commissario straordinario della Campania, appare evidente la considerazione di illegittimità di una delega di generale esercizio di funzioni amministrative relative alla gestione dei rifiuti, con conseguente illegittimità derivata degli atti emanati dal Commissario sulla base dei poteri ad esso attribuiti. Difatti, la giurisprudenza (Consiglio Stato, sez. V, n. 6809/02, depositata il 13 dicembre 2002) ha ritenuto incompatibile con il concetto di emergenza un intervento di durata pluriennale, in quanto lo stesso viene a tradursi in pratica come una «sovrapposizione di un sistema amministrativo e di gestione alternativo a quello ordinario», con l'ulteriore incertezza del termine finale del regime di emergenza, situazione non consentita dal nostro ordinamento.
Inoltre, appare chiaro che il conferimento dei poteri straordinari relativi alle funzioni amministrative della gestione dei rifiuti deve contenere l'indicazione delle norme in concreto derogabili all'interno della delega dei poteri conferita al Commissario straordinario, circostanza spesso non verificata in relazione alle gestioni straordinarie in corso ed in prossima scadenza. Del resto, i poteri d'ordinanza conferiti dal Governo al Commissario straordinario non devono essere indicati in maniera generica, in quanto non è consentito derogare alle «leggi fondamentali per la salvaguardia dell'autonomia regionale», senza prevedere la necessità di intese tra Commissario e Regione per la programmazione generale degli interventi.
In relazione alla storia dell'emergenza campana, la scelta del Governo è stata proprio quella di consentire ad un certo punto l'intervento diretto della Regione, attraverso l'individuazione del ruolo


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del Commissario straordinario in capo al Presidente della Giunta. Infatti, mentre con l'inizio dell'emergenza rifiuti, dichiarata con DPCM 11 febbraio 1994, il Governo aveva individuato nel prefetto l'organo di Governo in grado di sostituirsi a livello territoriale a tutte gli altri enti territoriali coinvolti a vario titolo e di gestire i poteri commissariali straordinari, successivamente, con OPCM del 18 marzo 1996, alla gestione commissariale del Prefetto, su sua stessa richiesta, era stata affiancata quella effettuata dal Presidente della Giunta regionale, con lo specifico compito di redazione del piano regionale e per gli interventi urgenti in tema di smaltimento dei rifiuti. Il regime emergenziale è stato ripetutamente prorogato, fino all'OPCM del 22 dicembre 2000, che ha individuato il termine conclusivo della gestione straordinaria nella «fine dello stato di emergenza», termine ulteriormente prorogato, fino al 31 maggio 2006, in virtù del decreto legge n. 245 del novembre del 2005.
Le fasi amministrative dell'emergenza, individuate a seconda dei Commissari straordinari nominati, sono quattro: la prima comprende il periodo marzo 1996-gennaio 1999, con il Presidente della Giunta regionale Rastrelli; la seconda comprende il periodo gennaio 1999-maggio 2000, con il Presidente della Giunta regionale Losco; la terza dal maggio 2000 al febbraio 2004 con il Presidente della Giunta regionale Bassolino; la quarta dal 27 febbraio 2004 a tutt'oggi, gestita dal Prefetto Catenacci, nominato commissario straordinario con OPCM su richiesta stessa del Presidente della Regione Bassolino.

2. DALL'EMERGENZA-DISCARICHE ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI: L'EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO E L'ESERCIZIO DEI POTERI COMMISSARIALI.

La prima ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che delegava il Prefetto di Napoli, in qualità di Commissario Straordinario, ad attivare gli interventi necessari a fronteggiare la situazione di emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani nella regione Campania, è datata, come si è detto, 11 febbraio 1994. In qualità di Commissario per l'emergenza e con i poteri che gli erano stati conferiti dalle prime ordinanze, il Prefetto di Napoli avviò verosimilmente l'unica operazione praticabile per affrontare la grave situazione: procedere, cioè, al conferimento dei rifiuti in discariche esclusivamente a titolarità e gestione pubblica, anche al fine di assicurare trasparenza in un settore ad alto rischio di infiltrazioni malavitose. Una attività questa che, oltre a garantire il superamento del grave momento iniziale di crisi, evitando pericolose conseguenze sul piano igienico-sanitario, doveva servire a ripristinare un sistema di smaltimento legale e, nel contempo, dare l'avvio ad una nuova stagione di gestione dei rifiuti, sulla base dei princìpi definiti dal quadro normativo in via di emanazione.
Proprio per dare impulso ad una «nuova politica dei rifiuti nella Regione Campania» fu emanata l'ordinanza del 18 marzo 1996 che attribuiva al Commissario delegato - Presidente della Regione Campania - un ruolo centrale per l'avvio di un programma per la


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realizzazione delle attività di gestione dei rifiuti, i cui punti qualificanti erano:
a) l'attivazione della raccolta differenziata;
b) l'adeguamento, ovvero la realizzazione, di impianti per la produzione di compost, per il trattamento dei rifiuti ingombranti, per la selezione e la preparazione delle frazioni nobili;
c) l'organizzazione di un adeguato sistema di trasporto dei rifiuti urbani realizzando, ove necessario, piazzole per lo stoccaggio;
d) la facoltà di stipulare, a seguito di procedure di gara comunitaria, contratti con operatori industriali per la realizzazione di impianti per la produzione e l'utilizzo del combustibile ricavato da rifiuti (CDR) e per l'affidamento in gestione del servizio dei rifiuti urbani residuanti dalla raccolta differenziata.

Se in una prima fase, dunque, l'obiettivo delle ordinanze di protezione civile, emanate a norma dell'articolo 5 comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, era rappresentato esclusivamente dal superamento dell'emergenza (anche di tipo criminale) attraverso la chiusura delle discariche abusive e la realizzazione di nuovi siti di smaltimento, le successive ordinanze dovevano servire ad avviare un vero e proprio programma di «gestione integrata dei rifiuti» in linea con i princìpi contenuti nel Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
L'attività posta in essere dal Presidente della Regione Campania, in virtù dell'ordinanza del 18 marzo 1996 portò, in tempi relativamente brevi, all'approvazione di una prima versione del «Piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti», che fu pubblicato definitivamente il 14 luglio 1997, anche a seguito di diverse rimodulazioni e aggiornamenti finalizzati a renderlo conforme ai principi contenuti nel decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
In particolare, la decisione relativa all'organizzazione impiantistica venne definitivamente assunta dal Commissario Presidente della Regione Campania Rastrelli, il quale, anche su sollecitazione del Ministero dell'Ambiente ed a seguito dell'O.P.C.M. n. 2560 del 2 maggio 1997, con l'ordinanza commissariale n. 27 del 9 giungo 1997, ridimensionò il numero dei termovalorizzatori previsti nel piano originario, da sette a due, e quello degli impianti di produzione di CDR da nove a sette.
L'ultima revisione del Piano regionale fu effettuata attraverso l'emanazione dell'ordinanza commissariale n. 319 del 30 settembre 2002, che disponeva, tra l'altro, l'approvazione del «Piano di ridefinizione gestionale del ciclo integrato dei rifiuti nella Regione Campania».
Le determinazioni assunte con tale piano riguardano sia la riorganizzazione delle competenze tra i vari enti territoriali coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti, sia la ridefinizione del fabbisogno impiantistico per il trasporto, il trattamento, il recupero.
Sotto il profilo organizzativo e gestionale, con tale ordinanza sono stati definiti ed istituiti gli enti di gestione e coordinamento degli Ambiti Territoriali Ottimali (già individuati con il Piano del 1997) e


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i soggetti di cooperazione tra comuni a cui affidare l'esercizio, in forma associata, delle funzioni amministrative in materia di rifiuti.
Nelle intenzioni del commissario straordinario, tale atto doveva «rappresentare un significativo passo verso il superamento dell'emergenza rifiuti, necessario a superare la frammentarietà che ha fin qui caratterizzato le varie attività di gestione dei rifiuti determinando negative economie di scala, confusione nelle competenze e grave scoordinamento tra le diverse fasi del ciclo integrato (...) indicando definitivamente i soggetti che, superati i poteri commissariali, dovranno garantire stabilità al sistema».
Con questi obiettivi, dunque, l'ordinanza in questione istituisce in ogni ATO o Sub ATO un Ente Provinciale d'Ambito per il ciclo integrato dei rifiuti e per il coordinamento e la gestione amministrativa delle attività d'ambito provinciale (EPAR) che, nel proprio territorio di competenza deve assumere i seguenti compiti:
funzioni amministrative riguardanti tutte le attività di trasporto, trattamento, recupero e smaltimento dei rifiuti a valle della raccolta;
titolarità della rete impiantistica legata al trasporto, trattamento, recupero e smaltimento dei rifiuti e cura della gestione amministrativa;
fornitura ai Comuni di servizi collaterali ed integrativi alle attività di raccolta che trovano maggiore economicità su scala d'Ambito;
determinazione ed applicazione della tariffa unitaria del ciclo integrato dei rifiuti, che ne garantisca le attività di cui al punto precedente e ne salvaguardi ed incentivi le attività di raccolta differenziata e recupero di materia;
coordinamento dei soggetti di cooperazione dei Comuni all'interno dell'ATO;
sebbene la strategia adottata con questa ordinanza abbia ottenuto un significativo riconoscimento da parte della Commissione Europea, sotto il profilo della riorganizzazione territoriale questa non fu mai attuata in virtù della richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 6809 del 2002; tale sentenza, infatti, annullava, con efficacia erga omnes, l'ordinanza del Ministro dell'Interno nella parte in cui aveva attribuito al Commissario straordinario, in via generale, «l'esercizio delle funzioni amministrative relative alla gestione dei rifiuti», così dando vita ad un sistema caratterizzato dall'attribuzione di competenze sempre più ampie al Commissario, nonché da una dotazione di mezzi e personale di tale consistenza da aver attuato una concreta estromissione dei comuni e delle comunità locali;
il Consiglio di Stato, ricalcando le decisioni assunte nel corso degli anni, non intervenne, invece, per quello che riguarda il profilo della riorganizzazione impiantistica.

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Alla fine di questo lungo percorso, dall'ordinanza n. 319, risulta la seguente situazione impiantistica:
isole ecologiche per la raccolta e lo stoccaggio di frazioni differenziate da realizzare su scala comunale e per piccoli ambiti sovracomunali;
aree di trasferenza per il trasbordo dei rifiuti residuali dai mezzi di raccolta ai mezzi di trasporto di grande portata; aree con carattere di sovracomunalità con base di riferimento massima di bacini fino a 500.000 abitanti;
impianti di compostaggio per il recupero della frazione organica riferiti a bacini con minimo di 40.000 abitanti e fino ad un massimo di 600.000 abitanti;
impianti di selezione e valorizzazione delle frazioni secche riciclabili per un bacino di utenza mediamente di 400.000 abitanti;
impianti di trattamento degli ingombranti per bacini di utenza variabili da 300.000 a 800.000 abitanti;
impianti di produzione di CDR, uno per provincia e tre per la provincia di Napoli per un totale di sette impianti, per il trattamento della frazione residua per la raccolta differenziata;
due impianti di termovalorizzazione su scala regionale per la trasformazione del CDR in energia elettrica.

Con tale ultima ordinanza, inoltre, furono indicate le priorità per l'attuazione di tale sistema; in particolare furono indicate quali «azioni prioritarie», quelle relative alle attività di produzione di CDR, trasferenza ed impianti di compostaggio.
Tali priorità, in assenza di un'efficace raccolta differenziata e a causa del grave ritardo nella realizzazione degli unici due impianti di termovalorizzazione previsti, hanno finito con il produrre il definitivo collasso del piano.
Ed invero, quello che nella prima fase dell'emergenza era stato definito «l'unico lavoro possibile» e cioè la razionalizzazione dello smaltimento in discarica attraverso il controllo di quelle esistenti e l'individuazione di siti per realizzarne delle nuove, non può dirsi, a dodici anni dall'avvio dell'esperienza commissariale, esaurito.
Il moltiplicarsi di ingenti quantità di rifiuti, infatti, confezionati in balle provenienti dagli impianti di produzione di CDR (sulle cui caratteristiche ci si soffermerà in seguito), hanno richiesto il reperimento di vastissime aree di territorio per poter essere temporaneamente stoccate, in attesa di essere smaltite.
Ciò ha imposto la temporanea riapertura di discariche pubbliche che erano state «definitivamente» chiuse e che presentavano gravi elementi di rischio sia per l'ambiente che per la salute dei cittadini di quel territorio.
Successivamente all'emanazione del Piano, in attuazione delle prescrizioni contenute anche nelle successive ordinanze, il Commissario


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delegato - Presidente della Regione Campania ha promosso numerose altre iniziative tra le quali appare opportuno ricordare:
a) la sottoscrizione, nel 1998, di una convenzione - con successivo atto aggiuntivo nel marzo 2001 - con l'Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale (ANPA, ora APAT) che prevede l'analisi di segnalazioni urgenti provenienti da vari Enti Territoriali e periodiche attività di monitoraggio di tali segnalazioni.
b) la sottoscrizione di una convenzione con la Regione Emilia Romagna, per effetto della quale quest'ultimo ente si è impegnato ad espletare attività di supporto tecnico, giuridico ed amministrativo in favore del Commissario delegato medesimo;
c) la stipula di una convenzione con il C.O.NA.I., in base alla quale il consorzio è obbligato a ritirare - in appositi centri di conferimento - non solo gli imballaggi primari secondari e terziari prodotti sul territorio regionale, ma anche le cosiddette «frazioni nobili» provenienti dalla raccolta differenziata (carta, plastica, alluminio, metalli e legno); in termini quantitativi, l'impegno del C.O.N.A.I. si traduce nella disponibilità a ritirare rifiuti fino al 35% in peso, rispetto al totale dei rifiuti urbani;
d) la stipula - ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 22 del 1997 - di un Accordo di Programma fra il Commissario delegato - presidente della regione Campania, il Ministro dell'Ambiente, il Ministro dell'Industria e la Confindustria-Federindustria Campana avente ad oggetto il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti industriali prodotti nella regione.

Altro aspetto che appare opportuno ricostruire è la vicenda relativa alla valutazione di impatto ambientale relativa alla localizzazione degli impianti, così come tracciata dall'andamento tutt'altro che lineare e congruente delle ordinanze ministeriali che hanno dettato disposizioni al riguardo.
Con l'ordinanza n. 2425 del 18 marzo 1996, veniva conferita al Commissario straordinario la facoltà di derogare ad una serie di norme, tra le quali quella relativa alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista all'articolo 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349.
Con l'ordinanza n. 2560, del 2 maggio 1997, al comma 5 dell'articolo 1, veniva poi previsto, per la «realizzazione degli impianti dedicati di combustione e recupero energetico», «(...) l'applicazione delle migliori tecnologie che assicurino le più elevate prestazioni energetiche ed il minore impatto sull'ambiente»; si subordinava, comunque, tale realizzazione «alla valutazione di impatto ambientale», condizione, tuttavia, che, in presenza del potere di deroga per ragioni di urgenza attribuito al Commissario, in virtù della precedente ordinanza n. 2425 del 1996, non abrogata, finiva con l'assumere scarso valore cogente.
Ed infatti, con l'ordinanza n. 2774, del 31 marzo 1998, veniva soppresso il comma 5, dell'articolo 1 della precedente ordinanza e sostituito con un comma che prevedeva, per la realizzazione degli impianti di utilizzazione del CDR, la sottoscrizione di un accordo di


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programma con le imprese vincitrici di gara; non si parlava più di valutazione di impatto ambientale ma, al comma 4 veniva prevista, per gli «impianti dedicati di utilizzazione del combustibile derivato dai rifiuti con recupero di energia», una «valutazione degli aspetti ambientali» che il Commissario Straordinario poteva eseguire avvalendosi della Commissione VIA del Ministero dell'Ambiente, la quale, entro 30 giorni dalla richiesta, formulava «parere costruttivo».
Con successiva ordinanza n. 2948 del 25 febbraio 1999, la «Valutazione degli aspetti ambientali» diventava «Valutazione della Compatibilità Ambientale» e veniva ascritta in capo al Ministro dell'Ambiente e non più al Commissario delegato; si statuiva, peraltro, che il Ministro poteva avvalersi sempre della Commissione VIA, che era chiamata ad esprimersi sempre entro trenta giorni dalla richiesta, con parere non più definito come «costruttivo». La verifica di tale compatibilità ambientale veniva fatta anche con la collaborazione dei Comuni interessati.
Con l'ordinanza n. 3011 del 21 ottobre 1999, l'articolo 3, comma 3, dell'ordinanza n. 2948 veniva modificato, mediante l'aggiunta di un comma che prevedeva che: «(...) in caso di valutazione negativa della compatibilità ambientale, il commissario delegato - presidente della regione Campania provvede alla rilocalizzazione, da sottoporsi a nuova valutazione della compatibilità ambientale».
Anche questa modifica, veniva a sua volta soppressa dalla successiva ordinanza n. 3032 del 21 dicembre 1999, la quale statuiva che: «Qualora la valutazione di compatibilità' ambientale sui progetti degli impianti di produzione del combustibile derivato dai rifiuti ovvero degli impianti dedicati di utilizzazione del combustibile derivato da rifiuti con recupero di energia indichi l'opportunità di valutare localizzazioni alternative, il commissario delegato - presidente della regione Campania definisce la proposta di rilocalizzazione, acquisisce dal Ministro dell'ambiente il parere di compatibilità ambientale, promuove la stipula degli accordi di programma e procede alla stipula del contratto con l'aggiudicatario della gara del servizio di smaltimento rifiuti. Tale rilocalizzazione non comporta oneri aggiuntivi per il commissario delegato - presidente della regione Campania».
Con le ultime due ordinanze, la n. 3369 del 13 agosto 2004 e la n. 3370 del 3 settembre 2004, si è tornato a parlare di «valutazione di impatto ambientale» per l'impianto di Acerra; tuttavia, il richiamo, nelle premesse, alle precedenti ordinanze, ripropone, nella sostanza, quella «valutazione di compatibilità ambientale», di cui già si detto, non meglio identificata da norme della legislazione statuale.
D'altronde che si tratti non di una vera e propria via, è stato confermato dallo stesso direttore generale della Direzione Salvaguardia Ambientale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, ingegner Bruno Agricola.
Quest'ultimo, nel corso dell'audizione dell'8 febbraio 2005, ha significativamente precisato: «in questo caso non stiamo facendo una classica valutazione di impatto ambientale. Stiamo intervenendo in un processo in cui vi è una necessità di carattere generale che ha portato ad alcune decisioni, che per noi sono un punto di partenza».

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È evidente il riferimento all'emergenza, quale necessità di carattere generale, ed alle decisioni, originariamente prese, di non procedere preventivamente con la classica valutazione di impatto ambientale e di localizzare i termovalorizzatori (1) ad Acerra e Santa Maria La Fossa.
Sicché, non poteva che trattarsi di qualcosa di diverso rispetto alla via e in qualche modo condizionata dalle vicende politico-amministrative pregresse.

(1) Si precisa che il termine termovalorizzatore usato nella presente relazione deve intendersi nel senso di inceneritore, secondo quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia.

La stessa questione della eventuale delocalizzazione degli impianti, come ribadito dal direttore Agricola con riferimento al termovalorizzatore di Acerra, esulava dai compiti consultivi di tale gruppo di lavoro, la cui funzione era quella di stabilire la compatibilità ambientale degli impianti anche indicando le più opportune prescrizioni.
Così il direttore Agricola ha sintetizzato modus procedendi e risultati dell'attività svolta.
«(...) è stato costituito un gruppo di lavoro che ha esaminato tutta la documentazione progettuale, ha fatto alcune analisi ambientali ed ha predisposto una relazione. Il gruppo di lavoro ha predisposto un rapporto che è stato esaminato dalla commissione VIA, che si è espressa il 27 gennaio con un parere all'unanimità, che ha trasmesso al ministro per il parere di competenza dello stesso che dovrà essere reso al commissario straordinario.
Il gruppo di lavoro è stato formato da esperti della commissione VIA (...). Ci siamo inoltre avvalsi di APAT ed ENEA, come era previsto dall'ordinanza, con una nutrita serie di esperti nei diversi settori.
(...) il gruppo di lavoro ha predisposto un rapporto finale, costituito da una relazione di sintesi, da una proposta di parere, da quattordici rapporti settoriali e da ventisette carte tematiche di analisi ambientale.
(...) Nel parere sono state esaminate le criticità ambientali del suolo, dell'ambiente idrico e dell'aria e sono state effettuate alcune valutazioni sia sull'impiantistica sia sulla componente ambientale. È stato quindi espresso un parere favorevole con prescrizioni sia sull'impianto, sia sulla gestione e sul controllo dello stesso, indicando poi una serie di prescrizioni che (...) devono necessariamente essere seguite per tenere conto che questo impianto si cala su una situazione ambientale abbastanza critica. Le prescrizioni indicate sono essenzialmente relative all'impianto per ridurre il livello di emissione, ossia di quello che esce. Vengono poi indicate alcune modifiche atte ad aumentare l'affidabilità dell'impianto per evitare condizioni incidentali o non previste e soprattutto quelle che consentano agli enti di controllare quello che succede nell'impianto, nonché una serie di azioni finalizzate al miglioramento complessivo della qualità dell'ambiente per aria, suoli ed ambiente idrico ed azioni per minimizzare gli impatti da rumori ed inquinamento elettromagnetico, anche se questi sono problemi del tutto irrilevanti. Vi sono, infine, alcune indicazioni sul funzionamento


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dell'osservatorio ambientale, che e` l'organismo che dovrebbe consentire il monitoraggio di quello che avviene in realtà e, quindi, di valutare eventuali discrepanze rispetto alle previsioni. In estrema sintesi, il punto centrale di partenza era avere un impianto che fosse più efficiente di quello inizialmente previsto. (...)»

2.1. L'impiantistica.

Il piano, rimodulato in virtù dell'ordinanza commissariale n. 319 del 2002, prevedeva, come si è visto, la realizzazione di sette impianti di CDR e di due termovalorizzatori.
La scelta di avviare la costruzione dei sette impianti di produzione di CDR, anche in assenza delle altre soluzioni impiantistiche che chiudessero il sistema impostato sul ciclo integrato di gestione dei rifiuti, è strettamente legata alla grave situazione di emergenza verificatasi in occasione della chiusura delle due più grandi discariche di rifiuti presenti nel territorio regionale.
L'esigenza di smaltire il più rapidamente possibile una notevole quantità di rifiuti, che giacevano nelle strade di quasi tutti i comuni della Regione, non ha consentito un pre-trattamento di tali rifiuti né, tantomeno, le attività di raccolta differenziata necessarie ad avviare la produzione di un «CDR di qualità».
Tale situazione, da tenere presente in un'analisi corretta di quanto accaduto, non può eliminare completamente una valutazione critica in ordine sia alle capacità gestionali delle imprese affidatarie, sia alle carenze del piano medesimo, tutto sbilanciato, anche nella tempistica di attuazione, a favore della realizzazione degli impianti di CDR, sì da determinare una condizione di impreparazione a fronteggiare un'evenienza pur ampiamente prevedibile.
Bisogna ricordare, infatti, che, proprio in previsione del prolungarsi dei tempi di realizzazione degli altri impianti necessari alla definizione del ciclo dei rifiuti (stazioni di trasferenza, termovalorizzatori, ecc.), nei capitolati d'appalto per la gestione degli impianti di produzione del CDR era prevista la valorizzazione del «prodotto» in impianti alternativi.
Orbene, nessuna impiantistica alternativa risulta tempestivamente avviata.
Sicché, si è assistito alla produzione di un quantitativo enorme di c.d. «eco-balle» stoccate, oltre che nelle 12 piattaforme esistenti, su porzioni sempre più vaste di territorio regionale; senza trascurare il fatto che, essendo stata accertata (dalle indagini condotte dalla magistratura al riguardo) la scarsissima qualità del CDR contenuto in queste «eco-balle», è in discussione il suo stesso utilizzo in impianti di termovalorizzazione.
A tale ultimo riguardo, appare opportuno svolgere alcune considerazioni sulle caratteristiche degli impianti e del CDR prodotto.
Gli impianti per la produzione del CDR nella regione Campania sono stati realizzati dalla FISIA Italimpianti S.p.A. (Tufino, Caivano, Giugliano - su progettazione del 1999) e successivamente dalla sua affidataria FIBE Campania S.p.A. (Santa Maria Capua Vetere, Casalduni,


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Pianodardine, Battipaglia - su progettazione degli anni 2000 e 2001) dopo l'approvazione dei progetti da parte del Commissariato di Governo.
Gli impianti consistono in sezioni di trattamento chimico e fisico: selezione, triturazione, separazione, stabilizzazione (tipo compostaggio).
Per quanto riguarda il funzionamento, va rilevato che:
in nessun impianto vengono recapitati frazioni provenienti dalla raccolta differenziata dei RSU; quindi tutti i rifiuti recapitati negli impianti sono costituiti unicamente da rifiuti urbani misti con modesta presenza di ingombranti;
gli impianti non presentano efficienza di trattamento tale da garantire separazioni merceologiche definite per i diversi prodotti previsti: CDR, FOS, materiale metallico, ecc..
per le frazioni CDR e FOS è stato evidenziato un generalizzato aumento quantitativo rispetto alle previsioni progettuali, con contemporanea riduzione di ferrosi e scarti; questo significa una minore separazione e conseguente diminuzione della qualità del combustibile e della FOS;
solo in alcuni impianti è effettuata la stabilizzazione aerobica della frazione umida separata;
pur essendo presenti i macchinari normalmente deputati alla raffinazione della FOS, tale attività non viene svolta ed in alcuni casi i locali ad essa riservata sono usati per scopi diversi o sono completamente vuoti;
rispetto ai rifiuti in ingresso non vi è diminuzione di peso, ciò significa che non si è realizzata alcuna perdita di materiale, che dovrebbe, viceversa, essere collegata prevalentemente alla fase di stabilizzazione aerobica della frazione organica umida;
questa maggiore resa apparente si può spiegare con la non corretta selezione delle frazioni e dal mancato compostaggio (stabilizzazione o raffinazione), che, se effettuato correttamente, ridurrebbe la quantità della FOS da smaltire;
il cosiddetto CDR è da definirsi semplicemente come rifiuto solido urbano tal quale;
per quanto riguarda la FOS, a causa delle carenze nel processo produttivo oltre che per le sue intrinseche caratteristiche, non può qualificarsi come tale;
negli impianti si attua, di fatto, più che una selezione una suddivisione dei rifiuti solidi urbani, che vengono mandati alla discarica con codici e descrizioni diverse;
in questi impianti non si ottiene alcun vantaggio né in termini di quantità né di qualità rispetto allo smaltimento dei RSU direttamente in discarica;

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i materiali prodotti negli impianti di fatto non presentano una specifica identità, ovvero non hanno caratteristiche tali da farli differenziare gli uni dagli altri.

In sintesi, gli impianti di trattamento non hanno prodotto i materiali per i quali erano stati autorizzati ed i materiali ottenuti, qualunque siano le loro caratteristiche, sono stati destinati a discarica anche se con denominazione differenti.
Tale insufficiente ed inefficace performance produttiva di tutti gli impianti campani è da ascriversi a diversi fattori:
inefficace differenziazione dei rifiuti (RSU) in entrata;
triturazione e selezione non efficaci nel ridurre la pezzatura alle dimensioni normate e nel separare sovvalli e sottovagli;
scelte gestionali opinabili (non utilizzo delle sezioni di stabilizzazione, miscelazione del CDR delle diverse linee produttive, ecc.);
impianti che lavorano con materiali, quantità ed a ritmi non previsti in progettazione, con conseguente frequente fermo impianti per manutenzione;
impianti bloccati dallo stoccaggio delle balle prodotte e non smaltite.

Orbene, il CDR ha importanza economica e quindi dignità legale in quanto legato alla valorizzazione ai fini energetici; è indispensabile, pertanto, nella sua produzione, attenersi ai limiti definiti nel decreto del Ministero dell'Ambiente 5 febbraio 1998, in relazione alle caratteristiche dell'impianto di termovalorizzazione a cui è destinato e della qualità degli effluenti del processo di incenerimento.
In altri e più chiari termini, il CDR è prodotto perché deve essere termovalorizzato; se non si riesce a termovalorizzare esso è un rifiuto, da cui non solo non si ricavano profitti (connessi alla vendita dell'energia prodotta), ma che richiede ulteriori risorse economiche per il suo definitivo smaltimento.

2.2. Il soggetto affidatario per la realizzazione dell'impiantistica; la procedura di scelta.

I bandi di gara, relativi all'affidamento della progettazione esecutiva, costruzione e gestione degli impianti di preparazione di combustibile derivato dai rifiuti e di due impianti dedicati di produzione di energia mediante termovalorizzazione di CDR, prevedevano il ricorso, a causa dello stato di emergenza dichiarato con DPCM del 23 novembre 1997, alla procedura ristretta di cui all'articolo 6 lett. B del decreto legislativo 157 del 17 marzo 1995.


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Tra i requisiti di prequalificazione, era statuito che i concorrenti si impegnassero, conformemente al Capitolato Speciale di Appalto e con mezzi finanziari propri, a:
«a) realizzare tre impianti produzione CDR e un impianto dedicato alla produzione di energia mediante termovalorizzazione cdr da porre in esercizio entro il 31 dicembre 2000 assicurando nelle more della messa in esercizio di detto impianto il recupero energetico del combustibile prodotto;
b) possedere e/o disporre immediatamente di sito per la realizzazione di impianto di termovalorizzazione;
c) stipulare Accordo di Programma con Commissario Delegato, Ministro Ambiente e Ministro Industria ex ordinanza n. 2774/98».

In ordine, poi, ai criteri di aggiudicazione, venivano indicato quello dell'«offerta economicamente più vantaggiosa, in base a:
tariffa smaltimento;
tempi realizzazione e messa in esercizio;
merito tecnico impresa;
valore tecnico opere».

Con ordinanza n. 16 del 22 aprile 1999 si disponeva l'aggiudicazione in via provvisoria dell'affidamento del Servizio Smaltimento Rifiuti per la Provincia di Napoli all'A.T.I. composta da: FISIA IMPIANTI S.p.A. (mandataria) - BABCOCK KOMMUNAL Gmbh (mandante) - DEUTSCHE BABCOCK ANLAGEN Gmbh (mandante) -EVO OBERHAUSEN AG (Mandante) - IMPREGILO S.p.A. (mandante), sulla base della graduatoria finale di merito redatta in data 23.12.1998 dalla Commissione giudicatrice.
Orbene, i punteggi riportati dalla predetta A.T.I. furono i seguenti:
merito tecnico impresa: 7,4 punti;
valore tecnico delle opere: 4,2 punti;
prezzo offerto: 83 lire per kg di rifiuto conferito all'impianto di produzione di Cdr;
tempi di realizzazione e messa in esercizio: 300 giorni;
per un punteggio complessivo, in virtù della formula che presiedeva all'aggiudicazione (in base alla quale peso preponderante era attribuito ai criteri del prezzo offerto e dei tempi di realizzazione), di punti 31,063.

È interessante notare che l'A.T.I. concorrente, formata da FOSTER WHEELER ITALIANA S.p.A., ENEL S.p.A., ELETTROAMBIENTE S.p.A., FOSTER WHEELER POWER SISTEM Inc., GESENU S.p.A., IMPRESA A. CECCHINI & C s.r.l., COGECO, pur riportando un punteggio pari a 8,6 per il merito tecnico dell'impresa e per il valore tecnico delle opere, totalizzava un punteggio complessivo pari


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a 17,200 punti, avendo offerto, quanto al prezzo, 110 lire per kg, e, in relazione ai tempi, un'ultimazione e messa in esercizio in 395 giorni.
In data 20 marzo 2000, con l'ordinanza n. 54, si disponeva l'aggiudicazione in via definitiva alla predetta A.T.I. con mandataria FISIA IMPIANTI (poi divenuta FIBE) dell'affidamento del servizio smaltimento dei rifiuti per la provincia di Napoli; successivamente analogo affidamento veniva disposto per l'intero territorio regionale.
È interessante notare come in tale ultima ordinanza si dava atto della nota del Ministro dell'Ambiente del 30.12.1999 Prot. N. 14598/VIA/A.O.13.U, acquisita al prot. N. 8311/CD del 31.12.1999, con la quale veniva trasmesso il parere finale di compatibilità ambientale del termovalorizzatore a servizio della provincia di Napoli; in tale parere era dato leggere che: «... sulla base delle informazioni disponibili non si sono rilevati significativi elementi di incompatibilità ambientale e territoriale connessi con la costruzione e realizzazione dell'impianto».
Stessi elementi di criticità possono essere individuati per quanto attiene alla gara esperita per l'affidamento della progettazione esecutiva, costruzione e gestione degli impianti previsti per le altre quattro provincie della Campania: Avellino, Benevento, Caserta e Salerno (Ord. Comm.le n. 17 del 22 aprile 1999). In ordine ai criteri di aggiudicazione seguiti per tale ultima gara, possono essere svolte le medesime considerazioni fatte per la procedura relativa alla Provincia di Napoli. Inoltre, relativamente all'individuazione dei siti ove avviare la costruzione degli impianti previsti per queste Provincie, è utile ricordare la vicenda che ha seguito la localizzazione dell'inceneritore di S. Maria La Fossa. In un primo tempo, l'impianto era previsto in località Battipaglia e, a tale scopo, il parere di compatibilità ambientale venne emesso relativamente a tale sito. Successivamente, a seguito di ricorso dell'Amministrazione locale, la scelta di localizzazione dell'impianto ricadde su S. Maria la Fossa senza, peraltro, che fosse prevista una nuova indagine di compatibilità ambientale relativa a tale territorio.
In definitiva, l'emergenza non solo aveva condotto ad attribuire un peso determinante, nell'aggiudicazione, ai tempi di realizzazione degli impianti, con sacrificio del valore tecnico-scientifico delle opere, tanto da dover richiedere successivamente importanti interventi di adeguamento; ma aveva anche fatto rinunciare alla più attenta e fondata valutazione di impatto ambientale a favore di una valutazione di mera compatibilità, il cui esito, riportato nella predetta ordinanza, alla luce di quanto accaduto in seguito e di quanto riferito a questa Commissione dal direttore Agricola (di cui sopra si è detto), finisce con l'assumere il tono di un adempimento solo formale di un'esigenza di accertamento che richiedeva, viceversa, ben altri tempi e più pregnanti verifiche, necessarie ed ineludibili. Tanto ineludibili da riproporsi in tutta la loro pienezza ed imprenscindibilità ancor oggi.
Riassumendo, i punti di criticità relativamente ai criteri di aggiudicazione possono essere individuati:
1. nella scarsa rilevanza attribuita alla valutazione in merito alla qualità tecnica dell'impiantistica proposta, in relazione alle tecnologie di realizzazione degli impianti di termovalorizzazione; conseguentemente,

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la gara consentiva l'aggiudicazione anche a soggetti che, pur avendo presentato un progetto di modesta qualità tecnica, avessero offerto un prezzo ed una tempistica competitive rispetto ad altri concorrenti;
2. nella determinazione di rimettere la scelta dei siti di realizzazione dell'impiantistica al soggetto aggiudicatario.

Quanto al primo punto, già si è visto come l'emergenza sia stata interpretata nel senso solo del «tentar di fare presto» e non, più ragionevolmente, del «fare presto e bene».
Quanto al secondo profilo, la remissione della scelta dei siti in capo all'impresa aggiudicataria appare quanto meno incongrua sotto il profilo astratto ed è risultata poi in concreto più che azzardata. Infatti, da un lato la localizzazione era lasciata del tutto libera senza alcun criterio guida che tenesse conto delle situazioni territoriali pregresse, in modo da evitare di far ricadere nuovi interventi impiantistici in aree geografiche oggetto in precedenza di altri interventi in materia di rifiuti (siti in relazione ai quali, prevedibilmente, poteva essere evidente una impraticabilità «sociale»).
D'altra parte, era facile immaginare che il sistema di libera scelta logistica avrebbe reso possibile situazioni speculative, che dovevano invece essere evitate non solo per una ragione di tipo economico-finanziario, ma anche perché avrebbero costituito la vera fragilità del sistema, rendendolo facile preda delle infiltrazioni della criminalità organizzata, capace in Campania di un controllo pressoché capillare del territorio.

2.3. Le vicende contrattuali.

Sulla base dell'ordinanza del Ministero dell'Interno n. 2774 del 31 marzo 1998, il Commissario straordinario avrebbe dovuto stipulare entro 120 giorni dalla data di pubblicazione dell'ordinanza, «a seguito di procedure di gara comunitarie», contratti di conferimento dei rifiuti solidi urbani, a valle della raccolta differenziata, con operatori industriali che si impegnassero - come sopra si è visto - a realizzare impianti per la produzione di combustibile derivato da rifiuti e ad utilizzare detto combustibile in impianti esistenti, nonché a realizzare impianti dedicati per la produzione di energia mediante CDR, che avrebbero dovuto essere posti in esercizio entro il 31 dicembre 2000, assicurando, comunque, nelle more il recupero energetico del combustibile prodotto.
La stipula dei contratti era stata subordinata alla sottoscrizione degli accordi di programma fra gli operatori industriali, il Commissario Presidente della regione, il Ministro dell'ambiente e quello dell'Industria. Il criterio per l'individuazione dei siti, da operarsi anche in variante al piano regionale per lo smaltimento rifiuti, avrebbe dovuto «assicurare la maggiore protezione ambientale e garantire la massima economicità di gestione».


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Per quanto concerne, in particolare, l'accordo di programma, la stipula dello stesso, era ancora confermato come condizione essenziale di efficacia del provvedimento di aggiudicazione definitiva all'associazione di imprese (che vedeva come mandataria FISIA IMPIANTI spa), in numerose ordinanze del Commissario straordinario ( la n. 54 del 20 marzo 2000 a firma Losco ed anche la n. 148 del 18 maggio 2000, a firma Bassolino, quest'ultima contenente anche l'approvazione dello schema contrattuale).
A seguito dell'ordinanza ministeriale n. 3060 del 2 giugno 2000, era risultato necessario apportare alcune modifiche allo schema, approvato con ordinanza commissariale n. 157 del 7 giugno 2000.
In tale ordinanza, in particolare, tra le altre modifiche relative allo schema di programma, si deve qui segnalare la «sparizione» dell'accordo di programma. Infatti, l'ordinanza del Ministro disciplinava proprio tale punto: eliminava dalle precedenti ordinanze ogni riferimento gli accordi di programma, ponendo in capo al Presidente della Regione la attivazione immediata degli impianti di produzione del CDR, motivata dalla annunciata prossima saturazione delle discariche gestite dal Prefetto di Napoli, attraverso i Consorzi di Bacino (ex legge regionale n. 10 del 1993).
Quanto alle ragioni dell'eliminazione dell'accordo di programma, la società aggiudicataria (nella persona dell'amministratore delegato, Armando Cattaneo), nel corso dell'audizione del 12 luglio 2002, ha avanzato l'ipotesi che si trattasse di ragioni «politiche» intercorse tra i soggetti pubblici interessati, «subite» dalla società come un ritardo. Lo stesso Commissario Bassolino, nella audizione del 12 luglio 2002 ha confermato che le ragioni del fallimento dell'accordo i programma furono l'opposizione dell'ENEL e la resistenza del Ministero dell'Industria, a seguito delle quali, aveva ritenuto opportuno richiedere al Governo di sbloccare la situazione di stallo tra aggiudicazione della gara e stipula del contratto.
Grazie all'intervento governativo, era stato possibile addivenire alla stipula immediata del contratto, eliminando la condizione dell'accordo di programma.
L'accordo di programma, invece, avrebbe consentito un'ulteriore negoziazione prima della stipula del contratto, indispensabile per superare la sostanziale genericità degli elementi fondamentali del piano di intervento posti a base della gara, ed in particolare dei profili relativi alla tempistica, al regime transitorio ed all'oggetto del contratto.
Ci si riferisce, in particolare, all'articolo 8 dello schema: fra gli obblighi dell'affidataria, infatti, si indicava la realizzazione di «un impianto dedicato alla produzione di energia mediante la termovalorizzazione del CDR entro ventiquattro mesi, decorrenti dalla data del verbale di consegna lavori»; peraltro, veniva prevista la possibilità di una serie di proroghe alla sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori del termovalorizzatore, nonché uno slittamento dell'inizio dei lavori connesso all'ottenimento da parte dell'ENEL dell'autorizzazione all'esecuzione dei lavori della linea di allacciamento dell'impianto alla rete nazionale, con previsione di inapplicabilità di penali qualora l'entrata in funzione fosse stata ritardata per tale motivo. I termini

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di completamento e messa in esercizio sarebbero stati, inoltre, «adeguatamente traslati», al fine di tenere conto non solo di eventi di forza maggiore, ma anche «delle eventuali variazioni alle opere apportate e/o richieste dal Commissario, secondo quanto previsto dall'articolo 17». Tale clausola introduceva una generale potestà di apportare o richiedere variazioni alle opere da eseguire, che non comportassero modifiche sostanziali ai progetti definitivi approvati.
Non solo.
Diveniva evidente la sostanziale vanificazione proprio di quel criterio - la tempistica di realizzazione degli impianti - che era stata decisiva ai fini dell'aggiudicazione.
Sull'intero iter procedurale della Gara, a partire dalla predisposizione dei bandi alla stipula dei contratti e alle successive modifiche apportate, sono ancora in corso indagine delle Procure per verificare se ci sono stati condizionamenti e/o possibili turbative per indirizzare l'aggiudicazione all'ATI che vedeva il gruppo Impregilo come capofila.

2.4. La tempistica relativa alla realizzazione degli impianti.

Deve essere osservato, preliminarmente, che, nel piano iniziale, non vi è stata un'adeguata e, soprattutto, realistica, valutazione della tempistica di realizzazione degli impianti, sia di quelli di produzione di combustibile derivato da rifiuti, che dei termovalorizzatori. In particolare la prospettiva della contemporaneità dell'apertura di cantieri di tali impianti con quelli destinati al recupero energetico è risultata fallace.
Le lungaggini legate alle procedure autorizzative dell'impianto di utilizzo del combustibile derivato dai rifiuti ha dilatato in modo determinante la fase di produzione dello stesso nelle more del suo utilizzo, rendendo indispensabili molte più aree di stoccaggio, anche per la necessità di prevedere una maggiore permanenza del CDR nelle aree stesse. Si è resa in tal modo evidente un'incongruenza contenuta nel contratto di appalto, ove risulta mancante un piano relativo alla localizzazione delle discariche di supporto e di stoccaggio del CDR prodotto.
Procedure e tempi previsti per la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione sono risultati - come si è detto - poco verosimili, se non addirittura velleitari. In particolare per quanto riguarda le procedure relative alla loro realizzazione: era stata, a tale riguardo, prevista una sfasatura di venti mesi, tra la messa in esercizio degli impianti di produzione di CDR e la messa in esercizio dei termovalorizzatori, e ciò in quanto mentre per realizzare un impianto di CDR poteva essere preventivato un tempo di 10/11 mesi, per il termovalorizzatore la costruzione non poteva impegnare meno di due anni. Difformemente da quanto poi verificatosi, l'avvio dei lavori per le due diverse tipologie di impianti avrebbe dovuto essere contestuale ed i procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni necessarie per la realizzazione di impianti di recupero energetico avrebbero dovuto


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essere in stato avanzato (autorizzazioni concesse invece solo in data 24 aprile 2004).
Il fatto, inoltre, che la scelta dei terreni fosse stata affidata alla società aggiudicataria ebbe a provocare una serie di ricorsi giurisdizionali in sede amministrativa da parte dei comuni ed altri enti locali, sui cui territori erano stati acquistati a tale scopo i terreni (sia il Comune di Acerra che la provincia di Caserta, in riferimento - quest'ultimo - al termovalorizzatore da edificare presso Santa Maria la Fossa), con ulteriore incidenza sulla tempistica generale degli obblighi di realizzazione degli impianti. Si deve anche ricordare le difficoltà di realizzazione sorte per le forti opposizioni locali, sostenute anche dalle amministrazioni comunali ed altre istituzioni, le cui preoccupazioni trovavano in parte fondamento nell'assenza - come si è già osservato - di una preventiva valutazione di impatto ambientale.
In previsione della sfasatura tra l'avvio degli impianti di produzione del CDR e quelli di termovalorizzazione, era stato stabilito in sede di gara che per lo stesso periodo esso potesse essere stoccato o posto in riserva per essere poi avviato a combustione una volta messi in esercizio gli impianti.
Ai sensi degli articoli 25 e 26 del contratto, ove necessario per le finalità sopraindicate, il Commissario avrebbe proceduto all'approvazione ed al rilascio dell'autorizzazione per le discariche di servizio, aree di stoccaggio o messa in riserva «successivamente alla presentazione dei progetti da parte dell'affidataria».
Invero in sede di gara non era stato definito, né era stato richiesto all'aggiudicataria, un piano dettagliato relativo alle aree di stoccaggio del CDR e delle discariche di supporto, né era stato regolamentato il possibile utilizzo della frazione organica stabilizzata, indicandone le caratteristiche tecnico-scientifiche. Inoltre, come detto, era venuto meno lo strumento dell'accordo di programma.
La situazione è sfociata nel 2001, in quella che è stata definita come «emergenza nell'emergenza», occasionata dalla saturazione dei volumi delle discariche, con i successivi provvedimenti di sequestro giudiziario delle discariche di Tufino (Na) e Montecorvino Pugliano (Sa), ma causata dalle carenze di previsione e di gestione fin qui illustrate. La chiusura delle discariche non ha fatto altro che «mettere in crisi la crisi», in quanto è avvenuta prima che il sistema impiantistico definitivo fosse avviato e senza che le discariche rimaste in funzione fossero in grado di assorbire i quantitativi ivi stornati perché destinati a discariche non più utilizzabili.
Tale situazione ha reso necessario il supporto del soggetto aggiudicatario da parte del Commissariato, per il reperimento di aree di stoccaggio e discariche di supporto, sia per le cosiddette ecoballe sia per lo smaltimento dei sovvalli e della frazione organica. Tale supporto ha avuto come conseguenza l'esborso di notevoli risorse finanziarie ad integrazione delle somme corrisposte da FISIA-Fibe ai soggetti richiesti per tali attività strumentali, esborsi necessari per coprire il costo reale dei servizi prestati e prodromici alla crisi di liquidità che avrebbe, di lì a poco, di fatto paralizzato la società affidataria.

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2.5. L'oggetto del contratto, con particolare riferimento alla qualità del CDR.

Il tema della qualità del CDR prodotto dagli impianti di produzione costituisce, come sopra già si è visto, un punto nodale nel sistema di smaltimento dei rifiuti, in quanto gli impianti sono per l'appunto finalizzati a separare la frazione organica da quella umida e, successivamente, a raffinare le due frazioni principali, così da trattenere nella frazione secca solo la parte combustibile, trasformando quella organica in «stabilizzata» in modo da renderla utilizzabile nelle attività di ripristino o ricomposizione ambientale.
È evidente che è proprio sulla qualità del CDR prodotto, che finisce per fare perno l'obbligo contrattuale previsto all'articolo 29 del contratto, laddove si stabilisce il criterio valutativo del soddisfacimento delle caratteristiche tecniche delle opere e degli impianti che il soggetto affidatario avrebbe dovuto realizzare, ossia «in modo tale da assicurare, come definito dal comma 5 dell'articolo 1 dell'ordinanza n. 2774 del 1998, la maggiore protezione ambientale e garantire la massima economicità di gestione».
Benché nel corso delle audizioni svolte da questa Commissione nella missione in Campania il 12 luglio 2002 fosse stato affermato da uno dei subcommissari che i rilievi effettuati dalla ASL, dall'Arpa e dall'aggiudicataria, conducevano ad una valutazione di conformità del CDR nei limiti della normativa, con un'ordinanza commissariale (la n. 391 del 3 dicembre 2002), il Commissariato si è occupato espressamente della qualità del CDR. In particolare, è lo stesso Commissariato a prendere atto, oltre al fatto che l'emergenza causata dalle esigenze di smaltimento dei rifiuti aveva reso impossibile l'effettuazione dei necessari interventi di manutenzione straordinaria degli impianti per la produzione del CDR, del fatto altresì che dalle analisi effettuate dalla società aggiudicataria emergeva la circostanza che occasionalmente l'umidità del CDR ottenuto, «misurata nella stessa giornata di produzione, risulta superiore al 25%», circostanza ritenuta tuttavia ininfluente ai fini della minore qualità del CDR, i cui valori medi dei parametri risulterebbero compresi nei limiti di cui al DM 5 febbraio 1998. Peraltro da tali presupposti, il provvedimento commissariale faceva scaturire la necessità di definire, con un'apposita tabella, le caratteristiche chimico fisiche del CDR prodotto negli impianti realizzati od in corso di realizzazione in Campania, ad integrazione del provvedimento autorizzatorio allo stoccaggio dello stesso od alla sua utilizzazione.
È tuttavia utile ricordare che l'ordinanza n. 391 del 3 dicembre 2002 aveva comunque una validità temporale fissata sino al 31 dicembre 2003 (vedi audizione del 24 febbraio 2006 del P.M. Giuseppe Noviello. Con essa veniva dato un anno di tempo per effettuare le manutenzioni straordinarie, anche tenuto conto che FIBE avrebbe smaltito per il 2003 negli altri impianti CDR della regione, i rifiuti della provincia di Salerno, in quanto l'impianto di Battipaglia (come si evince a pag. 4 dell'ordinanza 391/2002) aveva subito ritardi per problemi di localizzazione. Si provocava, così, un ulteriore sovraccarico degli impianti stessi. Pertanto, lasciando inalterati tutti gli altri


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parametri del decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 si tollerava con una serie di cautele indicate nel dispositivo dell'Ordinanza, che per il 2003 solo i parametri umidità e potere calorifero fossero leggermente diversi dal decreto ministeriale del 5 febbraio 1998.
Nella fase dell'emergenza nell'emergenza le indagini giudiziarie si sono occupate più volte della qualità del CDR, ammassato nei siti di stoccaggio ed anche nei sette impianti per la produzione di CDR, siti che sono stati sottoposti a sequestro preventivo con provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli del 12 maggio 2004, più volte restituiti, affinché la società si adeguasse alle prescrizioni di legge e del contratto, e più volte nuovamente sequestrati per inadempienza alle prescrizioni imposte.
A seguito di quanto emerso dalle audizioni dei pubblici ministeri della Procura presso il Tribunale di Napoli, e visto l'esito degli accertamenti svolti dall'organo tecnico scientifico incaricato dal Commissariato di governo di verificare l'esatto adempimento del contratto, questa Commissione ha raggiunto la comune valutazione - già sopra illustrata - che il CDR prodotto non risponde ai requisiti richiesti: tra le molte «anomalie», nelle ecoballe sono state rinvenute percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oltre che ad oggetti interi (ad esempio, una ruota completa di cerchione e pneumatico), fatto questo che acclara l'omissione della fase della lavorazione; inoltre la frazione umida ha presentato valori superiori ai limiti previsti nella tabella.
Anche il sovvallo e la FOS sono risultati irregolari, ad ulteriore conferma che la gestione del ciclo integrato non è riuscita a rispettare il contratto sin dal momento del conferimento del rifiuto da parte dei Comuni. Situazione che non può certo essere spiegata unicamente in riferimento all'emergenza nell'emergenza (connessa ai sequestri delle discariche soprarichiamati) o come risultato di una cattiva metodologia di raccolta differenziata, ma che finisce per apparire vulnus strutturale del progetto, sia in relazione all' adeguatezza tecnica degli impianti, che avuto riguardo al know how di settore che si sarebbe dovuto richiedere e pretendere dalla società affidataria.

2.6. La crisi del sistema e l'intervento degli istituti di credito.

L'emergenza dell'emergenza oltre a mettere in crisi la crisi, poneva, come si è detto, le premesse di una asfissia finanziaria della società affidataria. In tale contesto, la Fibe prospettava al Commissario straordinario, con nota del 20 giugno 2003, la necessità di portare avanti il project financing assecondando alcune richieste delle banche finanziatrici. Veniva pertanto stipulato in data 24 giugno un accordo tra affidante ed affidataria, recepito nel suo contenuto con ordinanza commissariale n.209 del 18 luglio 2003. Nel verbale di accordo veniva indicata la cifra di euro 109.709.912,23 quale ammontare delle riserve azionate dal dicembre del 2002 cui FIBE rinunciava; tale rinuncia, tuttavia, non veniva comunicata, inizialmente, dalla stessa FIBE agli istituti di credito; solo successivamente, veniva trasmesso da FIBE alle banche un addendum nel quale si menzionava la somma di euro 19.709.912,23 (come riferito in sede di


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audizione da Stefano Cassella, della West LB S.p.A.). Nell'accordo la Fibe rinunciava ad alcune riserve azionate dal dicembre 2002, di poco superiori a 19 milioni e 700 mila euro, in cambio dell'accettazione di alcune modifiche contrattuali.
Le modifiche contrattuali riguardavano gli articoli 9 (Penalità), 10 (Sospensioni e proroghe) e 19 (Risoluzione del contratto). Innanzitutto si prevedeva che in caso di risoluzione del contratto il credito riconosciuto all'Affidataria (rimborso delle opere realizzate e i crediti pecuniari comunque riconosciuti in virtù del contratto stesso) sarebbe stato ceduto agli Istituti finanziatori. Per quello che concerneva l'evento di forza maggiore, il nuovo accordo sanciva che qualora lo stesso si fosse protratto per un periodo superiore a 12 mesi, l'affidataria aveva facoltà di recesso, con diritto all'indennizzo previsto dall'articolo 19 punti a) e b) del contratto, credito anch'esso cedibile agli istituti finanziatori.
Inoltre, nel caso di inadempimento dell'affidataria, veniva espressamente previsto un obbligo per l'Affidante, ossia per il Commissario, di informativa degli Istituti bancari finanziatori, ai quali andavano comunicate «le cause di risoluzione del contratto, con invito a rimuovere le inadempienze riscontrate». Da parte loro, gli Istituti finanziatori, «anche in via autonoma», potevano notificare all'affidante entro sessanta giorni l'intenzione di curare direttamente l'eliminazione delle inadempienze; si prevedeva, inoltre, che, per rendere concretamente esercitatile tale facoltà degli Istituti, la risoluzione sarebbe avvenuta nel termine di sessanta giorni dalla citata informativa di inadempimento.
Quest'ultima clausola è stata oggetto di particolare approfondimento da parte della Commissione nel corso delle audizioni del 9 marzo 2005, nel corso delle quali, da un lato, è stata confermata la conoscenza da parte della banca italiana finanziatrice della facoltà di c.d. subentro, dall'altro, è stata invece negata la conoscenza della rinunzia delle riserve avanzate dalla Fibe per un considerevole importo. Tale elemento, unitamente alla presa d'atto che la società era esposta per circa 170 milioni di euro, costituiva un punto di criticità della situazione finanziaria dell'operazione, con riflessi sulla stessa Impregilo, a sua volta alle prese con una serie di scadenze fondamentali per il suo futuro e sottoposta ad indagini, da parte della Procura della Repubblica di Monza, in relazioni ad alcune operazioni societarie.
Sempre, in sede di audizione, il responsabile di settore della Banca che ebbe a concedere a Fibe il project financing - unitamente ad altro istituto di credito tedesco - affermavano che tali modifiche contrattuali erano necessarie per rendere superabili eventuali problematiche di inadempimento dovuto a forza maggiore, in modo da rendere «bancabile» l'operazione, incidendo sui profili di rischio. Peraltro i profili vantaggiosi e positivi, dal punto di vista dei finanziatori, dell'iniziativa di finanziamento del progetto del sistema integrato del ciclo dei rifiuti proposto dalla Fibe in Campania erano stati riposti - a quanto emerso - nella produzione del CDR, con i connessi benefici del CIP6: «bruciare energia e venderla era parte

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fondamentale del business di Fibe» e per le banche «rappresentava il 60 per cento dei ricavi del progetto».
Molteplici sono risultati, ad avviso della Commissione, i profili di dubbia redditività dell'operazione.
Non si comprendono del tutto, in primo luogo, i criteri di valutazione del rischio messi in campo. Non è chiaro come gli istituti bancari possano aver pensato, nel momento in cui fornivano i finanziamenti, di essere in condizioni di «normalità», come espressamente affermato, posto che l'emergenza campana era pluriennale e nota a tutti; considerato, peraltro, che vi era piena consapevolezza del fatto che tale sistema, come proposto da Fibe, era «certamente pionieristico», «il primo in Italia di queste dimensioni».
Comunque gli Istituti bancari, ricevuta l'informativa dell'inadempimento di Fibe dal Commissario Catenacci, non hanno esercitato la facoltà di sostituirsi a Fibe, ma hanno in pratica finito per divenire gli interlocutori del Commissariato in riferimento alle successive scelte che il Commissario ha poi dovuto assumere e che hanno trovato «formale soluzione» nel decreto legge di recente approvazione, sul quale si dirà in seguito, con il quale si sancisce la «risoluzione ex lege» del contratto tra Commissariamento straordinario e Fibe.

3. L'UTILIZZAZIONE DELLE RISORSE DA PARTE DEL COMMISSARIATO.

È stata necessaria una lunga ispezione dell'Ispettorato Generale di Finanza (a cura dell'ispettore Natale Monsurrò, più volte audito da questa Commissione), incaricato dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri (dal 25 maggio 2004 al 4 marzo 2005) per ricostruire il bilancio della struttura, almeno fino al 12 marzo 2004, fino, cioè, alla nomina dell'ex prefetto Catenacci.
Ciò in quanto le spese della struttura commissariale non sono state iscritte in un vero e proprio bilancio, essendo stata adottata una contabilità «semplificata».
Non essendo stato approntato un bilancio di competenza, sono stati assunti impegni di spesa senza il presupposto dell'esistenza di fondi di copertura.
Per la liquidità della cassa, in caso di in capienza, si è attinto sia a fondi dell'ente regionale, sia a fondi destinati al Commissariato per le acque e le bonifiche (dal 1997 ad oggi sempre affidato al Presidente della Regione), sia ai fondi POR (erogati dalla Comunità Europea).
L'andamento della spesa, nella stessa relazione presentata dal Commissariato all'atto del subentro del prefetto Catenacci, con OPCM 3343 del 12 marzo 2004, è stato così ricostruito:
IMPORTO COMPLESSIVO IMPEGNATO: euro 897.012.010,44;
IMPORTO PAGATO: euro 617.974.706,99;
IMPORTO DA PAGARE: euro 279.037.303,15.

Rispetto all'intero ammontare delle somme pagate, va rilevato che:
dalle Ordinanze Ministeriali sono stati trasferiti importi per complessivi euro 328.578.946,15;


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i restanti euro 289.395.760,84, sono stati prelevati da:
risorse destinate ad acque e bonifiche: - 182.361.780,18;
risorse trasferite dalla Regione Campania: - 50.015.852,16;
risorse dei fondi comunitari POR: - 25.407.738,44.

«Considerato che - come si legge nella citata relazione del Commissariato al 12 marzo 2004 - le risorse utilizzate come forma di cassa, relative ai settori acque e bonifiche si riferiscono a somme necessarie a dare seguito ad importanti azioni sviluppate nei rispettivi settori che oggi si rendono inevitabili e che le somme non previste dalle OO.MM. provenienti dalla Regione Campania non possono che essere intese come anticipazioni per fronteggiare una particolare e straordinaria condizione di emergenza, ma devono trovare necessariamente una forma di recupero contabile, si rende fondamentale ribadire che le attività resesi necessarie per fronteggiare (...) l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti hanno determinato impegni economici che portano a dover individuare ulteriori risorse economiche pari alla somma complessiva di euro 558.377.690,39, a seguito delle insufficienti risorse assegnate e relative agli interventi nel settore».

Il debito complessivo gravante sulla struttura commissariale è da ritenersi, pertanto, formato dalle spese ancora da pagare e dalle voci del bilancio regionale da ripianare.
A queste voci, vanno aggiunte le spese per i lavoratori socialmente utili assunti dal Commissariato per la (sostanzialmente inesistente) raccolta differenziata con rapporto di lavoro, dapprima a tempo determinato, poi trasformato, nel 2001, in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per un ammontare annuo di 55 milioni di euro.
A fronte di tale indebitamento, va rilevato che nessuna iniziativa è stata avviata per recuperare, sia pure in parte, i crediti vantati dal Commissariato nei confronti di soggetti sia pubblici che privati.
Le prime azioni in tal senso sono state avviate solo dal Commissario Catenacci.
Dalla relazione della struttura commissariale al 12.3.2004, è possibile, inoltre, ricostruire le singole voci in cui si è articolata la spesa.
Ed in particolare:
spese Generali: euro 24.502.278;
progetti specifici e interventi generali 19,6 M euro;
progetti/consulenze/convenzioni/commissioni di gara/commissioni di collaudo/eccetera 8,8 M euro;
sostegno raccolta rifiuti Comuni: euro 6.429.748;
attività riconducibili al sostegno alla raccolta differenziata: euro 160.448.386;
lavoratori socialmente utili: euro 144.284.365;
attività riconducibili all'avvio degli impianti definitivi: euro 90.307.434;
attività riconducibili alle emergenze 2001 e 2003: euro 163.652.426;


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Composizione Spesa

Il raffronto fra importi di spesa impegnati ed importi di spesa pagati mostra un rapporto che va dal 10% circa relativo alla voce «attività riconducibili alla emergenza del 2003» (importo impegnato: euro 60.625.646,47; importo pagato: euro 6.896.833,24) al 100% circa relativo alla voce «progetti universitari e convenzioni» (importo impegnato: 8.970.715,90; importo pagato: 8.789.144,70).

Gli importi destinati alla cosiddetta emergenza nell'emergenza (che hanno imposto anticipazioni a carico del bilancio regionale) nella relazione delle attività svolte al 12.3.2004, sono i seguenti:
attività riconducibili all'emergenza 2001: euro 156.755.593,23;
attività riconducibili all'emergenza 2003: euro 6.896.833,24;
per un totale di euro 163.652.426,47.


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È interessante osservare, quanto alla congruità e ragionevolezza dell'impiego delle risorse, il rapporto fra quanto effettivamente speso per l'emergenza nell'emergenza e l'intero ammontare dei fondi provenienti dalla Regione, dal bilancio destinato alle bonifiche e dai fondi POR, rapporto che indica, in maniera eloquente, come, in realtà, i fondi prelevati dal bilancio regionale, dalle risorse destinate alle bonifiche e dai fondi POR, siano stati destinati, solo per poco più della metà, a fronteggiare la cosiddetta emergenza nell'emergenza.

Nella relazione delle attività al 12.3.2004 e nella complessiva filosofia gestionale del piano dei rifiuti, l'innalzamento dei livelli di raccolta differenziata assumeva un ruolo fondamentale per la funzionalità degli impianti e dell'intero ciclo.
In tale prospettiva, il confronto fra quanto speso per le attività riconducibili alla raccolta differenziata (automezzi, strutture, lavoratori) e la sommatoria delle altre voci dà la misura di quanto il Commissariato ha mostrato di considerare davvero centrale la raccolta differenziata.


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Va osservato, peraltro, che nella voce «attività riconducibili al sostegno della raccolta differenziata» sono state incluse le spese relative all'acquisto di mezzi ed attrezzature per la raccolta differenziata, per una percentuale - come si legge nella relazione al 12.3.2004 - dell'80%.
Orbene, il Commissario Catenacci ha riferito, nel corso dell'audizione del 26.7.2005, con riferimento agli automezzi acquistati per la raccolta differenziata e destinati ai Comuni, quanto segue:
»Quanto agli automezzi (..) il numero di veicoli rubati è (...) tra le quaranta e le cinquanta unità (...).
Molti di questi automezzi (...) non sono neppure utilizzati, numerosi sono invece male utilizzati, nel senso che, invece di venir impiegati per la raccolta differenziata, sono adoperati per quella ordinaria: attualmente è in corso una subinchiesta per verificare se molti di essi siano stati affidati a società a loro volta pagate dai comuni per i servizi a questi resi. In altri termini, le irregolarità riguarderebbero il fatto che molte società esercitano il servizio di rimozione di nettezza urbana con automezzi di proprietà del commissario di Governo, facendone per giunta pagare l'uso ai Comuni«.

Sempre in relazione alla necessità di far decollare la raccolta differenziata sono stati assunti 2.316 lavoratori.
Sul punto, il prefetto Catenacci ha dichiarato:
«Abbiamo, infine, il gravissimo problema dei 2.400 lavoratori assunti dalla precedente gestione con un contratto a tempo determinato per le esigenze della raccolta differenziata. Questo rapporto di lavoro è stato inopitamente trasformato in rapporto a tempo indeterminato (...). Questa gente inquadrata con un contratto di lavoro di Federambiente e che quindi riscuote oltre tre milioni al mese, molto difficilmente accetterà di perdere il posto di lavoro (...). Questi dipendenti avrebbero dovuto lavorare per la raccolta differenziata che sarebbe dovuta partire: sono stati spesi centinaia di miliardi ma non è partita più di tanto, se è vero che finora i comuni della Campania sono al 12%».

Orbene, a fronte di tale notevole corredo di voci di spesa riconducibili all'avvio della raccolta differenziata, voci che, complessivamente, raggiungono quasi il 50% dell'intero bilancio commissariale al 12 marzo 2004, le percentuali di raccolta differenziata, nel periodo 2003-2004, vanno dal 13,4% della provincia di Salerno al 4,8% della provincia casertana, passando per il 5% della città di Napoli.
Né sembra che possa invocarsi a comoda, quanto superficiale, giustificazione una sorta di invincibile ritardo culturale che segna le comunità campane; se è vero, come è vero, che vi sono molteplici comuni in cui le percentuali di raccolta differenziata viaggiano stabilmente al di sopra dei parametri indicati dal decreto Ronchi.


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Percentuale di raccolta differenziata nella Regione Campania anni 2000-2003 (fonte: APAT)

Dati relativi alla raccolta differenziata nella provincia di Napoli negli anni 2002 e 2004, disaggregati per ambiti:

 
2002
2004
Napoli 1
4,72
5,8
Napoli 2
4,93
3,89
Napoli 3
19,2
23,35
Napoli 4
3,36
4,7
Napoli 5 (capoluogo)
6,65
5,11


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Altra voce interessante è quella delle »Spese Generali«; in quest'ultima ricadono gli emolumenti corrisposti alla dirigenza del Commissariato, secondo il seguente andamento:
1998 (comm. Rastrelli): 16.638;
1999 (comm. Losco): 106.000;
2000 (comm. Losco e Bassolino): 250.000;
2001 (comm. Bassolino): 698.000;
2002 (comm. Bassolino): 1.130.000;
2003 (comm. Bassolino): 1.140.000.

Tali spese per la dirigenza vanno rapportare alle attività e agli impegni di spesa anno per anno. Vanno fatte le seguenti puntualizzazioni:
le spese per il Commissario Vicario e Vice Commissario sono riferite all'intero comparto Bonifiche, Acque e Rifiuti;
le retribuzioni del Sub Commissario alle Acque, del Sub Commissario alle Bonifiche e del Vice Commissario del Comune di Napoli non rientrano nelle spese per i Rifiuti.

Vanno, inoltre, computate le spese per l'affitto degli immobili adibiti a sedi del Commissariato (tre sedi fino a gennaio 2004, più la sede di Viale Gramsci da febbraio 2004) per una spesa complessiva di euro 857.000, come riferito dall'Ispettore Natale Monsurrò nell'audizione del 19 ottobre 2005.

Emolumenti dirigenza Commissariato

3.1. Consulenze e progetti.

L'esame complessivo delle consulenze conferite dalla struttura commissariale, sia pure non analitico (non essendo compito della Commissione condurre un esame approfondito delle vicende che hanno interessato le singole consulenze, quanto ai criteri di scelta dei


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consulenti, al contenuto delle stesse, ai risultati e, soprattutto, quanto alla congruità rispetto all'azione di un organo extra ordinem quale è il Commissariato) conduce ad una constatazione innegabile: il ricorso alle consulenze ha rappresentato la modalità pressoché ordinaria con cui il Commissariato ha esercitato la propria attività tecnico-gestionale, nonostante abbia disposto, per lungo tempo (negli ultimi periodi commissariali le unità di personale a disposizione della struttura sono state ridotte della metà), di un organico davvero nutrito di pubblici dipendenti e funzionari, provenienti da altre pubbliche amministrazioni.
Gli incarichi di consulenza hanno riguardato ambiti eterogenei: sia l'assistenza legale che informatica, sia la valutazione degli effetti ambientali derivanti dagli impianti che il mero supporto amministrativo, sia il contributo scientifico che la collaborazione giornalistica; talora, almeno nella documentazione trasmessa a questa Commissione (si vedano, in particolare, gli allegati alla Relazione sull'attività del Commissariato al marzo 2004), sembrerebbe che ciò sia avvenuto in assenza di decreto di conferimento; talaltra, facendo ricorso a dirigenti della pubblica amministrazione ricompensati - secondo quanto riferito dall'ispettore Natale Monsurrò - secondo modalità non in linea con il principio di onnicomprensività della retribuzione; talaltra, ancora, senza neppure utilizzare i risultati dell'attività di consulenza.
A tale ultimo riguardo, la Commissione deve rilevare come contributi scientifici di grande rilievo, quale quello illustrato dal professor Umberto Arena in sede di audizione, oggetto di apprezzamento in molteplici sedi scientifiche anche internazionali, ovvero quello incentrato su un più ampio ricorso al trasporto ferroviario (progetti, peraltro, per i quali sono stati versati, allo stato, euro 204.516 al Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti dell'Università Federico II, euro 164.853 al Dipartimento di Informatica del medesimo ateneo, euro 101.554 al Dipartimento di Scienze Ambientali della Seconda Università), siano rimasti privi di qualsivoglia considerazione, sia pure per meglio modulare le scelte relative all'impiantistica ed alla logistica.
In definitiva, la ripetitività e il carattere variegato degli incarichi induce a ritenere che sia rimasto inosservato il principio - più volte ribadito dalla giurisprudenza contabile - secondo cui la p.a. deve prioritariamente avvalersi delle proprie strutture e del personale ad essa preposto; solo in casi particolari e contingenti, la p.a. può affidare il perseguimento di alcune finalità ad estranei, con provata capacità professionale e specifica conoscenza tecnica, se si verifichino: a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze; b) la mancanza di strutture ovvero la carenza di personale. Non sono, comunque, ammissibili - ha precisato il supremo giudice contabile - consulenze globali, con oggetto, cioè, una generalizzata e non specificata gamma di funzioni, e di durata tale da mascherare un vero e proprio rapporto di pubblico impiego (si veda, fra le altre, Corte dei Conti, sez. III, giurisdizionale centrale d'appello, n. 9 dell'8 gennaio 2003).
Orbene, ciò che deve registrarsi con riferimento all'esperienza commissariale, quantomeno fino all'avvento del prefetto Catenacci, è

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il sistematico ricorso al presupposto dell'eccezionalità e dell'urgenza per giustificare un impiego di risorse destinato ad attività di consulenza non sempre imposte dalla straordinarietà e dall'emergenza in cui è stato chiamato ad operare il Commissariato.
Del pari va stigmatizzato il fatto che numerosi incarichi di consulenza - come osservato dall'ispettore generale di finanza, dr. Natale Monsurrò - non consentono di individuare specificamente l'oggetto della prestazione, limitandosi le ordinanze in questione a statuire che il Commissariato ha inteso «avvalersi della collaborazione».
Alle voci di spesa riconducibili alla categoria delle consulenze, vanno affiancate quelle concernenti i compensi per i membri delle commissioni di gara e di collaudo in relazione alle quali va osservato che, se è vero che si tratta di commissioni obbligatorie, è altrettanto vero che si pongono a valle di scelte, sulla cui opportunità e congruità rispetto alle finalità proprie di un istituto chiamato per natura ad avere vita breve, si deve nutrire più di un dubbio (si pensi, ad esempio, alla vicenda dei progetti S.O.S. Ambiente e «S.I.R.E.N.E.T.T.A.»).
Notevoli sospetti di legittimità suscita, inoltre, la nomina, con ordinanza n. 397 del 13 agosto 2001, del dottor Riccardo Di Palma, quale subcommissario per la progettazione e realizzazione degli interventi di collettamento del territorio del comune di Napoli, in forma integrata con gli interventi di regimazione idraulica e di sistemazione idrogeologica posti in atto dal Sindaco del Comune di Napoli delegato.
Si tratta, infatti, di nomina che si fonda sull'ordinanza ministeriale n. 3100/00 che prevede che «Ai soli fini della progettazione e realizzazione degli interventi di cui alla lettera a) del precedente comma 2, il commissario delegato - presidente della Regione Campania può avvalersi quale subcommissari dei presidenti delle autorità d'ambito e - in caso queste non siano operative - dei sindaci dei singoli comuni interessati. Può avvalersi altresì, quale subcommissario, del sindaco del comune di Napoli, già nominato commissario delegato con l'ordinanza n. 2509 del 22 febbraio 1997, integrata dall'ordinanza n. 2808 del 15 luglio 1998, per la progettazione e realizzazione degli interventi di collettamento del territorio del comune di Napoli (...).
Resta, perciò, dubbia la legittimità di una sub-delega in capo al vice Commissario dr. Riccardo Di Palma, posto che l'attribuzione al Sindaco di Napoli era già il frutto di una sub-delega di un potere attribuito in capo al Presidente della Regione quale commissario delegato.
Per tale incarico, al dr. Riccardo Di Palma risulta essere stato riconosciuto il compenso di oltre 400.000 euro.
Vi è, inoltre, da considerare anche il sacrificio che spesso ha patito la trasparenza dell'azione amministrativa a causa del ricorso, talora poco meditato e quindi poco convincente, a criteri di scelta dei contraenti privati fondati più sull'intuitu personae che su una valutazione attenta e comparata delle molteplici competenze a disposizione sul mercato.
La gestione delle procedure informatiche vedono, ad esempio, quale interlocutore privilegiato la società «C.I.D. Software Studio s.r.l.» di Napoli.

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Incaricata sin dal 1996 (con ordinanza n. 6 del 12 dicembre 1996 a seguito di gara), la predetta società ha gestito lungo l'intero arco delle varie esperienze commissariali la struttura informatica dell'organo di governo, ottenendo la prosecuzione dell'affidamento dei servizi nonché di ulteriori commesse, anche di fornitura di beni strumentali connessi al settore informatico, senza il ricorso a procedure di evidenza pubblica.
L'omesso ricorso a procedimenti di scelta del contraente privato viene giustificato sulla base, per un verso, dell'emergenza e, per altro, della già provata affidabilità della società (nell'ordinanza n. 51 del 1997 si legge: «Considerata (...) l'opportunità (...) di dover procedere in tempi rapidi all'affidamento di detti compiti a ditta di fiducia e specializzata nel settore»); sicché in questo modo vengono poste le premesse, come già in generale osservato in precedenza, per l'introduzione di un meccanismo seriale nell'affidamento degli incarichi, fondato sul fatto che, non potendosi, per l'urgenza, procedere con il criterio dell'evidenza pubblica, gli incarichi finivano con l'essere assegnati ai medesimi soggetti già destinatari di affidamenti da parte della struttura commissariale. Con la conseguenza, per un verso, di appannare pericolosamente i superiori principi di imparzialità e trasparenza della gestione della cosa pubblica, a causa del canale preferenziale instaurato con taluni soggetti privati e, per altro, di arrecare pregiudizio ai principi di ragionevolezza e congruità delle scelte rispetto ai fini istituzionali, non sempre presenti nel complessivo andamento della gestione della struttura commissariale.
Ed infatti, rimanendo nell'ambito dei servizi informatici, non può non rilevarsi come, nonostante la dichiarata provata affidabilità della società più volte individuata quale unico interlocutore per la gestione di siffatti servizi, la medesima pubblica amministrazione ravvisi la necessità di dover attivare specifiche consulenze (Angelo Chianese, dal 1999 al 2003, e Aldo Esposito, dal 2003) per controllare l'operato dell'affidataria; ovvero, non ravvisi, in altro momento, ma nel medesimo ambito, il presupposto dell'urgenza nell'individuare il fornitore di attrezzature informatiche, procedendo, sia pure con modalità singolari (consultazione delle pagine gialle), secondo modalità concorsuali, ed individuando, accanto alla CID, la società «OFFICE SYSTEM s.r.l.» (si veda l'ordinanza n. 8 del 1998); ovvero, non consideri di attivare alcun meccanismo di risoluzione contrattuale, relativamente alla gestione dei servizi informatici concernenti le spettanze dei dipendenti della struttura, pur a seguito della constatazione che, proprio a causa dell'errata applicazione del programma informatico, erano state riconosciute ed attribuite spettanze non dovute (ordinanza n. 74 del 2004).
Deve rilevarsi, tuttavia, che la carenza di trasparenza nei criteri di impiego delle risorse del commissariato ha segnato spesso l'attività di tale organo di governo.
Emblematica, a tale riguardo, è la vicenda relativa alla costituzione della società mista «PAN», pure oggetto di specifiche indagini da parte della Commissione, i cui momenti salienti vengono di seguito sintetizzati.

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Con ordinanza n. 601 del 21 dicembre 2001, il Commissariato approva il progetto, o, per meglio dire, la nota con cui qualche giorno prima il consorzio «S.T.A.» (Sviluppo Tecnologia Ambientali, del quale è parte la gia menzionata «C.I.D.»), comunicava di disporre di un progetto avente ad oggetto l'istituzione di un call center ambientale. Va precisato, con riferimento alla documentazione progettuale, che non è dato sapere, almeno per quanto accertato da questa Commissione, se il progetto effettivamente fu allegato alla predetta comunicazione; fatto sta che nella nota del 20 dicembre 2005, a firma del vice Commissario Raffaele Vanoli, è scritto che l'originale del progetto «Call Center Ambientale SOS.A-S.O.S. Ambiente «è allegato alla convenzione rep. n. 94 del 31 dicembre 2002. Successivamente, con l'ordinanza n. 14 del 16 gennaio 2002, si dispone l'approvazione dello schema di statuto della società per azioni mista denominata P.A.N., fatto pervenire dal Consorzio S.T.A. con nota del 07.01.2002; con l'ordinanza, infine, n. 228 del 2002 si delibera l'approvazione dello schema di convenzione tra il Commissari e la società mista P.A.N., autorizzando la liquidazione in favore di quest'ultima, a titolo di acconto, della somma di un milione di euro, su un impegno di spesa totale di euro 3.098.741,39 (cui dovranno aggiungersi i costi per i lavoratori socialmente utili assunti, successivamente al 31 dicembre 2001, come consegue da quanto stabilito al punto D dell'ordinanza n. 601 del 2001.
Con successive ordinanze è stato previsto il trasferimento a titolo gratuito delle quote all'ARPAC, alla Giunta Regionale della Campania (ord. 228/2002) ed alla Provincia di Napoli (ord. 409/2002).
Quanto alla Provincia, è interessante sottolineare che, nel verbale dell'assemblea della società PAN del 9 giugno 2004 si dà atto che «perviene lettera del Presidente della Provincia di Napoli prof. Amato Lamberti in cui si ribadisce la volontà positiva di acquisire una quota del pacchetto azionario».
Lo stesso Amato Lamberti ricoprirà la carica di Amministratore Delegato di PAN (di nomina del socio privato) dal 4 maggio 2005 al 18 luglio dello stesso anno.
È interessante notare come le motivazioni delle predette ordinanze si diffondano ampiamente sulla legislazione comunitaria in tema di accesso alle informazioni in materia ambientale, con abbondanza di riferimenti normativi e pattizi, senza tuttavia tenere minimamente in conto i vincoli di pubblicità e concorsualità, sempre di fonte comunitaria (si veda, fra le altre, la direttiva 92/50/CEE), regolanti la scelta del partner privato chiamato a formare la società mista di gestione del progetto. Più volte, peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (si veda, fra le altre, Sez. I, 10/11/2005, n. C-29/04), che l'affidamento diretto di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata, pregiudica l'obiettivo di un'effettiva e libera concorrenza tra le imprese e contrasta con il principio della parità di trattamento degli interessati.
Meraviglia che la struttura commissariale, che pure risulta aver destinato cospicue risorse per consulenze legali, non abbia tenuto presente siffatti parametri di legittimità della propria azione.

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Così come sorprende che, pur essendo stata richiamata nella motivazione dell'ordinanza n. 228 del 2002 la disciplina prevista nel Testo Unico degli Enti Locali, contenuta nel decreto legislativo n. 267 del 2000, non si sia considerato che all'articolo 5 di tale testo unico si imponga «l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza», ai fini della scelta del socio privato.
Peraltro, nella vicenda in questione, l'emergenza, pure invocata, sembra essere riferibile piuttosto alla necessità di assumere e stabilizzare una folta schiera di lavoratori socialmente utili che all'urgenza di avviare il call-center ambientale: la PAN, infatti, attualmente conta 210 dipendenti, di cui 34 per call center ambientale (LSU regionali) e 150 per progetto MONAI della provincia di Napoli (ai quali vanno ad aggiungersi quelli impiegati per la raccolta differenziata, e quelli assunti dalle società Jacorossi e Smartway, dall'oggetto sociale affine a quello di PAN, per un totale di quasi 3.000 unità).
A tale ultimo riguardo, infatti, deve rilevarsi che, per esplicita ammissione dei vertici attuali della società mista, il call center in questione è pressoché inattivo (quattro o cinque chiamate al giorno) e del tutto sconosciuto agli stessi interlocutori istituzionali della struttura commissariale, quali, ad esempio, i consorzi di bacino.
Non solo.
Nel medesimo periodo, il Commissariato risulta aver avviato un'altra esperienza di call-center, nella materia degli inerti (cosiddetto progetto «Eurecho»), aggiudicata alla associazione temporanea di imprese «Edilcamion e Skippy» e poi gestito da «Pomigliano Ambiente».
Del pari significativa è la vicenda relativa al progetto «S.I.R.E.N.E.T.T.A» (Ordinanza Commissariale n. 449 del 13 giugno 2001. Aggiudicazione gara RC-005-2000 al RTI ERICSSON ENTERPRISE SpA. La Commissione di gara rileva che le soluzioni presentate sono del tutto innovative e mai realizzate in Italia nelle medesime condizioni operative, funzionali e di configurazione. Aggiudicazione per un importo di lire 17.950.000.000 pari a euro 9.270.401), avente ad oggetto un sistema di monitoraggio informatico del trasporto dei rifiuti; dopo l'aggiudicazione della gara ad un raggruppamento temporaneo di imprese («ENTERPRISE ERICCSON» poi divenuta «ENTERPRISE DIGITAL ARCHITECTS», «DAELIT s.r.l.», e la già menzionata CID), la gestione del progetto sarebbe dovuta essere affidata alla PAN medesima; va rilevato, tuttavia, che il collaudo è intervenuto solo nel mese di novembre del 2005, peraltro limitatamente alle sole apparecchiature, non essendo stato possibile avviare compiutamente il programma operativo, per la opposizione - peraltro prevedibile e condivisa dal giudice amministrativo adito - di molti trasportatori a vedersi installati sui propri mezzi i dispositivi elettronici di rilevamento di posizione.
Si segnala, inoltre, come si sia avviata la realizzazione di un siffatto progetto di monitoraggio, senza conoscere il numero preciso dei siti da monitorare; tant'è che successivamente è stata modificata la previsione contrattuale al riguardo, con la riduzione da 90 a 60 dei

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siti da controllare, pur se a tale riduzione non si è accompagnata una corrispondente revisione degli emolumenti al soggetto aggiudicatario.
Dalla relazione dell'ispettore Natale Monsurrò si registra inoltre un ulteriore dato, attinente sempre alla vicenda «SIRENETTA», non propriamente collimante con le esigenze di tutela dell'interesse pubblico.
Ed infatti, con l'ordinanza n. 290 del 2002, il Commissario, preso atto che erano, a quella data, ancora in corso di definizione le modalità di gestione del «sistema» cosiddetto Sirenetta, ravvisava la «necessità (di) modificare l'articolo 11 del Contratto Rep. 102/2002 dell'11 febbraio 2002», abolendo, di fatto, ogni penale per la ritardata consegna.
Non è, d'altronde, solo il settore delle consulenze e delle società miste a mostrare criticità quanto a trasparenza di gestione.
Vi è, infatti, il capitolo immobili, che, a parte la questione dei suoli individuati dalla Fibe, rivela ulteriori criticità.
Vi è, ad esempio, la vicenda relativa all'immobile acquisito dalla società Pomigliano Ambiente, soggetto strumentale del Commissariato (ordinanza n. 184 del 2000); si tratta di un immobile che viene acquisito dal comune di Pomigliano, per il tramite di Pomigliano Ambiente, da adibire ad impianto di trattamento e recupero dei materiali provenienti da raccolta differenziata (in particolare di beni durevoli e ingombranti), sul presupposto (così è scritto nella motivazione) che erano «in corso incontri e discussioni da parte del Subcommissario alla Raccolta Differenziata, dal Comune di Pomigliano d'Arco, dalla Pomigliano Ambiente S.p.A. e dalla ASIA di Napoli (...) per arrivare ad un progetto definitivo».
Le pubbliche relazioni tenute dal Commissariato sono addotte a giustificazione di ulteriori atti negoziali: è il caso dei locali siti a Via Gramsci, 22, fittati per la necessità di «ricercare una sede idonea per lo svolgimento degli incontri» (...) «da tenere con rappresentanti di Enti, Consorzi e altri organi istituzionali coinvolti nell'attuazione degli interventi di emergenza»; il Commissariato all'epoca disponeva di più sedi e relativi locali.
Di particolare rilievo appare, poi, la vicenda relativa alla proprietà dei locali della PAN.
Nel corso dell'audizione resa alla Commissione, Busiello Raffaele, attuale presidente della PAN, ha attribuito, fra gli altri, alla «CEM», la «Cimarosa Edilizia Immobiliare», la proprietà dei locali occupati dalla citata società mista; orbene, va rilevato: che del Consiglio d'Amministrazione della CEM ha fatto parte CIOTOLA Giuseppe, prima di entrare a sua volta nel Consiglio d'Amministrazione di PAN e di STA.

4. LE INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NEL CICLO DEI RIFIUTI.

Vi è un aspetto che si ritiene doveroso porre in evidenza, accanto al mancato conseguimento degli obiettivi per i quali era stato istituito il Commissariato, ed è il costo di illegalità, di criminalità, connessa al


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ciclo dei rifiuti, che la società campana ha dovuto sopportare, ed in misura rilevante, negli anni della gestione commissariale.
In uno dei primissimi documenti approvati dalla Commissione, dedicato proprio ai Commissariamenti per l'emergenza rifiuti, si legge il seguente monito: «In presenza di regimi commissariali di lungo periodo, che inevitabilmente determinano per loro stessa natura l'affievolirsi delle competenze e delle responsabilità degli enti ordinariamente preposti alla gestione dei rifiuti, la pervasività della criminalità organizzata nelle diverse fasi del ciclo dei rifiuti può rappresentare un rischio ulteriore cui dedicare particolare attenzione».
Questo scriveva la Commissione il 18 dicembre 2002, a pochissimi mesi dalla sua istituzione, formulando un giudizio ed una previsione, ma, soprattutto, richiamando l'attenzione dei soggetti pubblici coinvolti ad una attenzione sempre più vigile, in un settore, quello dei rifiuti, che le indagini giudiziarie di quegli anni indicavano come sempre più centrale nell'economia dei sodalizi camorristici.
Ma, purtroppo, così non è stato.
L'emergenza ha finito spesso col travolgere quella necessaria vigilanza che, soprattutto in presenza di cospicue erogazioni di denaro pubblico, va portata nel prevenire ogni rischio di infiltrazione criminale; è stato, talora, registrato un preoccupante abbassamento del livello di trasparenza dei procedimenti di scelta dei contraenti privati.
Solo da ultimo è stata richiesta la sottoscrizione alle imprese, aggiudicatarie di opere e servizi connessi al ciclo dei rifiuti, di un protocollo di legalità; solo da ultimo risulta affrontata la questione della verifica dell'effettiva titolarità dei siti utilizzati per le diverse fasi dell'emergenza; misure minime, ma indispensabili per evitare di premiare le scelte imprenditoriali e immobiliari delle organizzazioni criminali.
Le indagini della magistratura al riguardo hanno, pertanto, il sapore di una amara conferma; da ultimo, non può non menzionarsi l'indagine denominata «Green», condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia - Centro Operativo di Napoli - e dal Reparto Operativo del Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente, nei confronti, fra gli altri, del legale responsabile della società «RESIT s.r.l.», il quale, secondo l'assunto degli investigatori, operava come trasportatore ed intermediario nell'ambito della gestione illecita dei rifiuti in stretto contatto con i vertici del clan camorristico dei casalesi. Dalle attività di indagine è emerso che dal 2001 al 2003 sui siti di smaltimento di Giugliano, intestati alla «Resit srl» e successivamente acquisiti dal Consorzio NA3, sono proseguite le attività con modalità illegali e senza garanzie sufficienti per la tutela ambientale, con numerose e ripetute falsificazioni ideologiche dell'ex sub-commissario di Governo, Giulio Facchi, anch'egli indagato.
Deve constatarsi, in generale, che, nonostante ci si trovasse ad operare in una regione dove il movimento terra è da sempre settore di interesse dei clan camorristi, le imprese di trasporto non sono state selezionate con la dovuta attenzione.
Sicché, non può meravigliare che alcune di quelle imprese siano state poi fulminate dal Prefetto di Napoli con misure interdittive

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antimafia ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994 e dell'articolo 10 comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998 (si tratta, in particolare, della «Ecologia Bruscino», con sede in San Vitaliano, della «Ambiente», con sede in San Vitaliano, della «Di Palma», con sede in Napoli, della «Gekon», con sede in Napoli, della «Eredi Fratelli Bianco», con sede in Mugnano); o che - come ha riferito il Commissario Catenacci alla Commissione - «le indagini delle forze di polizia e della magistratura (abbiano rivelato) sospetti di collusione o di condizionamento tra imprese di trasporto e criminalità organizzata».
Se è vero che - come posto in evidenza nella stessa Relazione sulle attività svolte dal Commissario al 12 marzo 2004 - quello dei rifiuti era un settore esposto all'inquinamento della criminalità organizzata (tanto da indurre la struttura commissariale ad intervenire con riferimento a taluni appalti affidati dai comuni in quanto rivelativi, per l'anomalia dei costi, di una gestione illegale), l'azione del commissariato doveva quanto meno ridurre la cifra del fenomeno.
Ciò non è accaduto.
Lo stesso prefetto Catenacci, nel corso dell'audizione del 15 marzo 2005, ha significativamente osservato al riguardo: «La criminalità organizzata sorride per l'andamento odierno della situazione in Campania; infatti, sono aumentati i trasporti (...) ed il ritardo della costruzione delle discariche e dei siti di smaltimento determina l'aumento dei viaggi in direzione di altre località. Le indagini delle forze di polizia e della magistratura rivelano sospetti di collusione o di condizionamento tra imprese di trasporto e criminalità organizzata».
In primo luogo, va segnalata l'assenza di qualsivoglia criterio di trasparenza nell'individuazione delle imprese di trasporto dei rifiuti, al cui riguardo va segnalato il singolare modus procedendi seguito dalla struttura commissariale, impegnata, per un verso, a delegare a vari soggetti strumentali l'organizzazione di tali attività, e, per altro, attenta ad indicare ai medesimi le imprese cui fare riferimento.
Il meccanismo, oltre che desumibile dal tenore delle ordinanze che delegavano la «Pomigliano Ambiente», quale soggetto strumentale per l'organizzazione delle operazioni di trasporto, è stato, peraltro, confermato dallo stesso Direttore Generale di Pomigliano Ambiente, Antonio De Falco, il quale, nel corso dell'audizione resa il 16 novembre 2005, ha indicato anche la motivazione soggiacente a siffatta procedura: «chiedevamo al commissariato, anche in modo esplicito, di indicarci i fornitori; altrimenti avremmo dovuto prevedere necessariamente la gara».
Esigenze di rispetto della legalità in un territorio esposto alle infiltrazioni camorristiche?
Tale è la motivazione, di ordine generale, sottesa alla scelta del Commissariato di utilizzare i soggetti strumentali ed i consorzi di bacino e di escludere conseguentemente i Comuni; in particolare, nella nota indirizzata in data 2 maggio 2002 alla Regione Carabinieri Campania, a firma del subcommissario, Giulio Facchi, si legge: «Risultano, infatti, sempre più evidenti a questo Commissariato le ragioni per cui finora le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti si sono articolate attraverso l'offerta di servizi con costi assolutamente anomali,

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la cui incongruità non può trovare ragion d'essere se non a discapito della legalità e del rispetto della dignità dei lavoratori utilizzati, tanto da costringere una considerevole fetta dell'economia regionale, legata ai rifiuti, in un ambito sommerso ancor più inquietante, in quanto relativa a servizi di pubblico interesse, che coinvolge direttamente i Comuni».
Tuttavia, va registrato come paradossalmente proprio talune delle imprese indicate dal Commissariato ai soggetti strumentali, per le attività di trasporto dei rifiuti, verranno sanzionate dal Prefetto di Napoli mediante l'applicazione di misure interdittive ai sensi della legislazione antimafia: si tratta della «Ecologia Bruscino» (con sede in San Vitaliano), dell'«Ambiente s.r.l.» (con sede in San Vitaliano), della «Autotrasporti Di Palma s.r.l.» (con sede in Napoli).
Quanto alla «Ecologica Bruscino», va, inoltre, segnalato che la stessa viene individuata, senza gara, quale affidataria di servizi nell'ordinanza n. 435 del 2001.
In particolare, la citata società, in data 7 settembre del 2001, presenta al Commissariato una nota in cui dichiara di mettere a disposizione un'area da utilizzare per la localizzazione di un impianto di pressatura ed imballatura dei rifiuti e relativo stoccaggio; il Commissariato, dieci giorni dopo, aderisce all'offerta (non si dà atto di alcuna comparazione con altre offerte ) e stipula con la predetta società apposita convenzione.
Non solo.
Nelle voci «emergenze 2001 e 2003» - riportate nella Relazione del Commissario al 12 marzo 2004 - sono state computate le spese di «acquisto impianti, attrezzature delle aree, smaltimento dei rifiuti anche fuori regione, etc.».
Per quanto concerne lo smaltimento, esso è stato affidato a «soggetti strumentali» del Commissariato che provvedevano a smaltire, in regione e fuori, i rifiuti provenienti dagli impianti del soggetto aggiudicatario.
Tale attività di intermediazione, poi non più affidata dal prefetto Catenacci, è stata, peraltro, oggetto di ulteriore esborso da parte della struttura commissariale, nella misura del 2% rispetto all'importo contrattuale.
Va rilevato che tali soggetti intermediari non hanno gestito in proprio il servizio, ma lo hanno affidato ad altre imprese, alcune delle quali, come si è visto, sottoposte poi a verifica per infiltrazione camorristica.
Taluni trasporti e smaltimenti fuori regione sono stati oggetto di attività di indagine, da parte di vari uffici giudiziari, essendo state rilevate - come in seguito si illustrerà - condotte illecite e significativi interventi di compagini associative anche di tipo mafioso.
In ordine, poi, al reperimento delle aree da destinare a discariche di servizio e siti di stoccaggio provvisorio, va osservato che, in base a quanto previsto dal contratto tra Commissariato e soggetti affidatari, i siti sono stati individuati da questi ultimi, previa autorizzazione del Commissario, ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 22 del 1997, funzionale e prodromica all'utilizzazione dei fondi.
Sul punto, il prefetto Catenacci ha, nel corso dell'audizione del 26 luglio 2005, significativamente, osservato: «Per quanto riguarda poi

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l'individuazione delle discariche, noi non abbiamo poteri in questo settore. Ritengo che al momento di un nuovo contratto, con un altro appaltatore, la prima cosa su cui convenire sarà che i siti dovranno essere scelti da noi»
E tuttavia lo stesso Catenacci aggiunge: «Abbiamo ricevuto delle proposte riguardo ad alcuni siti (...) uno di questi, che poteva andar bene, è di proprietà di una famiglia contigua ad un clan molto agguerrito del napoletano (...) Naturalmente non siamo noi a dover scegliere i siti, ma appena sentiamo qualche notizia, cerchiamo di renderci conto della situazione (...) ce ne propongono anche tanti, ma, dopo aver acquisito le relative informazioni, se ci accorgiamo che appartengono al settore della criminalità, lasciamo stare».
È dubbio che siffatto controllo sia stato anche svolto nelle precedenti esperienze commissariali.
Si è accertato, cioè, anche ricorrendo al corredo informativo degli uffici prefettizi, se i siti offerti fossero nella disponibilità di soggetti legati a clan camorristici?
Al riguardo appare significativo il fatto che il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, dr. Nunzio Fragliasso, ha riferito in ordine alla pendenza di più indagini sul punto presso la Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo di regione.
Quel che è certa, comunque, è la notevole speculazione immobiliare che si è accompagnata all'acquisizione e al fitto dei fondi da parte del soggetto aggiudicatario, con conseguente ribaltamento dei costi sulla struttura commissariale.
È accaduto, infatti, che, nello stesso giorno, sono stati acquisiti da società di dubbia origine e successivamente rivenduti o fittati alla FIBE terreni per un valore talora più che quintuplicato; ed è accaduto pure che molti di questi terreni fossero stati acquisiti e rivenduti a FIBE sempre dai medesimi soggetti, con atti rogati dai medesimi notai.
Lo stesso andamento relativo allo scioglimento dei comuni per infiltrazione camorristica è rimasto invariato.
Dal 1991 (anno in cui è stata approvata la normativa sul commissariamento delle amministrazioni infiltrate) ad oggi, la Campania ha fatto registrare, con 59 Comuni sciolti, il più alto numero di provvedimenti sanzionatori; e ben dieci negli ultimi quattro anni.
Va, a tale ultimo riguardo, osservato che dei cinque decreti di scioglimento emessi ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ben tre recano, nella motivazione, riferimenti a fenomeni di condizionamento della criminalità organizzata nel settore degli appalti relativi alla gestione dei rifiuti.
Nel decreto concernente il comune di Afragola si legge che: «Numerose e gravi illegittimità sono state riscontrate in ordine al servizio di raccolta rifiuti solidi urbani, svolto da una società, individuata ed incaricata con deliberazione del commissario straordinario del 17 novembre 2000, successivamente svolto in regime di proroga su autorizzazione del commissario di Governo delegato per l'emergenza rifiuti. È stato, infatti, verificato che, sebbene formalmente le società, tutte controindicate ai fini antimafia, facenti capo al titolare della ditta che in passato ha gestito il servizio, non risultano più attualmente affidatarie dello stesso, tuttavia continuano a lucrare nell'ambito del

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servizio stesso concedendo in uso gli automezzi all'attuale società affidataria. Anche i locali adibiti ad uffici amministrativi della società affidataria risultano di proprietà di soggetti contigui al clan dominante. Si soggiunge che la fornitura di mezzi meccanici alla suddetta società è stata effettuata da ditte nella disponibilità di soggetti molto vicini al predetto clan».
Altra situazione presa in esame, anche sotto il profilo della gestione dei rifiuti, è quella del comune di Casoria, dove è la società che svolge il servizio di igiene urbana, a prevalente capitale pubblico, ad essersi rivolta a ditte, senza aver previamente acquisito le necessarie informazioni presso l'ufficio antimafia della Prefettura. Nel decreto in questione, infatti, si legge: «Nonostante (...) detta società avesse l'obbligo, essendo controllata da ente pubblico, di osservare le norme che disciplinano le procedure di gara previste per gli enti pubblici e di acquisire le informative antimafia sulle ditte, essa ha proceduto a stipulare contratti con ditte di fornitori variamente condizionate dalla criminalità organizzata, senza interessare l'ufficio antimafia della Prefettura. È stato sottolineato che fra queste figura una ditta che ha per titolari i figli di un soggetto in condizione di stretta contiguità con la locale consorteria».
Per altro comune, quello di Crispano, è stata segnalata, nel decreto di scioglimento, la resistenza degli organi comunali alle controindicazioni fornite dalla Prefettura rispetto alla ditta aggiudicataria del servizio di nettezza urbana. «(...) all'emergere di elementi ostativi antimafia - è scritto nel decreto del Presidente della Repubblica del 25 ottobre 2005 - l'ente invece di disporre la immediata interruzione del rapporto contrattuale, ha richiesto una nuova istruttoria antimafia sulla base della speciosa considerazione che la società aveva trasferito la sede sociale, quando viceversa soltanto un mutamento dell'assetto societario avrebbe potuto giustificare tale richiesta. Infine, soltanto all'esito della notifica della sentenza con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla società aggiudicataria avverso l'informativa prefettizia, l'ente si determinava a procedere alla risoluzione del contratto, a ben dieci mesi dell'inoltro dell'avversata comunicazione».
Infine, la dimostrazione della penetrazione diffusiva del condizionamento criminale nell'apparato della pubblica amministrazione, con riferimento anche al ciclo dei rifiuti, si ha, ad avviso di questa Commissione, con lo scioglimento, primo caso in Italia, di un'A.S.L., la n. 4.
Nel decreto in questione, infatti, si fa stato del fatto che «dagli accertamenti svolti sull'affidamento del servizio di trasporto dei rifiuti ospedalieri risulta che l'amministratore unico della ditta aggiudicataria è gravato da numerosi precedenti penali per reati contro l'ambiente ed è contiguo, seppur indirettamente, alla delinquenza organizzata».
Un quadro davvero desolante; ed ancor più se si considera che la Campania è sotto tutela commissariale da così lungo tempo.
Questa Commissione, per parte sua, nel quadro delle finalità propositive che hanno ispirato la propria azione, così come richiamate in esordio, ha ritenuto di doversi fare promotrice di una più incisiva e coordinata assunzione di responsabilità di tutte le istituzioni a vario

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titolo chiamate a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata.
In tale quadro, si è giunti alla sottoscrizione, il 30 maggio del 2003, del «Patto di legalità per l'ambiente», in virtù del quale il Prefetto di Napoli, il Questore della medesima città, il Presidente della Provincia, il Presidente dell'Ente Parco Nazionale del Vesuvio ed i sindaci dei comuni di Acerra, Brusciano, Camposano, Casamarciano, Castello di Cisterna, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Mariglianella, Marigliano, Nola, Roccarainola, San Vitaliano, Saviano, Scisciano, Tufino, e Visciano si sono impegnati a promuovere un'efficace azione repressiva dei fenomeni dell'illegalità e di contrasto dei reati ambientali, attraverso l'elaborazione di strategie comuni. In particolare:
i comuni si sono impegnati a mettere a disposizione mezzi e personale delle locali polizie municipali per il monitoraggio del territorio e per l'espletamento delle attività di prevenzione e controllo ambientale disposte dal Comitato Provinciale per l'Ordine e Sicurezza Pubblica, nonché ad istituire un servizio di telecontrollo dei siti maggiormente a rischio, ad attivare uno sportello ecoambientale ed un sito web, ad incrementare le iniziative di diffusione della cultura della legalità;
la Provincia si è assunta i compiti di fornire i dati relativi alle situazioni di inquinamento del territorio nonché di mettere a disposizione le Guardie Venatorie per l'effettuazione dei servizi pianificati dal Comitato per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica;
il Prefetto ha offerto la propria disponibilità a pianificare, in sede di Comitato per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica, sulla base dei dati forniti da tutti gli altri enti firmatari, mirati servizi di prevenzione, controllo e contrasto di ogni situazione di inquinamento, anche avvalendosi dell'intervento delle Forze dell'Ordine e del Corpo Forestale dello Stato.

5. DAL DECRETO LEGGE N. 14 DEL FEBBRAIO 2005 AL DECRETO LEGGE N. 245 DEL 2005. LE PROSPETTIVE DI SUPERAMENTO DELL'EMERGENZA.

I recenti interventi normativi, alcuni dei quali ancora in itinere, inducono a svolgere alcune considerazioni sulle prospettive di fuoriuscita dall'emergenza.
Già si è visto come, sulla scorta degli interventi della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, il commissariamento debba essere interpretato come espressione di un intervento sussidiario, il cui scopo non è la sostituzione tout court e sine die dell'ente in difficoltà, bensì quello di affrontare una situazione di emergenza che, per il suo carattere di straordinarietà, supera l'ambito localistico, e, al contempo, di ripristinare le condizioni perché l'ente supportato possa ritornare ad operare nell'ordinarietà.
Si è, in altri e più chiari termini, dinanzi ad una sorta di protesi che sostituisce taluni organi della pubblica amministrazione nell'esercizio - e non nella titolarità originaria (che rimane in capo all'organo


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sostituito) - di determinate funzioni; il commissariamento realizza quel coordinamento che non si è realizzato fisiologicamente, accentrando in un unico soggetto tutte quelle competenze che, seppur distribuite fra organi diversi, presentano una connessione quanto agli obiettivi complessivi, quegli stessi obiettivi il cui mancato raggiungimento giustifica l'intervento commissariale.
Come ogni intervento protesico, l'azione del Commissariato non può che mirare, dunque, pena lo snaturamento dell'istituto stesso, a far recuperare all'articolazione supportata la propria funzionalità; non può, non deve essere durevole, ma va tolta quando non è più necessaria e va accompagnata e seguita da un'adeguata terapia di riabilitazione.
Diversamente, si fa - come si è fatto in Campania - del Commissariato un'istituzione che tende a stabilizzarsi e quindi a preoccuparsi più della propria autosussistenza che delle finalità per le quali era stato istituito, con la conseguenza di atrofizzare gli organi supportati.
Né appaiono di utilità, ai fini del pieno recupero della piena operatività degli enti locali, l'istituzione di ulteriori soggetti cui trasferire, in una prospettiva di deroga permanente, le competenze extra ordinem del Comissariato.
In questa prospettiva merita di essere segnalato il conflitto di attribuzione sollevato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri innanzi alla Corte Costituzionale (ricorso 10/2005), avente ad oggetto le disposizioni della legge regionale della Campania n. 8 del 12 novembre 2004 (articolo 4 comma 4 e 5 comma 5), con le quali, per un verso, viene disposta la attribuzione di un contributo al Sindaco di Napoli in qualità di commissario delegato per assicurare il ripristino o la ricostruzione degli interventi di cui all'ordinanza del Ministero dell'Interno n. 3142 del 2001; e, per altro, viene istituita l'Agenzia Regionale campana per la difesa del suolo con assegnazione alla stessa dei compiti precedentemente svolti dal Presidente della Regione in qualità di Commissario delegato in forza delle ordinanze del Ministero dell'Interno n. 2994 del 1999 e n. 2789 del 1998.
Analizzare le prospettive di superamento, significa, pertanto, in primo luogo, riflettere sulle politiche di riabilitazione, cioè di transizione dal regime straordinario a quello ordinario.
Questa è la cornice in cui inserire gli interventi legislativi che, da ultimo, hanno segnato l'esperienza commissariale in Campania.
In tale ottica, va rilevato che il decreto legge n. 14 del 2005, recante misure per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania, presentava un rischio: quello di dilatare ulteriormente l'ambito dei poteri commissariali mediante l'attribuzione al Commissario delegato di poteri sostitutivi non solo nei confronti di enti pubblici ma anche nei riguardi di soggetti privati.
Era stato previsto, infatti, nel contesto delle difficoltà anche finanziarie di Fibe e del gruppo Impregilo, che, al fine di assicurare il funzionamento degli impianti a norma di legge e nel rispetto delle prescrizioni contrattuali, il Commissario delegato, in primo luogo, autorizzava le necessarie iniziative di adeguamento tecnico-funzionale degli impianti medesimi da parte dei soggetti affidatari, e, in caso di

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inadempienza di questi ultimi, provvedeva in via sostitutiva sulla base di apposite procedure di somma urgenza.
Anche le vicende del rapporto contrattuale, laddove - si intende - assumessero connotati di straordinarietà, finivano, pertanto, con il concretizzare quel presupposto di fatto che radicava il commissariamento.
Con tutte le anomalie sistematiche che ne conseguivano: innanzitutto per il fatto di considerare l'inadempimento contrattuale del soggetto affidatario non più semplicemente come causa di risoluzione del rapporto contrattuale, ma quale circostanza che, unita alla condizione emergenziale complessiva della gestione dei rifiuti, anche conseguente all'inadempimento stesso, autorizzava l'attivazione di interventi sostitutivi in un ambito di tipo squisitamente imprenditoriale.
Così da estendere il principio di sussidiarietà a quei soggetti che, in quanto affidatari di opere o servizi pubblici, si collocavano in una posizione servente rispetto all'apparato della pubblica amministrazione.
La dicotomia gestione - titolarità che caratterizza i rapporti fra commissario e soggetti sostituiti non si giocava più soltanto all'interno di un ambito strettamente pubblicistico, ma finiva con l'interessare anche i rapporti contrattuali in cui è parte la pubblica amministrazione, tutte le volte in cui gli stessi incidevano su ambiti rilevanti ai sensi della legge n. 225 del 1995 in materia di protezione civile.
E tuttavia non può non risultare evidente come questo ampliamento dei poteri del Commissario rendesse ancor più problematica la temporaneità dell'intervento commissariale.
Riesce difficile, infatti, pensare ad una gestione provvisoria rispetto ad interventi che hanno come scopo il completamento e l'adeguamento di impianti industriali, soprattutto quando ciò implica anche l'adozione di scelte che comportino un vero e proprio rischio d'impresa.
Per altro verso, tuttavia, rimaneva auspicabile che il rientro nel regime ordinario avvenisse senza soluzione di continuità, pervenendo alla ricomposizione fisiologica di quella dicotomia gestione-titolarità. Occorreva, in altri termini, procedere ad un «passaggio controllato» alle competenze ordinarie, senza mandare «in fibrillazione» il sistema.
In tale ultima prospettiva, appariva indispensabile avviare, contestualmente alla definizione del rapporto con le imprese affidatarie ed agli interventi di adeguamento dell'impiantistica, opportune forme di coinvolgimento di tutti gli enti pubblici titolari delle competenze in materia, allo scopo di pervenire ad una scelta, secondo criteri omogenei e condivisi, di tutti i contraenti chiamati a gestire nell'ordinario gli impianti.
In tale contesto e con tali premesse, il decreto legge n. 245 del 30 novembre 2005 viene a definire le coordinate per superare sia le difficoltà connesse al rapporto contrattuale con le società affidatarie del servizio sia, più in generale, la fase, ormai pluridecennale, di gestione commissariale della Regione.
Indubbiamente, la risoluzione del rapporto contrattuale con le società affidatarie rappresenta uno snodo indispensabile nella definizione

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di un programma che riporti a normalità l'intera gestione del ciclo integrato dei rifiuti in Campania.
Già si è visto come i molteplici inadempimenti contrattuali da parte della FIBE hanno radicato gli interventi cautelari degli organi giurisdizionali.
Va detto che tali inadempimenti avrebbero giustificato una risoluzione ipso iure del contratto, che avrebbe potuto senz'altro essere invocata dalla pubblica amministrazione, anche prima del decreto legge del febbraio del 2005.
Certo è che una risoluzione traumatica del rapporto con FIBE avrebbe, tuttavia, posto drammaticamente il problema della gestione della fase transitoria, antecedente cioè all'individuazione di un nuovo o di nuovi soggetti affidatari mediante procedure di evidenza pubblica, in linea con la normativa comunitaria.
Si è scelto, pertanto, per un verso, di dichiarare, con decreto legge, la risoluzione del contratto, richiamando in premessa gli interventi cautelari adottati dalla magistratura con riferimento agli impianti di CDR, e facendo salvi gli eventuali diritti derivanti dai rapporti contrattuali risolti; e per altro, imporre la prosecuzione del rapporto con le società affidatarie, fino al subentro delle nuove imprese aggiudicatarie.
Si tratta di una scelta che, seppur giustificata dalla necessità di evitare soluzioni di continuità con effetti traumatici quanto alla gestione del periodo di transizione, presenta intuibili profili di criticità.
Vi è da riflettere, in primo luogo, sul fatto che FIBE sarà tenuta a proseguire nella realizzazione degli impegni di un contratto risolto e, verosimilmente, in pendenza di un contenzioso con la stessa struttura commissariale quanto ai precedenti rapporti.
Il che non si presenta come una cornice, normativa e fattuale, tale da consentire una gestione, armonica e pienamente efficiente, delle iniziative che dovranno essere adottate a breve e su questioni di notevole impatto per l'ambiente e l'ordine pubblico.
In tal senso, è auspicabile che si addivenga quanto prima alla definizione transattivi dei rapporti pendenti fra FIBE ed il Commissariato di Governo, anche inserendo, nella piattaforma transattiva, gli interventi da adottare nel regime transitorio.
In primo luogo, fra le problematiche di maggiore urgenza, spicca la questione dei rifiuti trattati e accumulati nei siti di stoccaggio provvisorio (le cosiddette ecoballe).
A tale riguardo, il decreto legge, all'articolo 1 comma 2, demanda al Commissariato, d'intesa con il Presidente della Regione, e sentito il Ministro per l'Ambiente, l'individuazione di soluzioni compatibili con le esigenze ambientali, ivi compreso il ricorso alle discariche di servizio ed ai siti di stoccaggio provvisorio, non adottando alcuna soluzione definitiva sul punto, ed anzi correndo il rischio di perpetuare il sistema della cosiddetta messa in riserva (articolo 6), già oggetto di censure giudiziarie (quelle stesse richiamate in esordio di decreto).
È quanto mai urgente, pertanto, che si addivenga, con riferimento alla destinazione delle ecoballe, a decisioni definitive che contemplino

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anche lo smaltimento in discariche, gestite in modo rispettoso per l'ambiente e secondo obiettivi di recupero energetico.
In tale prospettiva appare decisivo il cambiamento di rotta adottato nel decreto legge in relazione al procedimento di formazione della volontà del Commissario, interessato da significativi interventi degli enti locali nella direzione di una decisione il più possibile partecipata e condivisa.
Ed infatti, all'articolo 1 comma 4, si prevede l'istituzione di una Consulta regionale per la gestione dei rifiuti nella Regione Campania, presieduta dal Presidente della Regione, cui sono chiamati a far parte i presidente delle province nonché i rappresentanti dei comuni interessati ad una equilibrata localizzazione dei siti per le discariche e lo stoccaggio dei rifiuti trattati.
Si tratta di un organo dai compiti solo consultivi; né, d'altronde, poteva essere diversamente, in vigenza di un regime, qual è quello commissariale, che costituisce deroga al sistema ordinario delle competenze.
E tuttavia, non appare opportuno sminuire l'importanza di tale Consulta, soprattutto per il suo significato di istituzione-ponte, chiamata cioè a preparare la transizione verso la riespansione del regime ordinario, ed, in qualche modo, ad allenare gli enti locali a fronteggiare le proprie competenze e responsabilità.
Resta, indubbiamente, il nodo - ineliminabile, come si è detto, fino a quando perdurerà il regime commissariale (il cui dies ad quem è fissato al 31 maggio 2006) - dell'esclusione dalla fase decisoria degli enti locali che, peraltro, vengono chiamati a contribuire forzosamente, pena la riduzione dei trasferimenti erariali (articolo 2).
Si è detto che il decreto legge del 30 novembre rappresenta, comunque, una significativa inversione di rotta, e ciò, oltre a quanto già osservato a proposito del tendenziale coinvolgimento degli enti locali, è desumibile da più aspetti.
Innanzitutto, la previsione di adeguamenti del vigente piano regionale costituisce finalmente il segnale dell'abbandono di una visione, per così dire, ideologica della gestione del ciclo dei rifiuti in Campania, aprendo finalmente la programmazione alle migliori sollecitazioni, provenienti dalla tecnologia, dalla scienza e dalle sensibilità ambientali.
Si intraprende, poi, con decisione la strada dell'incremento della raccolta differenziata, introducendo opportune misure di sostegno: dall'impiego dei lavoratori finora rimasti largamente inutilizzati a cura dei consorzi, alla previsione di interventi sostitutivi nei confronti dei consorzi inadempienti, al coinvolgimento operativo del CONAI.
Si considera, infine, l'informazione ambientale un aspetto di assoluta centralità; ancora una volta, non in senso astratto ed ideologico, bensì puntando alla «massima divulgazione delle informazioni relative all'impatto ambientale delle opere necessarie per il ciclo integrato dei rifiuti assicurando altresì alle popolazioni interessate ogni elemento informativo sul funzionamento di analoghe strutture già esistenti nel territorio nazionale» (articolo 1 comma 3).
È su questo terreno che, soprattutto, il Commissariato è chiamato, unitamente agli enti locali, a porre le basi per una credibile e

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condivisa programmazione della gestione del ciclo dei rifiuti in Campania.
Il superamento anche culturale e politico dell'emergenza, ma, più in generale, lo stesso futuro della gestione dei rifiuti in Campania, passa attraverso la capacità di comunicare, modulare, coinvolgere.
Comunicare, attraverso conferenze di servizi o strumenti ancora più agili, con amministratori locali ed imprese;
modulare il piano di gestione, cercando di coniugare la protezione dell'ambiente naturale con le esigenze dell'ambiente sociale e produttivo;
coinvolgere i cittadini, facendoli sentire attori di un processo più ampio, conveniente e pulito.

Tutto questo impone di rivedere l'intero piano, nella sua filosofia gestionale e nelle sue modularità applicative.
Un piano che si è mosso, per così dire, in una prospettiva chiusa, quasi autoreferenziale, comunque poco coinvolgente.
Sin dalla sua nascita, del resto, non vi è stata disponibilità ad accogliere le istanze della migliore tecnologia del settore, se si considera che a vincere la gara, relativa alla realizzazione e alla gestione degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti residuali dalla raccolta differenziata, è risultato un progetto valutato dalla stessa commissione giudicatrice, largamente insufficiente quanto al pregio tecnico con carenze definite addirittura «imbarazzanti» dal professor Umberto Arena, componente della commissione aggiudicatrice, nel corso dell'audizione resa alla Commissione il 29 novembre 2005.
Si impone, a questo punto, una netta inversione di rotta.
Bisogna aprire il ciclo dei rifiuti, farlo comunicare con la realtà, renderlo davvero integrato, ma non solo rispetto a sé stesso, calandolo nel complessivo contesto sociale ed economico; interrogandosi su quali risultati la gestione complessiva del sistema può produrre tali da essere ecologicamente sostenibili e in linea con le peculiarità del tessuto economico e produttivo.
Il carattere variegato delle province campane, quanto a caratterizzazione antropica e a morfologia produttiva, potrebbe, poi, consigliare di diversificare le scelte gestionali, quanto alle tecniche da impiegare ed alla dimensione dell'impiantistica.
Le caratteristiche del territorio campano rende, inoltre, opportuno integrare il piano con una logistica appropriata, soprattutto per quanto concerne il sistema dei trasporti dei rifiuti, da incentrare tendenzialmente sul ferro, abbandonando progressivamente la gomma, terreno di pericolose infiltrazioni della criminalità organizzata.
E qui si tocca una questione davvero nodale.
Vi è, infatti, a tale riguardo, un ulteriore profilo cui è indispensabile fare, sia pure in breve, un cenno, ed è quello relativo ad un coordinamento delle politiche ambientali che, accanto agli aspetti gestionali ed imprenditoriali, giunga ad attuare efficaci strumenti di prevenzione rispetto all'infiltrazione della criminalità organizzata.
Si tratta di un aspetto che, anche in considerazione dei contesti ambientali in cui si è fatto ricorso al commissariamento, assume un


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rilievo non secondario, ponendosi, spesso, come concausa del fallimento di un sistema integrato di gestione dei rifiuti, per il fatto di inserire fattori disarmonici, rispondenti a logiche di profitto dell'organizzazione criminale.
In tale prospettiva, la condivisione delle informazioni raccolte dalla struttura commissariale, sui soggetti collegati alla criminalità organizzata, sulle modalità di infiltrazione e sulle tecniche di condizionamento, può consentire la messa a punto di un efficace coordinamento degli strumenti di contrasto, viceversa destinati al fallimento se lasciati all'iniziativa isolata - e per questo maggiormente esposta - dei singoli enti.
A tale riguardo, deve essere registrata l'allarmante prosecuzione di rapporti tra pubblica amministrazione ed imprese destinatarie di misure interdittive antimafia, pur dopo l'adozione delle sanzioni; emblematico è il caso del Consorzio Napoli 3 e Pomigliano Ambiente relativamente all'utilizzazione di mezzi riconducibili alla società «Ecologia Bruscino», già sanzionata dal Prefetto di Napoli ai sensi della legislazione antimafia. Lo stesso De Falco, direttore generale di Pomigliano Ambiente riferirà ( nell'audizione del 16 novembre 2005) alla Commissione: «a Marigliano utilizziamo un locale di un'azienda interdetta, con la quale però noi (...) non abbiamo un rapporto contrattuale»; rapporto che tuttavia ha il Consorzio Napoli 3. Sul punto, Domenico Pinto, presidente del Consorzio Na 3, in sede di audizione resa il 23 novembre 2005, ha dichiarato: «I mezzi sono di Ecologia Bruscino»; aggiungendo: «Tutto ciò risulta dagli atti ed è preceduto dall'audizione di Pomigliano Ambiente (...)»; ed ancora: «Io non sono tra coloro che vogliono far entrare dalla finestra ciò che esce dalla porta. Si è trattato di una scelta operata in un momento particolare e con dei tempi contingentati»
Del pari significativa è la circolarità delle informazioni fra soggetti deputati al contrasto e alla repressione degli illeciti ambientali ed organismi impegnati nello studio delle ricadute epidemiologiche di una scorretta gestione dei rifiuti.
A tale riguardo, la Commissione ha promosso l'istituzione di un Protocollo per la costituzione di una banca dati a fini epidemiologici, gestita dall'Istituto Superiore di Sanità ed implementata da tutte le forze dell'ordine e dagli organi di controllo delle pubbliche amministrazioni interessate.

6. LO SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO DA PARTE DELLE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI.

Gli elementi acquisiti dalla Commissione, nel corso delle missioni e delle audizioni, confermano la grande attenzione di esponenti della criminalità organizzata nei confronti del sistema ciclo integrato dei rifiuti. In linea generale si può affermare che la gestione illecita dei rifiuti in Campania, così come nella maggior parte delle regioni del sud, è orientata secondo due direttive principali.
La prima vede il realizzarsi di forme di inquinamento, per così dire, episodico e non organizzato; si tratta, cioè, di attività poste in


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essere senza la preoccupazione di munirsi dell'usbergo della norma, risolvendosi nello smaltimento di rifiuti in assenza di qualsiasi autorizzazione. Si tratta, in buona sostanza, di un comportamento volto semplicemente a fare del territorio un luogo di abbandono dei rifiuti.
Questo è il quadro, ad un tempo desolante e preoccupante, in cui si collocano le indagini svolte dalle forze dell'ordine nel recente passato (e sulle quali questa Commissione si è già soffermata nella Relazione sulle attività svolte al luglio 2004), dalle quali è emerso un territorio martoriato per alcune significative porzioni, e visibilmente oltraggiato da lunghe e numerose colonne di fumo, sprigionate dai frequenti incendi di rifiuti, fonti incontrollate di inquinamento da diossina e, quindi, di pericolose alterazioni dell'intera catena alimentare.
Nel medesimo scenario vanno ad inserirsi gli accertamenti compiuti dalla SOGIN, su incarico della struttura commissariale campana; in particolare, desta allarme l'esito delle verifiche (conclusesi con la messa in sicurezza) compiute in località Calabricito del comune di Acerra, dove sono state riscontrate percentuali di inquinamento da diossina anche centomila volte superiori ai parametri di legge.
Così come non lascia tranquilli la situazione dei pozzi di emungimento ubicati nella medesima area, ormai profondamente inquinati ed interdetti agli usi agricoli.
Sul versante giudiziario, di particolare significato, in tale prospettiva, è l'operazione «Terra Mia», svolta dal Corpo Forestale dello Stato e coordinata dalla Procura della Repubblica di Nola.
Gli accertamenti hanno riguardato lo smaltimento illecito di olii minerali, piombo, scorie saline, schiumature di alluminio, nonché polveri di abbattimento dei fumi degli altoforni: il tutto veniva disperso su centoventi ettari di terreno, ai confini di campi coltivati o di zone sottoposte a bonifica come i Regi Lagni. Una sorta di «triangolo dei veleni» tra i Comuni di Nola, Marigliano e Acerra, dove sono state sequestrate 25 discariche. Per tutti gli indagati l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo smaltimento illegale di rifiuti, truffa aggravata e disastro ambientale.
L'indagine è partita da uno screening del territorio in questione, che ha fatto sorgere sospetti sulle attività delle società coinvolte, in considerazione dell'assenza in Campania di discariche per lo smaltimento di alcuni degli inquinanti sopra indicati. L'esito ha confermato i sospetti: la soluzione escogitata dagli imprenditori era facile ed economica: abbandonare i rifiuti tal quali sul territorio.
La seconda direttrice, invece, passa attraverso la «simulazione» del rispetto della normativa, sicché la conseguente illecita gestione, sebbene «coperta» da autorizzazioni valide, utilizza false certificazioni attestanti la non pericolosità dei rifiuti.
Nonostante la criminalità organizzata in Campania abbia abbandonato l'originario business della costruzione di maxi discariche a vita breve, dove venivano sversati rifiuti di ogni genere (questo grazie anche alle attività di monitoraggio e controllo poste in essere dalle Forze dell'ordine), lo smaltimento dei rifiuti, sia urbani che speciali, si conferma come settore centrale nell'economia camorristica.

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Del resto, l'entità dei capitali che il settore dei rifiuti movimenta spiega, agevolmente, l'interesse della criminalità organizzata per questo mercato.
Infatti, nel campo della gestione dei rifiuti gli investimenti illeciti trovano possibilità di guadagno, analoghe a quelle presenti nel traffico di sostanze stupefacenti, delle armi e nel contrabbando.
Nel solo periodo 2004-2005, si stima che il traffico illecito ha fruttato circa 4 milioni di euro, attraverso lo smaltimento di più di 3.600 tonnellate di rifiuti pericolosi.
Sullo sfondo di quella che può essere definita una vera e propria holding criminale, c'è ancora una volta una Pubblica Amministrazione disattenta ed inefficiente nell'attività di controllo e prevenzione.
Tra le indagini più significative in tal senso, merita di essere segnalata l'operazione «Madre Terra», condotta dal Nucleo Operativo Ecologico di Caserta e coordinata dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, che ha portato all'arresto di 9 persone per associazione a delinquere e traffico illecito di rifiuti.
Fanghi inquinati provenienti dai depuratori di Cuma e Villa Literno, dagli impianti di Capri, Sant'Agnello, Caivano e da altri Comuni casertani finivano, tal quali, in fondi agricoli, tra le zolle rivoltate e preparate per la semina; si creava così un humus avvelenato sul quale venivano coltivati ortaggi e foraggio. Infatti, quel miscuglio limaccioso e maleodorante, venduto come fertile compost nelle campagne di Villa Literno, Castel Volturno, San Tammaro, era in realtà una miscela di fanghi contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, che attraverso il terreno finiva, poi, nel ciclo alimentare con gravissime conseguenze per la salute dei cittadini e per la stessa agricoltura.
Dalle operazioni di intercettazioni è emerso, inoltre, che il traffico e il successivo illecito smaltimento avvenivano con la copertura di un dipendente dell'Amministrazione Provinciale di Caserta che avvisava i titolari della società coinvolta dei controlli e li istruiva sull'atteggiamento da tenere nel corso delle ispezioni dei Carabinieri del Noe.
Ulteriore esempio di una Pubblica Amministrazione che si presta, in cambio di denaro o di altri vantaggi, ad avallare operazioni di illecito smaltimento di rifiuti, è l'indagine «Mazzettus», condotta dal Reparto Operativo del Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente e coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, conclusasi con l'esecuzione di 6 ordini di custodia cautelare, nei confronti di imprenditori che operavano nel settore delle discariche e di funzionari del Genio Civile - Settore Cave - della Provincia di Napoli. I pubblici ufficiali consentivano, in cambio di «mazzette», lo sversamento illecito di migliaia tonnellate di rifiuti, provenienti da diverse Regioni del Nord e Centro Italia, in terreni a destinazione agricola ed in cave per cui era stato approvato il progetto di «ricomposizione ambientale» proprio al fine di recuperare siti precedentemente depauperati sotto il profilo ambientale, in quanto già utilizzati come cave abusive.
In un caso, addirittura, i pubblici ufficiali corrotti risultavano aver lavorato quale componenti di uno «studio tecnico» privato, arrivando a realizzare in ufficio - dopo essersi appropriati dei fascicoli in

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possesso del settore amministrativo - i progetti e le relazioni tecniche necessarie per l'approvazione delle relative pratiche.
In stretta connessione con l'azione del Commissariato per l'emergenza rifiuti, quanto meno sotto il profilo delle condotte poste in essere dai soggetti strumentali individuati dal Commissariato, è l'operazione «Eldorado». L'indagine, condotta dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente e coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, ha svelato l'illecito operare di una organizzazione criminale dedita alla gestione dei rifiuti, provenienti dagli impianti di tritovagliatura di Giffoni Valle Piana (SA) e Paolisi (BN), a seguito dell'emergenza del 2003, che aveva fatto della Lombardia, in particolare delle province di Varese, Como e Milano, l'ultima tappa dell'illecito traffico; con ciò inaugurando un'inedita direttrice di traffico, dal sud al nord.
I rifiuti in questione, invece di essere smaltiti presso siti autorizzati, venivano inviati «tal quali» in impianti per la produzione di compost per l'agricoltura o, addirittura, venivano «tombati» in buche realizzate presso cantieri edili o all'interno di insediamenti produttivi.
Tuttavia, la fase del ciclo dei rifiuti che oggi appare essere la più permeabile ad infiltrazioni camorristiche è quella legata alla individuazione e gestione dei siti di stoccaggio di CDR.
Già si è detto degli interessi della criminalità organizzata diretti a gestire le operazioni di compravendita o di locazione dei terreni da utilizzare quali discariche di servizio.
Va aggiunto, a tale riguardo, che le consorterie camorristiche non hanno fatto altro che estendere il proprio tradizionale know how criminale a tale campo: il controllo egemonico del territorio, infatti, ha consentito alle stesse di individuare ed acquisire, con rapidità ed a costi contenuti, le aree da destinare a discarica, di importanza strategica in una regione priva ancora di impiantistica gestionale alternativa e di impianti di termovalorizzazione; la capacità di condizionare le procedure di evidenza pubblica e di dissuadere le imprese concorrenti ha fatto sì che il settore dei rifiuti fosse esposto al rischio di un vero e proprio monopolio, fatto di imprese o controllate o direttamente gestite, seppur fiduciariamente, dai sodalizi camorristici.
Pertanto, assume rilievo prioritario, ai fini di rendere il settore dei rifiuti quanto più impermeabile possibile all'infiltrazione camorristica, un sistema integrato di verifiche e controlli, che coinvolga gli organi di amministrazione attiva, le forze di polizia e gli organi di governo, in un circolo virtuoso di scambio di informazioni ed elementi conoscitivi.
Questa Commissione ritiene, infine, doveroso sottolineare come nell'ultimo anno, la Campania sia stata una regione in cui hanno trovato spazio, accanto ad un incisiva attività di repressione svolta dalle forze dell'ordine, iniziative finalizzate al recupero di vasti territori.
Tale attività di prevenzione si è concretizzata in molteplici iniziative, del Corpo Forestale dello Stato e del Comando Carabinieri Tutela dell'Ambiente; in particolare, appare opportuno menzionare l'operazione denominata «Volo libero», conclusasi agli inizi del 2005,

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lungo il litorale domizio, in provincia di Caserta. L'operazione ha portato al sequestro di una riserva di caccia abusiva di circa 100 ettari e alla denuncia di 30 persone per i reati di disastro ambientale, furto d'acqua e per numerose violazioni della legge sulla caccia.
In questo vasto territorio acquitrinoso, personaggi ritenuti collegati alla criminalità organizzata casertana avevano deviato corso di fiumi, creato laghetti artificiali, costruito veri e propri bunker in ferro e cemento da cui cacciatori di frodo potevano sparare agli uccelli migratori, in gran parte esemplari protetti. Non si esclude, inoltre, che grosse quantità di rifiuti speciali pericolosi siano finiti proprio in fondo a quegli specchi d'acqua artificiali, originati dal dragaggio abusivo di sabbia, verosimilmente utilizzata per confezionare calcestruzzo con gravi alterazioni dell'equilibrio idrogeologico.
In quest'area sorgerà un'oasi naturale per la quale sono stati stanziati 10 milioni di euro, sia per l'acquisizione delle aree interessate che per la successiva bonifica. Il Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente, dal canto suo, dopo questa prima fase, provvederà con l'ausilio delle strutture ministeriali, al monitoraggio e alla vigilanza sull'intera area in modo che venga definitivamente recuperata alla legalità.
Implementare gli strumenti di controllo e di cooperazione fra amministrazioni, oltre a rispondere a finalità di prevenzione e repressione, contribuisce a recuperare quel rapporto di fiducia dei cittadini in generale, e degli operatori economici in particolare, nei confronti delle istituzioni, indispensabile punto di partenza di ogni efficace azione di contrasto alla criminalità organizzata.
Il controllo del territorio è, in definitiva, lo snodo essenziale di ogni efficace azione di contrasto ad ogni forma di criminalità ambientale.
Assume rilievo prioritario, pertanto, nella persecuzione delle attività illegali, l'intensificazione della presenza degli organi istituzionali in quelle aree maggiormente sottoposte al controllo delle compagini criminali.
Implementare gli strumenti di controllo, oltre a rispondere a finalità di prevenzione e repressione, consente di attribuire agli stessi maggiore visibilità, contribuendo in tal modo a recuperare quel rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, indispensabile punto di partenza di ogni efficace azione di contrasto alla criminalità organizzata.
In particolare, nell'ambito del territorio della regione Campania, i dati acquisiti dalla Commissione indicano le aree del casertano, del nolano e dell'hinterland settentrionale della provincia di Napoli, come quelle in cui, da un lato, più profondo è il radicamento delle organizzazioni criminali e, dall'altro, più ampia è la frattura fra cittadini e istituzioni, sovente addirittura sfociata in momenti di violento contrasto.
In tali contesti territoriali, è indispensabile, a parere unanime della Commissione, e come già prospettato nella Relazione alle Camere sull'attività svolta al luglio del 2004, pervenire a soluzioni operative che mirino, pur nella loro eccezionalità, a destabilizzare

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l'egemonia camorristica con il definitivo recupero del territorio alla piena legalità.
A tal fine, la Commissione prospetta l'opportunità di predisporre un'operazione, articolata sul territorio e temporalmente limitata, modulata strutturalmente secondo la già sperimentata « Operazione Primavera », che veda l'impegno delle forze di polizia, coordinate dall'autorità prefettizia ed eventualmente supportate dall'ausilio di presidi di forze armate, ove ciò fosse richiesto dalla straordinarietà delle situazioni o ritenuto necessario per garantire efficacia all'azione.

7. LA BONIFICA DEI SITI INQUINATI.

Pur attraverso notevoli difficoltà, determinate anche - come si vedrà più analiticamente in seguito - dalla deviazione di cospicue risorse destinate alle bonifiche dai fondi POR verso l'emergenza-rifiuti, va registrata una significativa attività volta ad avviare le procedure per le attività di bonifica delle discariche e dei siti inquinati individuati attraverso il «Piano stralcio», in attuazione di quanto previsto dall'OPCM 3100/2000 del dicembre 2001, nonché tutte le attività mirate ad una rimodulazione e ad una sintesi definitiva del Piano Regionale approvato nel 1997.
Allo stato attuale, in Regione Campania sono stati perimetrali, con Decreti Ministeriali, quattro siti di bonifica di interesse nazionale: Napoli Orientale (circa 820 ha), Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano (61 comuni), Napoli Bagnoli-Coroglio, Litorale Vesuviano (11 comuni).
Il sito di Napoli Orientale è stato perimetrato con Ordinanza del Commissario Delegato - Sindaco di Napoli del 29 dicembre 1999.
Il sito del Litorale Domizio - Flegreo ed Agro Aversano è stato perimetrato, ai sensi della medesima legge n. 426 del 2998, articolo 1, comma 4, con decreto del Ministro dell'Ambiente del 10 gennaio 2000.
Questa Commissione ha ritenuto opportuno, a tale proposito, rappresentare al Ministero dell'Ambiente, l'opportunità di estendere ai territori dei comuni di Acerra, Nola, Marigliano, Mariglianella, Brusciano, San Vitaliano, Visciano, Saviano, Cicciano, Tufino, Casamarciano, Comiziano, Roccarainola e Cimitile l'area perimetrale interessata dalle attività di bonifica in corso.
A seguito, infatti, delle audizioni di esponenti delle istituzioni locali, delle categorie produttive, delle associazioni ambientaliste e degli organi deputati alle attività ispettive e di controllo, di magistrati e forze di polizia, nonché di rappresentanti dell'Istituto Nazionale di Geofisica, dell'Istituto Superiore di Sanità e del Commissariato di Governo per l'emergenza rifiuti, sono stati acquisiti molteplici elementi informativi che inducono a ritenere il territorio sito a nord-est del capoluogo campano fortemente interessato da fenomeni di diffuso e perdurante inquinamento.
In particolare, il quadro complessivo emerso dalle indagini svolte descrive una situazione di degrado ambientale dei suoli, delle acque


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e dell'aria, tale da comportare potenziali conseguenze pregiudizievoli per la stessa salute della popolazione residente.
Con la legge n. 388 del 2000 (articolo 114, commi 24 e 25), poi, è stato aggiunto il sito di Napoli Bagnoli-Coroglio (aree industriali), perimetrato con decreto del Ministero dell'Ambiente del 31 agosto 2001.
Inoltre, con la legge n. 179 del 2002 è stato aggiunto il sito del Litorale Vesuviano, perimetrato con decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio del 27 dicembre 2004.
In data 18 settembre 2001, il Ministero dell'Ambiente ha adottato ai sensi della legge n. 426 del 1998 (articolo 1, comma 3), d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, un Programma Nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati che individua gli interventi di interesse nazionale, gli interventi prioritari, i soggetti beneficiari, i criteri di finanziamento, le modalità di trasferimento delle risorse, le procedure di revoca dei finanziamenti, le modalità per il monitoraggio ed il controllo delle attività di realizzazione degli interventi previsti nel Programma stesso.
Il Programma Nazionale di bonifica e ripristino ambientale ha destinato le seguenti risorse a tre dei quattro siti di interesse nazionale ubicati in Campania:
34,2 miliardi di lire al sito di Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano;
53,6 miliardi di lire al sito di Napoli Orientale;
19 miliardi di lire al sito di Napoli Bagnoli - Coroglio.

Attraverso le numerose audizioni in sede e le missioni che la Commissione ha svolto presso i siti interessati dalle attività di bonifica e ricompresi nel Piano Nazionale, è stato possibile acquisire una approfondita conoscenza dello stato di avanzamento dei progetti in corso.
Ai sensi dell'articolo17, comma 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997, i progetti di bonifica di interesse nazionale sono approvati con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria e della sanità, d'intesa con le Regioni territorialmente competenti. Dopo l'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 471 del 1999, il Ministero dell'Ambiente ha avviato le procedure tecnico - amministrative previste per l'approvazione dei Piani di caratterizzazione e dei progetti di bonifica e ripristino ambientale, adottando la procedura prevista dall'articolo14 della Legge n. 241 del 1990.
In particolare per i quattro siti individuati nella Regione Campania sono state svolte riunioni di Segreteria tecnica e Conferenze di Servizi istruttorie e decisorie, a seguito delle quali:
per talune aree sono stati adottati o richiesti interventi di messa in sicurezza d'emergenza della falda;


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per altre sono stati approvati, con prescrizioni, i piani di caratterizzazione; per altre ancora sono state richieste integrazioni ai piani di caratterizzazione.

Per quanto riguarda l'attività di caratterizzazione per la verifica del potenziale inquinamento in relazione alle evidenze di diossina nel latte dei mammiferi dell'area casertana, sono disponibili i risultati della prima campagna di indagine (suoli, acque superficiali e sedimenti) condotta da APAT sull'intero territorio della Regione Campania e quelle condotte dall'ARPAC nel territorio del sito di bonifica d'interesse nazionale. La problematica dell'emergenza diossine in Regione Campania è stata affrontata nel corso della Conferenza di Servizi decisoria dell'11 ottobre 2005; sulle cause, riconducibili a circuiti criminali anche di stampo camorristico, questa Commissione già si è soffermata nella Relazione sull'attività svolta al luglio 2004.
Nell'ambito dell'area relativa al sito di interesse nazionale «Napoli Bagnoli - Coroglio (aree industriali)», individuato dall'articolo 114, comma 24 della legge n. 388 del 2000 (Legge finanziaria 2001), occorre distinguere le aree ex ILVA ed ex ETERNIT, la cui bonifica è disciplinata dalla legge speciale 18 novembre 1996 n. 582, dalle restanti aree la cui bonifica è disciplinata dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e dal decreto ministeriale 471/99.
La citata legge speciale n. 582 del 1996 ha disciplinato un apposito Piano CIPE per lo smantellamento e la rottamazione degli impianti, la bonifica e il riutilizzo in conformità agli strumenti urbanistici delle aree degli stabilimenti ex - ILVA ed ex - ETERNIT.
L'approvazione, la vigilanza ed il controllo sull'esecuzione di tale Piano sono attribuiti alla competenza di un apposito Comitato di Coordinamento ed Alta Vigilanza, supportato da una Commissione di esperti.
Il finanziamento di tali interventi era a carico del Ministero del Tesoro (circa 283 miliardi di lire).
La legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) all'articolo 114, comma 17 ha modificato la disciplina speciale dettata per le aree ex ILVA e ex ETERNIT comprese le aree marittime prospicienti, attribuendo al Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministero del Tesoro l'approvazione del «Piano di completamento della bonifica e di recupero ambientale dell'area industriale di Bagnoli», per l'attuazione del quale ha previsto un finanziamento di 50 miliardi per ciascuno degli anni 2001, 2002 e 2003 (per complessivi 150 MLD). L'articolo 114, comma 19 della medesima legge ha stabilito, tra l'altro, che la funzione di vigilanza e controllo sulla corretta e tempestiva attuazione del Piano di recupero di Bagnoli è attribuita al Ministero dell'Ambiente.
La Bagnoli S.p.A. ha presentato il previsto Piano, così articolato:
completamento delle azioni di cui alla legge speciale n. 582 del 1996;
conservazione degli elementi di archeologia industriale;
relazione tecnico - economica sullo stato degli interventi già realizzati;
cronoprogramma relativo all'esecuzione dei lavori futuri.


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Il Comune di Napoli ha presentato in data 6 marzo 2001 il motivato parere relativo ai soli profili urbanistici, così come previsto dall'articolo 114, comma 17 della legge n. 388 del 2000.
Il Ministero dell'Ambiente ha, quindi, avviato l'istruttoria tecnica sul Piano di completamento degli interventi.
Nel corso delle segreterie tecniche, delle conferenze di servizi istruttorie e delle conferenze di servizi decisorie, è stata dettagliatamente esaminata e discussa la documentazione progettuale presentata inizialmente dalla Società Bagnoli S.p.A.. Successivamente la Bagnoli Futura S.p.A. ha provveduto ad elaborare, sulla base delle osservazioni ed integrazioni richieste nel corso dell'iter istruttorio, la versione finale del Piano di completamento, sul quale è stata espressa una valutazione positiva dal punto di vista tecnico e ambientale nella Conferenza di Servizi del 10 dicembre 2002.
In data 23 dicembre 2002 la Conferenza di Servizi decisoria ha approvato il Piano di completamento della bonifica e recupero ambientale di Bagnoli nonché le note integrative al medesimo Piano di completamento, lo studio pre-progettuale di fattibilità relativo all'utilizzo dei materiali della colmata di Bagnoli nell'ambito dei lavori da realizzarsi nel Porto di Napoli ed il Piano di caratterizzazione dei sedimenti della darsena di Levante nel Porto di Napoli, dove saranno sversati i sedimenti provenienti dallo smantellamento della colmata di Bagnoli.
Il decreto di approvazione del progetto definitivo di bonifica delle aree ex ILVA ed ex Eternit, dopo l'acquisizione dell'intesa della Regione Campania, è stato firmato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e dai Ministri della Salute e delle Attività Produttive in data 31 luglio 2003.
Per quanto riguarda le altre aree inserite nel perimetro del sito di interesse nazionale di Napoli Bagnoli-Coroglio sono stati approvati i seguenti documenti:
1. Piano di caratterizzazione delle aree pubbliche del sito di Napoli Bagnoli - Coroglio, trasmesso dal Commissario di Governo con nota prot. 8532/CD del 14 aprile 2003, nella Conferenza di Servizi decisoria del 20 giugno 2003;
2. Piano di caratterizzazione ambientale dell'area marino costiera prospiciente il sito di interesse nazionale di Napoli Bagnoli - Cordoglio, trasmesso da ICRAM con nota prot. 5318/03 del 13 ottobre 2003, nella Conferenza di Servizi decisoria dell'11 novembre 2003;
3. Piano di Caratterizzazione della Cementir S.p.A., trasmesso da Cementir S.p.A. con nota del 1 marzo 2004, nella Conferenza di Servizi decisoria dell'1 ottobre 2004;
4. Piano di Caratterizzazione del deposito autobus aziendale di «Cavalleggeri Aosta», trasmesso dall'Azienda Napoletana Mobilità con nota del 26 maggio 2004, nella Conferenza di Servizi decisoria del 10 marzo 2005.

Inoltre, la Conferenza di Servizi decisoria del 1o ottobre 2004 ha deliberato di richiedere la presentazione di un Piano di Caratterizzazione,


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elaborato sulla base dei criteri indicati nel decreto ministeriale n. 471 del 1999, ai seguenti soggetti: I.D.I.S. Fondazione Città della Scienza, Ferrovie dello Stato, Terme di Agnano S.p.A., Ippodromi e Città S.p.A., Cavone degli Sbirri, La Rocca Autodemolizioni, Parteno Signal, Enel, Poligoni Area. Tale richiesta è stata ribadita dalla Conferenza di Servizi decisoria del 10 marzo 2005; i piani, per quanto a conoscenza di questa Commissione (anche a seguito dell'audizione del Commissario per le bonifiche Cesarano, del 14 dicembre 2005), non risultano ancora pervenuti.
Particolare attenzione questa Commissione ha ritenuto di dover portare alla questione relativa alla situazione di inquinamento delle aree inserite nel sito di Bagnoli-Coroglio, anche alla luce della pubblicazione dei risultati delle indagini analitiche dell'ICRAM, di cui, di seguito, si reputa opportuno riportare le considerazioni conclusive, e la cui gravità era, secondo quanto riferito dallo stesso Cesarano alla Commissione, «poteva prevedersi» trattandosi di un sito industriale dismesso.
«(...)La caratterizzazione di dettaglio eseguita ha permesso di valutare lo stato di elevata contaminazione, e per alcune aree addirittura di compromissione, sia degli arenili che dei fondali prospicienti l'ex area industriale di Bagnoli.
In conclusione, i risultati analitici hanno evidenziato, sia per gli arenili che per i fondali, una contaminazione dovuta prevalentemente ad Idrocarburi Policiclici Aromatici e ad alcuni metalli, quali: Pb, Zn, Cd, Cu e Hg, strettamente correlati all'attività siderurgica che si è svolta in tale sito.
Tale contaminazione interessa tutta l'area di fondale antistante l'ex impianto industriale, fino al largo, estendendosi però anche alle aree adiacenti, quali il settore a nord dell'area dell'impianto e la Baia di Nisida. Le concentrazioni più elevate, quelle per cui è necessario procedere all'attuazione di interventi immediati, sono state riscontrate nell'area immediatamente a ridosso della colmata, sia frontalmente che lateralmente, estendendosi oltre gli arenili a nord della colmata. Per tutti i contaminanti più significativi si osserva lo stesso andamento delle concentrazioni in funzione della profondità: a 2 m di profondità, infatti, si riscontrano concentrazioni elevate solo in prossimità dei due pontili della colmata.
Infine, sempre nella zona prospiciente la colmata, sia la descrizione granulometrica che le analisi chimiche evidenziano un'area, compresa fra la batimetrica dei -30 m e poco oltre quella dei -50 m, in cui gli apporti antropici si sono andati ad accumulare nel tempo per motivi naturali (sedimentazione, correnti marine, etc.), o a causa di veri e propri scarichi. Riguardo gli arenili, la caratterizzazione ha evidenziato uno stato di compromissione degli arenili settentrionali ad opera degli IPA, già oggetto di interventi di messa in sicurezza di emergenza. Nell'arenile sud, invece, la contaminazione riscontrata è principalmente dovuta a metalli (Pb, Cu, Zn) e, negli strati più profondi, dovuta anche agli IPA.
Questi dati confermano i dati relativi al primo studio preliminare che l'ICRAM aveva condotto nel 1999 su richiesta del Commissario Delegato di Governo per le Bonifiche e Tutela delle Acque nella regione

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Campania. Dall'attuale caratterizzazione, sia dei fondali che degli arenili, emerge come dato significativo che i livelli di concentrazione di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), Zinco, Piombo, Rame e Cadmio, risultano ancora molto elevate, ed in alcuni casi maggiori rispetto ai valori determinati nel corso della campagna di caratterizzazione precedente (IPA, Piombo e Rame).
I risultati relativi alla determinazione dei contaminanti negli organismi marini hanno confermato i dati del 1999: le concentrazioni più elevate riscontrate negli organismi bivalvi (Mytilus edulis) sono quelle relative al Piombo e agli IPA, due tra i contaminanti più significativi dell'area, evidenziando la tendenza al bioaccumulo di questi contaminanti ed il loro potenziale passaggio nella catena trofica.
Infine, la campagna di caratterizzazione del 1999 aveva evidenziato un'alterazione della morfologia del fondale dell'area antistante la colmata, dove i sedimenti sono risultati essere di natura grossolana e costituiti prevalentemente da residui di scorie vetrose e granuli in ferro. Tale alterazione è stata confermata anche dalla campagna di dettaglio, avendo rinvenuto nei sedimenti analizzati numerosi granuli antropici, quali: frammenti scoriacei di colore grigio acciaio, granuli nerastri informi di aspetto vetroso o sub metallico carbone. Tali materiali sono stati determinati sia nelle stesse aree della prima campagna (tra i due pontili di carico e scarico) che in aree più a largo (fino a poco oltre la batimetrica dei -50 m), in corrispondenza delle quali sono stati determinati ancora livelli di concentrazione dei contaminanti molto elevate».

È indubitabile che siffatti giudizi inducano a guardare con preoccupazione ai rischi per la salute pubblica connessi al perdurare di una tale condizione di profondo inquinamento e, nel contempo, a ritenere particolarmente problematiche le operazioni di smaltimento dei rifiuti provenienti dalle operazioni di bonifica, operazioni già di suo non di agevole realizzazione, come ammesso dal Subcommissario alle bonifiche Cesarano, in sede di audizione («Penso che la situazione della Campania sia nota a tutti: nel momento in cui abbiamo tentato di reperire dei siti in cui realizzare la piattaforma - che è un impianto non di smaltimento rifiuti, ma di selezione - abbiamo avuto difficoltà. La ditta pertanto prelevava i rifiuti dalle varie zone, li metteva su questa piattaforma e doveva poi selezionarli, per poi portarli a discarica. In realtà, anche questa operazione è stata impossibile: le comunità locali si sono sempre opposte alla realizzazione della piattaforma; abbiamo fatto dei tentativi, credo nel comune di Villa Literno, Castelvolturno e Villa di Briano. Inizialmente, i sindaci sembravano favorevoli a quest'iniziativa; poi, dopo aver individuato il sito e avviato le prime pratiche per la costruzione della piattaforma, siamo stati bloccati e non è stato possibile realizzarla.»).
Alla luce di quanto emerso, anche a seguito delle indagini dell'ICRAM appare comprensibile l'atteggiamento di cautela tenuto da comunità in linea teorica disponibili ad accogliere i rifiuti provenienti da tali operazioni di bonifica e diventa quanto mai urgente ed indifferibile il coinvolgimento delle predette comunità, ai fini di


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un'ottimale individuazione dei siti e della predisposizione di misure idonee a prevenire ogni rischio per la salute dei cittadini.
È utile, peraltro, sottolineare che, sebbene la Regione Campania operi in regime commissariale anche per quello che riguarda il settore delle bonifiche, le attività finora svolte, a differenza di quelle realizzate in materia di gestione dei rifiuti, hanno visto partecipi tutte le amministrazioni locali interessate, dalle Province ai Comuni, con un ruolo dinamico e attivo sia nell'ambito delle Conferenze dei Servizi, sia in rapporto alle realtà sociali e produttive presenti nei loro territori e coinvolte dai procedimenti in questione.
In definitiva, in questo come in altri settori, è proprio il coordinamento tra le realtà istituzionali centrali e locali, e tra queste e gli altri soggetti pubblici e privati coinvolti, l'elemento che garantisce il buon funzionamento della macchina amministrativa e consente il conseguimento di positivi risultati nella protezione dell'ambiente e della salute dei cittadini.
In tale prospettiva, la Commissione ha ritenuto opportuno avvalersi delle competenze dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per valutare la praticabilità dell'applicazione delle migliori tecnologie elettromagnetiche per l'individuazione di aree sospette con possibili interramenti nel sottosuolo di consistenti masse di rifiuti di natura ferromagnetica, con risultati interessanti, anche per le prospettive successive di utilizzazione. La campagna aeromagnetica è stata svolta in Campania nel periodo 22-25 marzo 2004 ed ha riguardato le province di Napoli e Caserta. I comuni interessati sono stati Acerra, Casal Di Principe, Castel Volturno, Cicciano, Grazzanise, Marigliano, Nola, Roccarainola, Santa Maria La Fossa, San Tammaro e Villa Literno, per una superficie complessiva, coperta da rilievo aeromagnetico, di circa 100 chilometri quadrati; i dati acquisiti e le informazioni raccolte durante questa campagna andranno inseriti in un sistema informatico di derivazione del Sistema informativo della montagna (SIM) del Corpo forestale dello Stato, e, unitamente ad altre analoghe iniziative complementari svolte a terra, consentiranno di poter avere, finalmente, un quadro il più possibile aggiornato del territorio campano, premessa indispensabile di ogni seria politica ambientale.

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